
C’era una volta, nel vecchio West, territorio attraversato continuamente dalla classica diligenza, inseguita dai Nativi, a loro volta inseguiti dalle “giacche blu”, una giovane donna, Clementina. Viveva tranquilla nella sua fattoria, coltivando la terra e dedicandosi alla cura degli animali, tra cui tre mucche alquanto ciarliere. A fare la guardia alla proprietà, il fedele Socrate, cane un po’ avanti negli anni e propenso a qualche goccetto di troppo.
Un terreno verde e fertile, che faceva gola al ghignante possidente il Cattivissimo, innamorato tra l’altro di Clementina, intendendo infatti appropriarsi del podere e chiedere alla fanciulla di sposarlo. D’altronde era l’unico appezzamento su cui non riusciva a mettere le mani, come invece successo riguardo le proprietà degli altri valligiani, esternando metodi certo convincenti, delegati agli scagnozzi Ursus e Smilzo.
Quest’ultimi si rendevano protagonisti anche di frequenti scorribande nel vicino paese, in particolare nel saloon, scatenando risse sempre a spese del pianista, mentre il barista e la cantante Esmeralda non potevano far altro che assecondare. Dopo l’ennesimo violento attacco alla fattoria, Clementina era ormai sul punto di cedere, quando ecco arrivare dal nulla un giovane ombroso e taciturno, impassibile d’aspetto, Johnny, che forse avrebbe potuto esserle d’aiuto, se non fosse stato per un oscuro passato, un evento che lo perseguitava e gli impediva di ricorrere all’uso delle “sputafuoco”, finché …
West and Soda rappresenta il felice debutto nei lungometraggi di Bruno Bozzetto, opera che condivide con Per un pugno di dollari di Sergio Leone l’intuizione di smitizzare l’epopea della frontiera propria del genere western con sagace ironia, dando adito a quel disincanto proprio di chi non ha mai perso la capacità di far continuare a giocare il fanciullino che è in sé.
Certo, la pellicola del regista romano venne distribuita in sala un anno prima, ma occorre considerare come l’idea del cartoon risalga al 1960 e non furono poche le difficoltà inerenti la sua realizzazione, superate in particolare in virtù del coraggio di sperimentare nuove strade, anche appoggiandosi ad una intuitiva artigianalità.
Inoltre credo che West and Soda anticipi per certi versi quella “demistificazione del genere” avviata da Duccio Tessari (Una pistola per Ringo; Il ritorno di Ringo, 1965) e ripresa da Enzo Barboni (Lo chiamavano Trinità…, 1970;…continuavano a chiamarlo Trinità, 1971) con maggiore concretezza autoriale. Ovvero, dopo la “fase politica” del western nostrano, avallare l’idea di una messa in scena che accarezzasse tutti gli stilemi propri delle pellicole americane celebrative del “mito della frontiera”, riletti però in chiave ironica, quando non dissacratoria, fino al volgere in farsa, così da superare il senso del tragico sfruttando la spensieratezza del riso.
La freschezza inventiva, la grafica essenziale e coinvolgente, l’atmosfera “classica” nel cui ambito si succedono movimentate gag, ora surreali, ora ironiche, sono frutto di un meticoloso lavoro di squadra. Attilio Giovannini, docente universitario e amico di Bozzetto, suggerì a quest’ultimo l’idea di base, poi sviluppata insieme nello scrivere la sceneggiatura, mentre i dialoghi, scoppiettanti di sana ironia, videro all’opera Sergio Crivellaro, trovando la loro esaltazione nell’ottimo lavoro di doppiaggio, ricordando al riguardo, tra gli altri, Nando Gazzolo (Johnny), Carlo Romano (il Cattivissimo), Luigi Pavese (Ursus), Lydia Simoneschi (Esmeralda).
Esemplare la caratterizzazione grafica degli sfondi (Giovanni Mulazzani), così come la cura profusa per la fotografia e gli effetti speciali (Luciano Marzetti e Roberto Scarpa), senza dimenticare il risolutivo intervento di Guido Manuli in qualità di art director e il lavoro complessivo sull’animazione (Giuseppe Laganà, Franco Martelli, Sergio Chesani e, non accreditato, Michel Fuzellier). La colonna sonora, opera di Giampiero Boneschi, è in linea con l’aria dissacratoria che serpeggia nel corso della narrazione, contornandola con uno straniante ma piacevolissimo “effetto mitico”.
Alcune sequenze, dall’evidente retaggio sperimentale, stupiscono ancora oggi, in particolare quelle relative al temporale notturno e all’incendio della fattoria, altre assicurano divertimento e risate, la tortura di Johnny servendosi delle terribili formiche rosse, le pistolettate all’interno del saloon, la vestizione divistica del pistolero in procinto di raddrizzare i torti dopo le angherie subite, che satireggia alla grande sulla resurrezione dei colleghi protagonisti delle pellicole statunitensi (ad esempio l’Alan Ladd/Shane dell’omonimo film diretto da George Stevens nel 1953, da noi distribuito come Il cavaliere della valle solitaria).
Egualmente la sequenza clou, il duello tra Johnny e i due bravi del Cattivissimo, irride a piè sospinto le dilatazioni temporali preparatorie allo sparo fatale, portate all’estremo dal citato Leone, con il nostro eroe a prodigarsi in tutta una serie di numeri circensi strappa applausi (ha un suo fan club) prima di estrarre le pistole dalla fondina; sulla stessa linea, poco prima, appariva interminabile il duello col boss, comprensivo anche di sparatorie subacquee, con le armi pronte ad adeguare il loro “suono” all’ambiente circostante.
Nel tratteggio della figura del Cattivissimo ritengo poi non sia estranea, vedi il discorso rivolto ad Ursus e Smilzo dall’alto di un masso relativo ai suoi piani espansionistici, ma anche il fregio teschio e tibie sul “porta coda” del cavallo, una messa alla berlina dell’italico ventennale regime. Lo sberleffo volto agli stilemi del genere prosegue imperterrito sino al finale, quando sullo sfondo dell’irrinunciabile tramonto verso il quale si dirigono Johnny e Clementina, andrà a stagliarsi un’irridente battuta del pistolero buono.
Ecco allora conciliarsi leggenda e ordinarietà quotidiana, in nome di una concretezza, un’ironia ed una creatività improntate all’espressione di una fantasia pura, semplice, libera da qualsivoglia schematismo precostituito, allineando il proprio sguardo a quello primigenio di un fanciullo, per il quale un disegno “non è altro che un’idea intorno ad una linea”.
Pubblicato su Diari di Cineclub N.122-Dicembre 2023






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