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(MyMovies)

Tokyo, 1943. La lugubre melodia dell’allarme aereo riecheggia lungo le arterie cittadine, presto invase dalla popolazione in fuga. E’ in atto un bombardamento e le alte fiamme di un terrificante incendio stanno ormai circondando i vari stabili, compreso l’ospedale, struttura dove troverà la morte Hisako Maki, madre dell’undicenne Mahito, qui ricoverata.

Impossibile per il marito Shoichi e il ragazzino metterla in salvo, nonostante la corsa disperata. Dovranno piangere una delle tante, troppe, vittime perite a causa della lotta dell’uomo contro se stesso, in nome di una fallace egemonia imposta dall’alto.

Trascorso un anno, Mahito non ha ancora elaborato la dolorosa perdita, la sua rabbia è latente, nascosta dalla maschera dell’assertività nell’accettare, ad esempio, il matrimonio del padre con la sorella minore della defunta, Natsuko, in attesa di un bambino, cui è conseguito il trasferimento nella campagna giapponese.

Vanno infatti ad abitare nella grande villa di proprietà della donna, poco distante dalla fabbrica di componenti d’aereo dove lavora Shoichi, ingegnere. L’affetto che la zia rivolge al nipote, così come le attenzioni esternate da sette anziane signore cui è affidata la cura della magione, non sembrano cambiare di molto la situazione, tanto che Mahito compirà, tra l’altro, degli atti di autolesionismo, colpendosi la testa con una pietra, pur affermando di essere caduto, una volta che il padre darà la colpa a dei coetanei, con i quali aveva comunque fatto a botte.

L’attenzione del giovane sarà presto rivolta ad una imponente torre che svetta poco distante dalla villa, eretta per volontà di un suo prozio, verso la quale l’indirizza un inquietante e onnipresente airone cinerino, che gli farà conoscere l’esistenza di un altro mondo, popolato da strane creature ma anche da qualcuno che lo aiuterà a comprendere la necessità di crescere e mettere in atto delle scelte.

Presentato tra gli Eventi Speciali della 21ma edizione di Alice nella Città, in  coproduzione con la Festa del Cinema di Roma, recente vincitore del Golden Globe per il miglior film d’animazione, Il ragazzo e l’airone vede Hayao Myazaki cimentarsi nuovamente alla regia e alla sceneggiatura, mutando quindi rotta, fortunatamente, riguardo l’annunciato ritiro.

Traendo ispirazione dal romanzo Kimitachi Wa Dō Ikiru Ka (Tu, come vivi?, titolo originale del film) di Genzaburō Yoshino, 1937, il cineasta giapponese si conferma come un autore capace di rinnovarsi attingendo, sempre e comunque, dal proprio vissuto, umano e artistico, anche considerando quanto l’opera si riveli ricca di riferimenti sia autobiografici sia inerenti alle precedenti realizzazioni.

Ecco perché, almeno a mio parere, Il ragazzo e l’airone andrebbe visionato, ovviamente in sala, mantenendo la mente sgombra dalle logore tiritere se sia o meno accostabile nella resa complessiva a quella propria dei conclamati capolavori di Myazaki, lasciandosi quindi avvolgere dalla piacevole ed affabulante sensazione di una narrazione posta in essere assecondando il puro e semplice piacere di raccontare.

Un sentore quello descritto che trova congruo risalto nell’ambito di un disegno felicemente tradizionale, con un minimo di ricorso funzionale alla CGI (il film ha richiesto sette anni di lavorazione), a conferire fascino visivo (l’impressionante sequenza iniziale dell’incendio di Tokyo, con le fiamme che sembrano dar fuoco allo schermo) e trasporto onirico (il commovente volo dei Wara Wara, le anime in viaggio verso il mondo terreno), quest’ultimo ora ammantato di una visionarietà tragica (ad esempio, le suddette anime sono il cibo preferito di famelici pellicani).

Evidente anche, sempre riportando la mia primaria e personale sensazione, l’urgenza narrativa di dar vita, in chiave metaforica, ad una sorta di lascito rivolto agli spettatori in genere e ai più giovani in particolare, ovvero verso quale direzione intendano esternare il proprio assunto esistenziale, quella di una passiva acquiescenza dell’incedere quotidiano o, viceversa, il traguardo, raggiungibile dopo tutta una serie di esperienze, rappresentato da una inedita consapevolezza relativa al proprio agire, tanto nei riguardi di se stessi che di quanti vi gravitino intorno, familiari, amici, persone in genere.

Il viaggio che andrà ad intraprendere Mahito verso un “mondo altro”, sospinto dall’airone, il cui “involucro” piumato nasconde un buffo ometto (nella mitologia cinese l’airone rappresenta il punto di contatto tra i vivi e i morti), sarà infatti sostenuto da determinate figure il cui apporto si rivelerà decisivo nell’affrontare le varie avversità cui il giovane andrà incontro, come quelle rappresentate dai terribili parrocchetti, pronti a fagocitare tutto e tutti in nome di un imposto conformismo, tra il dittatoriale e il militaresco.

Il nostro comprenderà in primo luogo come, citando Erich Fromm, “il compito principale nella vita di ognuno è dare alla luce se stesso”, affermando quindi la propria individualità, fino a nutrire poi, in virtù di tale assunta cognizione, comprensione ed umanità.

Acquisirà poi l’intuizione di quanto vita e morte si rendano protagoniste di un incessante gioco al rimpiattino nella loro necessaria complementarietà: si nasce e si muore in forza dell’impulso scaturente da una Entità che tutto sovrasta e comprende, un intimo amplesso esternato da una divinità o da uno spirito animistico che conferisce al contempo materialità e volubilità.

Si lascia all’essere umano il compito di attribuire alla ritualità giornaliera opportuno significato, per il tramite delle proprie come delle altrui azioni. Non posso certo negare di aver avvertito a volte il sentore di un procedere per accumulo nel susseguirsi e rincorrersi di varie soluzioni visive, per quanto sempre affascinanti e, soprattutto, distanti  dal didascalico.

A noi spettatori viene data la possibilità di sostenere l’interpretazione maggiormente inerente al nostro essere, al nostro atteggiamento esistenziale e sociale, anche in base all’esternazione di una diversificata sensibilità. Parimenti, però, ritengo che Kimitachi Wa Dō Ikiru Ka vada a delinearsi come un film intenso, narrativamente e visivamente coinvolgente, tra emozione e commozione, un racconto di formazione per certi versi inedito e al contempo singolare flusso di coscienza.

Si offre, andando a concludere, concretezza allegorica ad un percorso dalla tangibilità dantesca (“Fecemi la Divina Potestate” si legge all’ingresso di quella selva oscura in cui si troverà immerso Mahito, citazione del Canto III, Inferno, della Divina Commedia), comprensivo di un “e quindi uscimmo a riveder le stelle” (Inferno, XXXIV, 139) rivestito della consistenza propria di un invito a riscoprire l’originaria armonia creaturale, seguendo la scia di una inedita rinascita.

4 risposte a “Il ragazzo e l’airone”

  1. […] Lingua Straniera, e il Suono (Johnnie Burn, Tarn Willers) Miglior Film d’Animazione è risultato Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki. Di seguito, l’elenco dei premiati, relativamente al settore cinematografico. […]

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  3. […] Film d’Animazione è risultato Il ragazzo e l’airone di Hayao Myazaki, mentre Anatomia di una caduta è stato premiato per la Miglior Sceneggiatura […]

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