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Votato dal Comitato di Selezione dell’ANICA quale film che rappresenterà l’Italia alla 97ma edizione degli Academy Awards®,  così da concorrere per la shortlist che andrà ad includere i quindici migliori film internazionali selezionati dall’Academy®, vincitore all’81ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del Leone d’Argento- Gran Premio della Giuria, Vermiglio, scritto e diretto da Maura Delpero, ne conferma alla visione la concreta impronta autoriale, già evidente in Maternal (2019), suo esordio nei lungometraggi,  che seguiva ad una serie di esperienze registiche inerenti documentari, cortometraggi e mediometraggi. Sono rimasto piacevolmente ammaliato dalla fulgida bellezza visiva, il succedersi di rigorose inquadrature, intervallando campi lunghi e primi piani, ma anche dalla capacità di sostenere con la forza delle immagini silenzi e sottintesi.

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Mi ha poi ulteriormente affascinato il tocco poeticamente pudico nel ritrarre determinate situazioni, così come l’impiego di una colonna sonora per lo più diegetica. L’autrice ritrae il paese che dà il titolo al film, sostenuta dalla fotografia densamente pittorica di  Michail Kričman, come un microcosmo aduso a rappresentare, nella temporalità circoscritta nel susseguirsi delle stagioni tra il ’44 il ’45, subito dopo l’armistizio di Cassibile e poco prima della conclusione del II Conflitto, lo status esistenziale di una comunità, e di una famiglia nello specifico, idoneo a farsi specchio tanto dell’Italia che è stata quanto di quella che si preparava al futuro, volgendo all’oggi nel conferire concretezza all’assunto del progresso cui si è giunti, in nome di costanti sacrifici e lotte sacrosante, riguardo i diritti inerenti la condizione umana in generale e quella femminile in particolare.

Non a caso infatti, riporto la mia primaria sensazione, all’interno della numerosa famiglia (sette figli, non contando quelli deceduti anzitempo ed uno in arrivo) del maestro Cesare (un eccelso Tommaso Ragno) e della casalinga Adele Graziadei (Roberta Rovelli), a trovare risalto sono in particolar modo le tre figlie, la più grande Lucia (Martina Scrinzi), proseguendo, in ordine d’età, con Ada (Rachele Potrich) e finendo con Flavia (Anna Thaler). Ognuna di loro vanta una ben precisa personalità, però l’affermazione di una concreta individualità risulta soffocata da varie restrizioni, non solo economiche.

Giuseppe De Domenico, Martina Scrinzi, Anna Thaler (Movieplayer)

Se quindi Lucia appare destinata a succedere nel ruolo alla madre, sposarsi e mettere al mondo una prole possibilmente numerosa (“non lo fo per piacer mio, ma per dare figli a Dio”,  la precipua educazione sessuale del tempo), Ada, che vive una sessualità non ancora definita, i cui istinti (l’attrazione per una ribelle coetanea) e conseguenti esternazioni vanno a trovare espiazione tra giaculatorie e ripetute confessioni, non continuerà gli studi, come invece sarà per Flavia, in base alla “selezione naturale” posta in essere dal padre, persona autoritaria e severa  ma non violenta, propensa, a prezzo di qualche sacrificio, a nutrire l’anima oltre che il corpo, vedi la lettura di libri e il comperare particolari incisioni di musica classica, da far ascoltare anche ai suoi studenti. Pure la sessualità del capofamiglia, comunque, trova “sfoghi virtuali”, al di là del talamo nuziale.

La guerra appare lontana, qualche aereo di passaggio, i borbottii degli anziani seduti al bar, che riservano commenti astiosi a quanti hanno disertato, come il giovane siciliano Pietro (Giuseppe De Domenico), fuggito dal fronte, arrancando verso il paese portandosi in spalla il commilitone Attilio (Santiago Fondevilla Sancet), parente dei Graziadei. Di questo “straniero” andrà ad invaghirsi Lucia e, dopo un corteggiamento  tra ingenui bigliettini amorosi e qualche incontro più approfondito, che porterà la donna allo stato di gravidanza, i due si sposeranno, con il consenso paterno. Sarà l’avvio di  un inaspettato corto circuito all’interno di un nucleo familiare la cui esistenza si è sempre basata sulla ritualità dei tanti gesti quotidiani e sul rispetto delle tradizioni, in particolare quando, a guerra finita, Pietro dovrà far ritorno in Sicilia…

Martina Scrinzi (Movieplayer)

Merviglio nella  particolare composizione sopra descritta mette in scena un’atmosfera elegiaca e rarefatta, rendendo il paesaggio, le montagne che circondano la valle, i boschi circostanti, ulteriore protagonista, totalmente correlato alla narrazione. Quest’ultima si avvale di una portata antropologica nel riportare, cadenzando il ritmo a quello del succedersi stagionale, sia la routine giornaliera della famiglia (ad esempio la mungitura della mucca e il razionamento del latte per ogni componente, con la madre ad assicurare alla  numerosa prole identica portata), con dialoghi in dialetto vividi di abitudinarietà  ed ironia (espressa soprattutto dai bambini, nei loro candidi commenti ai vari accadimenti), sia quella propria della comunità (i festeggiamenti per Santa Lucia, in attesa del Natale).

La macchina da presa predilige l’inquadratura fissa, dalla portata quasi documentaristica nel far sì che siano gli interpreti a movimentare la scena con le loro azioni e reazioni, rendendo il tutto come se si verificasse “qui ed ora”, materializzandosi dinnanzi l’obiettivo. Volendo fare i sofistici, forse il viaggio di Lucia in Sicilia non appare del tutto coordinato con quanto narrato in precedenza, probabilmente poteva risolversi con una maggiore accuratezza nel montaggio, ma ritengo che quanto testé scritto non vada ad inficiare l’impatto complessivo di un’opera certamente distante dalla maggior parte delle attuali proposte, fiera rappresentante di “un cinema altro”, che ci parla di un ieri del nostro paese come fosse cristallizzato in un sogno lontano.

Un passato riportato all’oggi nella necessità, purtroppo sempre presente, di far comprendere a quanti hanno chiuso occhi e orecchi rendendo il loro cuore duro (Matteo 13,10-17, ogni riferimento ai vari baciapile seduti su alti scranni non è puramente casuale), cosa abbia significato  giungere ad una compiuta emancipazione ed autodeterminazione, per le donne nello specifico e per l’essere umano in sé e per sé considerato: si nasce non come maschio o femmina, bensì nella qualità di persona e in quanto tale si andrà a lottare per liberarsi da qualsivoglia pastoia che limiti l’affermazione della propria individualità diversificante all’interno della società.

Immagine di copertina: Movieplayer

6 risposte a “Vermiglio”

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