(Ufficio Stampa)

A cinquant’anni esatti dalla sua uscita cinematografica, il 27 marzo 1975, la Cineteca di Bologna, in collaborazione con RTI e Mediaset Infinity,  porta nelle sale italiane il restauro di Fantozzi, realizzato dal laboratorio L’Immagine Ritrovata, con la supervisione di Daniele Ciprì per la color correction. Proprio giovedì 27 marzo, alle ore 19, al Cinema Barberini di Roma, dove lo stesso giorno di 50 anni fa si tenne  la prima del film, ci sarà una serata speciale con la proiezione del primo titolo della saga con protagonista lo sfruttato travet, accompagnata dalla figlia di Paolo Villaggio, Elisabetta, dal figlio del regista Luciano Salce, Emanuele, dall’attore Plinio Fernando, dall’autore dell’indimenticabile colonna sonora, Fabio Frizzi, dal citato Ciprì, regista e direttore della fotografia che, come su scritto, ha curato il restauro, coordinati dal critico Marco Giusti. All’interno della serata sarà inoltre presentato Fantozzi: Batti lei, il gioco creato da Andrea Angiolino per celebrare i 50 anni dall’uscita del film nelle sale.

Andando alla genesi del personaggio di Fantozzi, dai primi articoli sull’ Europeo, ai monologhi della trasmissione televisiva Quelli della domenica, il mesto impiegato si concretizzava dapprima in due libri di grande successo, Fantozzi e il Secondo tragico libro di Fantozzi (Rizzoli Editore, 1971 e 1977) poi al cinema, attingendo dalle menzionate pubblicazioni. Quest’ultime si rivelarono a loro modo innovatrici nell’uso di una lingua italiana spesso distorta, ad uso e consumo del surreale e del grottesco propri di ambienti e personaggi. In un periodo in cui la classica commedia all’italiana tentava estremi rinnovamenti, cercando di cogliere le profonde mutazioni in atto nella società, Fantozzi offriva spazio ad una comicità di derivazione cabarettistica, ulteriormente trasformata dal passaggio televisivo, attraversata da un linguaggio innovatore, con espressioni ormai entrate nell’uso comune, scaturente dalle (dis)avventure di un singolo personaggio, più che dalla coralità della vicenda in sé.

Liù Bosisio, Paolo Villaggio, Plinio Fernando ( Di sconosciuto – Capodanno Rai come Fantozzi: sbaglia il Countdown, su movieplayer.it, 2 gennaio 2016., Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=6044623)

La signora Pina (Liù Bosisio) telefona in ditta dove lavora il marito, ragioniere Fantozzi Ugo (Villaggio), impiegato Ufficio Sinistri, numero di matricola 1001/bis,  del quale non si hanno notizie da 18 giorni, senza che qualcuno si sia accorto della sua assenza. Risultato delle ricerche, il nostro è stato murato vivo nei vecchi bagni dell’azienda, durante una ristrutturazione. Una voce fuori campo ci descrive la sua vita, tra lavoro e famiglia (la figlia Mariangela, Plinio Fernando, alias Cita, come … Cita Hayworth), i rituali del risveglio mattutino con l’incubo di non riuscire a timbrare in tempo il cartellino, il vano corteggiamento della collega Silvani (Anna Mazzamauro e le sue labbra fatali),  amore segreto, con fallimentari inviti a cena. Ecco poi le terrificanti iniziative ricreative di un altro suo collega, Filini (un superbo Gigi Reder), senza dimenticare i tentativi di ingraziarsi il capo del personale perdendo a biliardo, che falliranno causa moto d’orgoglio improvviso.

Infine, il nostro si ritroverà confinato in uno stanzino, spazio diviso con un impiegato comunista che gli renderà per un attimo le cose più chiare (“allora in questi anni mi hanno preso per il c**o!”). Convocato dal megadirettore, la ribellione sarà infatti piegata dai modi affabili, “progressisti” di quest’ultimo, tanto da indurlo ad offrirsi come “triglia umana” per l’acquario dei dipendenti. Diretto con mano ferma da Luciano Salce, anche sceneggiatore insieme a Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi e lo stesso Villaggio, sostenuto da un più che valido cast, il film, dopo il prologo introduttivo, procede per singoli episodi, dai temi costanti e ripetitivi ma efficaci ai fini della risata, per quanto spesso amara. Domina una comicità che ancora prima del cabaret, trova le sue fonti nello slapstick del cinema muto per poi essere enfatizzata, fino all’iperbole surreale ed onirica, con toni sospesi tra il grottesco e il demenziale.

Paolo Villaggio e Gigi Reder (Movieplayer)

Sono questi ultimi a rappresentare la “tragica” condizione di un misero travet, dalle ascendenze letterarie ottocentesche, la cui accondiscendenza, verso superiori e colleghi, l’obbedienza e il servilismo più bieco rappresentano la sua sola ragione di vita o, meglio, l’unico mezzo per potere essere accettato e compreso in un sistema nel quale, consapevolmente, non potrà mi essere incluso. In virtù di tali caratteristiche il personaggio è più anarchico e reazionario di quanto possa apparire di primo acchito, tanto da superare a mio avviso, almeno in questo primo film e nel suo riuscito seguito, lo stadio di caricatura, e simbolo allo stesso tempo, di quel ceto medio piccolo-borghese, del tutto vivo e pulsante nell’ Italia degli anni ’70, prodotto estremo di un miracolo economico ormai al termine.

Fantozzi è divenuto così il nostro capro espiatorio, compagno di una catarsi mai definitiva, tra lavoro a tempo indeterminato (un sogno, allora come oggi, pur nelle diverse motivazioni) ma privo di qualsiasi scatto in avanti per tutta la vita. Stesso luogo, stesse mansioni, scarsi interessi, che non siano quelli coincidenti con l’hobby del superiore di turno o le citate terrificanti proposte di gite o raduni “alternativi” del collega Filini. Ben 8 episodi dopo i primi due film, con Milena Vukotic a subentrare nel ruolo della moglie Pina (la Bosisio rientrerà momentaneamente in SuperFantozzi, 1986, Neri Parenti), improntati purtroppo ad una serialità ripetitiva e qualche caduta di stile, con felici eccezioni (Fantozzi va in pensione, 1988, Fantozzi in Paradiso,1993, sempre per la regia di Parenti).

(Rielaborazione dell’articolo scritto il 3 luglio 2017, alla morte di Paolo Villaggio; immagine di copertina: Oswald LR, Public domain, da Wikimedia Commons)

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