
Anni ’60, un giorno qualsiasi in un tipico quartiere londinese. La consueta routine, persone che passeggiano osservate da altre persone affacciate alle finestre, viene sconvolta dal rumore di uno sparo, non proveniente certo dalla pistola giocattolo che un ragazzino ha puntato contro l’anziana signora Dunhill (Estelle Winwood), come quest’ultima d’altronde ci tiene a precisare. A suo dire, infatti, a sparare è stata una calibro 38, nell’appartamento sito al civico n.33, dove nel frattempo un’automobile esce dal garage a tutto gas, dopo che il guidatore vi ha caricato su un cadavere. Qualche giorno dopo, ecco presentarsi all’uscio dello stabile un uomo distinto, tale William Gridley (Jack Lemmon), diplomatico americano di stanza all’Ambasciata del suo paese nel Regno Unito, che ha letto l’annuncio sul giornale relativo ad un appartamento in affitto.

Avrà modo di parlare con la proprietaria, americana pure lei, Carlye Hardwicke (Kim Novak), che però finge di essere la cameriera, anche se il diplomatico, visibilmente attratto dalla donna, non cadrà in inganno, stando comunque al gioco, a fini seduttivi. Il motivo della reticenza nel rivelare la propria identità sarà presto svelato dal superiore di William, Franklyn Ambruster (Fred Astaire): l’affascinante Carlye è accusata dell’omicidio del marito, ma non può essere sottoposta a processo, in quanto non ne è stato rinvenuto il cadavere. Non a caso infatti, l’ispettore di Scotland Yard Oliphant (Lionel Jeffries) ha fatto appostare un agente nei pressi della sua abitazione e chiederà proprio al candido William, oramai perdutamente innamorato di Carlye, di collaborare per appurarne la colpevolezza…

Sceneggiato da Blake Edwards e Larry Gelbart sulla base del racconto The Notorius Tenant di Margery Sharp e diretto da Richard Quine, The Notorius Landlady si palesa alla visione come una comedy mistery che non chiede altro d’intrattenere piacevolmente, facendo leva sulla bontà interpretativa dell’intero cast e su un lavoro di scrittura che offre dialoghi brillanti ed un succedersi ottimamente congegnato di colpi di scena, anche se avrebbe meritato una durata minore e un più definito amalgama tra i differenti stilemi. La regia di Quine poi, almeno ad avviso di chi scrive, sembra arrendersi alla mera diligenza, per quanto, a tratti, si riveli piacevolmente movimentata nel seguire l’incedere degli accadimenti e le loro conseguenze sui protagonisti.

Quella che potremmo definire la prima parte del film può considerarsi una sorta di prologo preparatorio ai successivi coup de théâtre, quando entreranno gradualmente in scena i personaggi principali e le loro caratteristiche psicologiche e comportamentali: l’apparentemente sprovveduto William, reso abilmente da Lemmon nella sua accecante “fregola sentimentale”, che fa precipitare rovinosamente ogni istanza di impettito perbenismo; l’ingenua, pro domo sua, Carlye, cui la splendida Novak offre tutta l’ammaliante ambiguità dello sguardo che le è proprio; il fare elegante e serpentino delineato, anche nella mimica corporale, da un brillante Fred Astaire; ultimo ma non per ultimo, come si suole dire, l’annaspare nel buio visualizzato da Jeffries nell’impersonare l’ispettore di Scotland Yard, sorta di prototipo, vagamente più acuto, dell’ispettore Clouseau.

Ecco che, una volta dipanata la trama, tutto diviene più coinvolgente, dando al pubblico la possibilità di stare al gioco orchestrato dalla messa in scena, nella proposizione sagace di vari cliché, tra intrigo e pochade. La Londra ricostruita in studio si offre teatralmente al mistero nel suo “tradizionale” aspetto nebbioso, i citati colpi di scena si susseguono fino all’ultimo, per poi arrivare ad una sorta di alleggerimento con una sequenza forse slegata dal contesto, ma sicuramente gustosa nell’omaggiare (e qui si nota lo zampino di Edwards) le vecchie comiche del muto, quando le note della musica sinfonica elargite da un’orchestrina nel giardino di una casa di riposo andranno a rimarcare l’incedere slapstick di varie situazioni (l’inseguimento da parte di William della citata signora Dunhill, seduta su di una sedia a rotelle, ad esempio). Su questo sfondo ilare vi sarà la faticosa composizione dei chiarimenti riguardo i tanti eventi che si sono succeduti uno dietro l’altro, culminando anche in una fase processuale, senza svelare altro della trama.
Andando a concludere, Notorius Landlady non avrà certo l’allure del capolavoro conclamato destinato a passare alla storia (cinematografica), ma riesce a tutt’oggi nell’intento d’intrigare e divertire, offrendo un valido esempio di come si possa intrattenere con gusto, sottile umorismo ed una buona dose di sana inventiva nel miscelare tra loro diversi generi, pur mancando il bersaglio di una definita omogeneità.
Pubblicato su Diari di Cineclub N. 141 Settembre 2025






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