
Ho sempre considerato Walter Chiari come una delle figure più complesse e meno comprese nell’ambito dello spettacolo italiano, probabilmente prigioniero del suo stesso straordinario eclettismo, volto a delineare, unendo tradizione e modernità, un’inedita, almeno nel nostro paese, figura di entertainer, ancora prima che d’attore propriamente detto, anche nella spesso abusata aggettivazione “comico”.
Capace di sfruttare tanto una mimica non legata a precise caratteristiche fisiche, quanto un’esuberante interazione con il pubblico per dar vita a diversi personaggi, anche con il semplice racconto di una barzelletta, era lontano anni luce dalla classica “macchietta” e, pur predominando man mano toni più malinconici, credo sia riuscito a mantenere sino all’ultimo quell’aria da ragazzo mai propriamente cresciuto, forse anche ammantata da un certo spirito goliardico.

Ricordo con piacere molti suoi sketch televisivi, alcuni ho avuto modo di rivederli o di vederli per la prima volta “da grande” (la riproposizione dei fratelli De Rege o Il Sarchiapone, entrambi con Carlo Campanini) in programmi come Storia di un altro italiano, sette puntate a cura di Tatti Sanguineti, e man mano, appassionandomi al personaggio, ho cercato i vari film a cui ha preso parte negli anni, rimanendo colpito in particolare dalla sua interpretazione ne Il giovedì, Dino Risi, ’63, come da quella offerta in Bellissima di Visconti, ‘51 o ne La rimpatriata, ’63, Damiano Damiani, limitandomi a qualche titolo tra i tanti, per ragioni di brevità e giusto per evidenziare il già citato eclettismo, specie in presenza di valide scritture.
Proprio alla recensione del citato film Il giovedì, già pubblicata sul numero 118-luglio 2023 di Diari di Cineclub, affido il ricordo del grande attore nel centenario della sua nascita.
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Roma, anni ’60, un giovedì di settembre, ore 9 del mattino. Dino Versini (Walter Chiari), quarant’anni, viene svegliato da Elsa (Michèle Mercier), la donna con cui convive e che lo mantiene, assecondandone il fare fanfarone e il perseguire vari espedienti, per lo più fantasiosi, che a suo dire dovrebbero garantirgli un posto di rilievo all’interno della rampante imprenditoria italiana propria dell’incipiente boom economico.
E’ un giorno importante per il nostro, quello che il giudice, dopo la separazione dalla moglie Anna (Carol Walker), ha stabilito perché possa vedere il figlio Robertino (Roberto Ciccolini), 8 anni, che frequenta un prestigioso collegio svizzero ed è seguito da una irreprensibile nurse, la quale insieme alla madre gli impartisce rigide regole comportamentali.
Presa a noleggio una monumentale Cadillac decappottabile in luogo della paventata 600 per far bella figura col pargolo, offrendo in garanzia all’amico garagista un orologio patacca, Dino si presenta in ritardo all’appuntamento, cercando, non senza qualche reciproco imbarazzo, di sciogliere il ghiaccio con quel bambino che ormai non vede da un bel po’ di tempo, comperandogli la versione più costosa del Meccano e poi portandolo alle giostre (anche se in groppa al cavalluccio meccanico pare divertirsi solo lui…), al bar per un gelato ed infine ad incontrare l’unico amico romano, Remo, di poco più grande, il ragazzino addetto all’ascensore nell’albergo dove Robertino solitamente alloggia, ora intento a giocare a pallone con altri coetanei.
Anche in tale frangente Dino avrà modo di far sfoggio della sua infantile sbruffoneria, come anche una volta giunti al mare, dove incontrerà Elsa, pronta a rendergli il ben servito dopo aver ascoltato le solite scuse nel rifiutare la possibilità di un impiego nell’ufficio dove lei lavora.
La giornata volge al termine, ma resta ancora un po’ di tempo per una visita all’anziana madre, così da farle conoscere il nipotino, ed un incontro, che si rivelerà disastroso, con tale Rigoni (Umberto D’ Orsi), ingegnere vittima di un raggiro da parte del maturo scapestrato e dei suoi compari, dopo di che padre e figlio faranno ritorno in albergo, entrambi ora più consapevoli l’uno dell’altro ed avviati verso nuove modalità nell’affrontare il quotidiano.
Tra i titoli forse meno noti, e comunque meno celebrati, da critica e, in parte, pubblico, di Dino Risi, regista e sceneggiatore (in tale ultimo caso insieme a Castellano e Pipolo), Il giovedì andrebbe invece, almeno a parere dello scrivente, rivalutato e considerato con la dovuta attenzione, in particolare contestualizzandone il periodo di realizzazione e rimarcando la cura formale profusa dalla regia nel visualizzare con meticolosità quasi antropologica determinati aspetti propri dell’epoca, vedi il piano sequenza iniziale sullo scorrere dei titoli di testa che dall’esterno di una ricostruita zona della Capitale, sul cui sfondo si stagliano nuovi edifici costruiti in serie, ci conduce all’interno dell’appartamento dove vivono Dino ed Elsa, o le riprese sulla spiaggia assolata, brulicante di spensierati bagnanti, passando per quelle inerenti l’improvvisato campo di calcio nei pressi di una chiesa ai margini di una periferia o gli interni dell’abitazione in cui vive la madre del protagonista.
Il lavoro di scrittura, pur offrendo spazio a dei bei dialoghi, dai quali si evince ogni sfumatura psicologica relativa al carattere dei personaggi (ad esempio, quello tra Dino e la madre, con quest’ultima ad evidenziare il successo lavorativo del fratello), a volte scricchiola nel volgere verso qualche divagazione superflua, come il balletto delle gemelle Kessler all’interno di uno studio di registrazione, anche se l’incidenza dei descritti difetti viene colmata dall’interpretazione attenta e misurata offerta da Walter Chiari nel rimarcare gli aspetti più profondamente intimistici del personaggio interpretato, un Peter Pan parente alla lontana di quel Bruno Cortona interpretato da Vittorio Gassman ne Il sorpasso diretto sempre da Risi due anni prima.
Rispetto al citato Cortona manifesta però, sempre e comunque, una maggiore sensibilità, mantenendosi distante dal gretto cinismo per porsi invece più vicino ad un’ingenuità dal retrogusto fanciullesco, che d’altronde andrà a creare una graduale sintonia con Robertino, interpretato da Ciccolini con convincente spontaneità immedesimativa, mantenendosi fortunatamente distante da moine ed ammiccamenti “piacioni”.
Padre e figlio andranno infine incontro ad una particolare crescita reciproca, riprendendo ed approfondendo quanto scritto nel corso dell’articolo, rispettivamente un approccio meno rigido e convenzionale al quotidiano per il bambino e la consapevolezza della necessaria acquisizione di una compiuta maturità da parte del genitore.
Il loser Dino, “disadattato in letizia”, saprà comunque ritagliarsi una fetta di felicità, o qualcosa che ci vada vicino, mantenendo però, come un Pinocchio che non si sia del tutto liberato dell’involucro ligneo da marionetta birbante, quell’indole genuinamente infantile che in fondo gli è propria, sotterfugio, forse inconsapevole, per sfuggire al “logorio della vita moderna” o all’inquadramento irreggimentato in qualsivoglia categoria sociale.
Si può citare al riguardo l’emblematica sequenza finale, quando l’imperituro giuggiolone percorrerà la scalinata che lo conduce all’appartamento di Elsa saltando i gradini al ritmo del lancio di scoppiettanti castagnole.
Un film, contornato da un efficace commento sonoro di Armando Trovajoli oltre che da vari successi del periodo, da riscoprire e riconsiderare, per la sua capacità illustrativa di una ritrovata intimità nella cornice di profondi cambiamenti sociali, alla luce di un benessere per certi versi imposto e omologante, ma anche per apprezzare nella loro totalità le pregevoli doti interpretative di un attore come Walter Chiari, la sua propensione all’impiego di una mimica slegata da precise caratteristiche fisiche, cui non sempre il cinema ha offerto, almeno a parer mio, adeguato spazio, sottovalutando l’eclettismo che gli era proprio nel deviare i toni ironici verso modalità più ponderate e soffuse di una certa malinconia, preservando quell’aria da ragazzo mai propriamente cresciuto, forse anche ammantata da un certo spirito goliardico.
Pubblicato su Diari di Cineclub N. 118- Luglio 2023






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