(Ufficio Stampa)

Presentato, in concorso, nella sezione Orizzonti della 81ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, L’attachement è l’adattamento del romanzo L’intimité di Alice Ferney (2020), per la regia di Carine Tardieu, autrice anche della sceneggiatura insieme a Raphaële Moussafir e Agnès Feuvre. Scrivo da subito che il film mi ha piacevolmente conquistato, avendone apprezzato in primo luogo lo scorrere della narrazione, inteso ad assecondare con naturalezza quel tourbillon de la vie che alimenta, spesso e volentieri, il muoversi della giostra dei sentimenti,  prendendo a prestito il titolo della canzone intonata da Jeanne Moreau in una sequenza di Julies et Jim (François Truffaut, 1962). In seconda analisi, poi, non ho avuto alcuna difficoltà nel rispecchiarmi, con trasporto empatico, nel  bellissimo personaggio di Sandra, interpretato con fine sobrietà e vivido realismo da Valeria Bruni Tedeschi.

Pio Marmaï e César Botti (Ufficio Stampa)

Una donna concretamente libera, sola ma non solitaria, paga della sua attività di libraia, i cui legami affettivi non hanno mai avuto i risvolti della stabilità, come, ad esempio, generare dei figli. La tranquillità dell’appartamento al cui interno esercita la propria “sovranità” (i rapporti con l’altra metà del cielo si svolgono al di fuori delle mura domestiche), viene improvvisamente interrotta dal suono del campanello. Cécile (Mélissa Barbaud) ed Alex (Pio Marmaï), la coppia che alloggia di fronte, le chiede di badare al piccolo Elliott (César Botti), sei anni. Devono infatti recarsi con urgenza in ospedale, Cécile è prossima a partorire. Tra Sandra e il bambino andrà a crearsi, già dai primi sguardi, un particolare legame, che per certi versi si potrebbe definire paritario, considerando l’acuta schiettezza dell’uno e il naturale sarcasmo dell’altra, arricchito dalle variabili del cinismo e della disillusione.

Valeria Bruni Tedeschi (Ufficio Stampa)

Il rapporto tra i due si svilupperà ulteriormente, al pari di quello con Alex, dopo il triste accadimento della morte di  Cécile durante il parto, il tempo di mettere al mondo una bambina, Lucille, sulla cui crescita, da qui al compimento del secondo anno d’età, si snoderà il corso degli eventi, che vedrà coinvolte più persone: Fanny (Catherine Mouchet), la madre di Cécile; David (Raphaël Quenard), il padre biologico di Elliott; Marianne (Florence Muller), la sorella di Sandra e la loro madre (Marie-Christine Barrault); la pediatra Emilia Demetriu (Vimala Pons), che diverrà la compagna di Alex. Carine Tardieu asseconda con sensibilità e discrezione il mutamento esistenziale che interessa i vari personaggi, esponenti del mondo provinciale francese, mediamente benestante, alla luce di un lutto da elaborare e di una nascita da affrontare, “giocando” sui campi e controcampi della macchina a spalla per entrare in simbiosi con le rispettive emozionalità.

César Botti (Ufficio Stampa)

In particolare, nel porre in risalto la gradualità di un sentimento affettivo travalicante la semplice idea di genitorialità, che interessa sì Sandra, ma anche tutti coloro che vi ruotano intorno, ecco stagliarsi la differenziazione pratica tra “l’attaccamento” del titolo, ovvero, come ha spiegato l’autrice in un’intervista richiamando la teoria di  John Bowlby, quell’ impulso primordiale, coincidente con l’istinto di sopravvivenza,  proprio di una creatura appena venuta al mondo, che la spinge ad attaccarsi a chi si prenderà primariamente cura di lei e l’amore vero e proprio, il sentimento che nasce improvvisamente, senza bussare alla porta del cuore, facendo sì che quest’ultima si apra all’improvviso, spiazzando non poco nel far avvertire il sentore di una ritrovata capacità di amare.

Valeria Bruni Tedeschi e Pio Marmaï (Ufficio Stampa)

Un’apertura agli affetti che Sandra asseconda senza tradire la propria indole: quanto prova dapprima verso Elliott e poi nei confronti di Lucille non è certo un afflato materno, come lo stesso bambino percepisce nel condividerne il trasporto emotivo, non vedendovi una sostituta della madre morta, ma qualcosa di “specialmente” naturale e spontaneo, non irreggimentato tra le fila dei rapporti costituti sulla base dei consueti schemi sociali. A questi ultimi, per certi versi, ubbidirà Alex nel relazionarsi con Emilia, in odore di reciprocità, ricostruirsi una vita e intraprendere una relazione solo per obbedire a determinati cliché, orientati ad imporre una condizione etero determinata. Regia e sceneggiatura assecondano dramma ed ironia (il confronto generazionale e il femminismo nelle parole di Marianne e della madre, ad esempio), offrono risalto ai dialoghi ma anche al silenzio, così come rivolgono grande attenzione a tutti i personaggi, alla loro psicologia e alla loro correlazione con gli altri e con l’ambiente circostante, evitando luoghi comuni o l’esternazione mielosa di facili sentimentalismi “ricattatori”.

César Botti e Valeria Bruni Tedeschi (Ufficio Stampa)

Esemplare al riguardo la caratterizzazione e conseguente resa recitativa di César Botti nel raffigurare Elliott, fortunatamente lontane dall’artificio, un bambino già adulto per la sagacia espressa, non conseguente alla costrizione esistenziale che gli ha fatto affrontare determinate ambasce anzitempo. Bellissima la sequenza finale, l’abbraccio tra Sandra e Lucille distese su un prato, a celebrare, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, una maternità non catalogabile “classicamente” bensì emotivamente, celebrativa di un ritrovato senso di umanità, condividere il proprio stare bene con le necessità affettive altrui. Un film da vedere, per riscoprire il senso, nel pieno rispetto della propria individualità esistenziale, della condivisione di gioie e dolori che è propria dello stare al mondo, recitando la propria parte sul palcoscenico della vita, citando Shakespeare nel chiudere l’articolo.

Immagine di copertina: Valeria Bruni Tedeschi e César Botti (Ufficio Stampa)

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