
Presentato lo scorso mercoledì, 15 ottobre, all’interno della sezione Onde Corte di Alice nella Città, festival autonomo e parallelo della Festa del Cinema di Roma dedicato ai giovani, alla scoperta del talento e agli esordi, Io che non vivo, cortometraggio scritto, diretto e interpretato da Cristina Puccinelli, si sostanzia alla visione come un dramedy piuttosto diretto e sincero nel mettere in scena uno spaccato di quotidianità, le cui problematiche vengono delimitate dalla protagonista Viviana (Puccinelli) in una sorta di realtà parallela.
Attrice quarantenne in attesa di miglior fortuna, al momento impegnata in un programma di televendite insieme a Pupo, un amore passato ma non del tutto alle spalle ed un’amica sceneggiatrice (Laura Giannatiempo) che la sottopone ad una serie di prove recitative estenuanti, Viviana appare come sospesa in una bolla, un pesce che boccheggia all’interno di un acquario da lei stessa costruito tra ricordi e fantasie, che la vedono insieme a parenti deceduti o persone a lei care ancora in vita.

Al dolore sordo proprio di una esistenza non vissuta nella sua concreta interezza poco giovano le settimanali sedute dallo psichiatra (Carlo De Ruggieri) o l’esternazione indotta di un patimento sulle assi del palcoscenico, però qualcosa in Viviana andrà a mutare quando si troverà a confrontarsi con il dramma che sta vivendo l’anziana madre (Betty Pedrazzi), donna ancora vitale, ironica, ma oramai preda dell’ Alzheimer.
Rammenta, infatti, eventi lontani nel tempo e dimentica invece quelli giornalieri, ad esempio un probabile incidente automobilistico, sfalsando i piani temporali tra passato e presente. Un turbinio mnemonico che trova corrispondenza nella mescolanza tra realtà e immaginazione resa dalla figlia, andando a coincidere in ambedue i casi con lo smarrito senso della consapevolezza di sé, del proprio essere.
L’autrice valorizza con minimi movimenti di macchina ogni particolare della messa in scena, così come le singole interpretazioni attoriali, in sinergia con la fotografia di Michele D’Attanasio e la scenografia di Laura Vannoli. La città di Lucca assume così le caratteristiche proprie di un mondo a parte, un microcosmo sospeso tra realtà e sogno, passato e presente, in sintonia con gli stati d’animo delle due protagoniste.
Senza indulgere in toni melodrammatici o, peggio, pietistici, si riesce a conferire corporeità a quel senso straziante di nodo alla gola, col cuore trafitto da migliaia di spilli, che prende forma una volta giunti al crocevia imposto dalla vita, continuare ad assecondare un simulacro esistenziale o trasmutarlo nel conferire piena accondiscendenza e dedizione alla travagliata condizione in cui versa chi ti ha messo al mondo.

Infine, un cenno alla canzone che dà il titolo al corto e che rappresenta il leitmotiv dell’arco narrativo, Io che non vivo (Senza te), di Pino Donaggio (musica) e Vito Pallavicini (testo), che, come specificato dalla stessa regista, qui si allontana dal significato romantico originario e si avvicina invece alla condizione propria di Viviana, almeno fino alla sua rinascita, contribuendo “sanamente” a far leva sugli “affetti speciali” nel rendere un empatico e concreto trasporto emotivo agli spettatori.
Immagine di copertina: Betty Pedrazzi e Cristina Puccinelli ((Ufficio Stampa, foto di Jacopo Calabrò ©)






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