
Lo scrittore italo-americano Sam Dalmas (Tony Musante), in crisi d’ispirazione, si è trasferito da qualche tempo in Italia, a Roma, dove ha trovato lavoro, grazie all’amico ornitologo Carlo (Raf Valenti), in un istituto di scienze naturali. Qui ha portato a termine degli studi sulle caratteristiche di alcuni uccelli rari e ora è in procinto di far ritorno negli Stati Uniti, insieme alla compagna Giulia (Suzy Kendall). Una sera, nel rientrare a casa, assiste casualmente dalla vetrata di una galleria d’arte ad una colluttazione in corso al suo interno, tra una donna e un individuo non facilmente identificabile, vestito di nero da capo a piedi, il quale, brandendo un coltello, la colpisce e fugge via. Impossibilitato ad entrare nella struttura, Sam avvisa la polizia, che arriva sul posto guidata dal commissario Morosini (Enrico Mario Salerno): la vittima, ancora viva, è Monica Ranieri (Eva Renzi), il cui marito (Umberto Raho) è titolare della galleria.
Il funzionario nell’interrogare Sam lo informa che l’autore dell’aggressione potrebbe essere lo stesso che, nel corso di un mese, ha già ucciso tre ragazze, sempre con armi da taglio. Considerando come la sua testimonianza possa ritenersi incompleta, ha notato un particolare che potrebbe rivelarsi decisivo ma non riesce a ricordarsi quale, Sam vede sequestrarsi il passaporto, per cui, impossibilitato a partire ma anche incuriosito, inizia ad indagare per conto suo, mettendo a repentaglio la propria vita e quella di Giulia, mentre altre due donne vengono uccise… La genesi del film L’uccello dalle piume di cristallo, esordio alla regia di Dario Argento dopo i trascorsi di critico cinematografico e sceneggiatore, vede Bernardo Bertolucci adoperarsi per individuare chi potesse portare sul grande schermo, come da incarico ricevuto, il romanzo The Screaming Mimi di Fredric Brown, 1949, da noi noto col titolo La statua che urla.

La scelta cadde quindi su Argento, col quale il cineasta aveva collaborato per mettere su il soggetto del leoniano C’era una volta il West, che, entusiasta della storia, andò a scrivere il copione, ispirato dalle proprie suggestioni fantastiche e oniriche, idonee già sulla carta ad ammantare la quotidianità di un’aura inquietante. Proprio queste caratteristiche resero difficile rinvenire un produttore che accettasse il soggetto senza porre modifiche, spingendo Argento, sostenuto dal padre Salvatore, a dare vita alla Seda Spettacoli, società di produzione indipendente, in modo da sostenere economicamente e dirigere di persona la trasposizione di quel romanzo che tanto l’aveva appassionato.
Ecco allora irrompere nel nostrano panorama cinematografico un’opera certo innovativa nel mescolare, con una certa disinvoltura e padronanza tecnica, gli elementi propri di più generi (noir, giallo, thriller ed horror), così da far percepire, nell’ambito di un contesto realistico, sia la sospensione dei protagonisti in una sorta di mondo a parte, quello creato dalle loro ambasce e dal modo di reagire ad esse, sia l’incombente e percepibile presenza della morte. Prezioso al riguardo l’apporto della fotografia di Vittorio Storaro nel conferire satura consistenza all’alternanza di luce e ombra, ma anche delle musiche di Ennio Morricone, vedi la straniante cantilena infantile che accompagna l’entrata in scena dell’ “uomo nero”.

Argento rielabora sulla base del proprio immaginario, non solo cinematografico, quanto già delineato da Riccardo Freda e, soprattutto, Mario Bava (La ragazza che sapeva troppo, 1963; Sei donne per l’assassino,1964), senza tralasciare qualche riferimento hitchcockiano (l’uomo comune coinvolto in un delitto al quale ha, impotente ad agire, casualmente assistito; l’insospettabilità del colpevole, motivato nelle sue azioni da un trauma subito in giovane età). Ma i film di Argento, a partire ovviamente dal suo esordio, per stessa ammissione dell’autore(Profondo thrilling, 1994), sono fatti “per essere rappresentati e non per essere letti. Nascono per immagini e non per concatenazioni di storie”.
Prevalgono infatti, sempre e comunque, toni visionari ed onirici, mutuati da raffinate soluzioni registiche, a partire dalla soggettiva dell’assassino, che a inizio film vediamo prepararsi meticolosamente al prossimo delitto, con tanto di scelta dell’arma (bianca) più idonea, mentre l’obiettivo si restringe nella loro lugubre visualizzazione. Il valido lavoro di montaggio (Franco Fraticelli) si rivela fondamentale nel sostenere i bruschi ma suggestivi passaggi da campi lunghi a primissimi piani che si restringono sugli occhi degli interpreti oppure, riprendendo quanto già scritto, sugli oggetti, così come nel visualizzare nella sequenza di chiusura, in alternanza, quanto si andrà a notare nella successiva.

Una fascinazione visiva che offre quindi adeguato palcoscenico alle nostre paure e alle nostre angosce, le quali possono trovare improvviso buon albergo all’interno della rituale quotidianità, ammantandola di un’inquietudine dai contorni sinistri e per certi versi malsani, considerando come quest’ultima abbia comunque origine nei meandri di un inconscio reso torbido dai traumi irrisolti relativi ad esperienze esistenziali pregresse, fino ad arrivare ad un’infanzia oscura e tormentata. La suspense si concretizza in un crescendo quasi insostenibile, toccando anche punte di sadismo (l’assalto dell’assassino all’appartamento di Giulia) e inscenando diversi finali, suggeriti dapprima da un quadro naif opera di un bizzarro artista (Mario Adorf in gran spolvero) e poi dal verso di un particolare volatile udibile nella registrazione di una telefonata.
Sono tutte peculiarità quelle descritte che, ulteriormente perfezionate, caratterizzeranno le successive realizzazioni di Argento, contribuendo a far sì che, specie fuori patria, si parlasse definitivamente e senza intenti spregiativi di “giallo all’italiana”. La perfezione, almeno a mio avviso, sarà raggiunta con Profondo rosso, 1975, classico spartiacque prima della virata verso l’horror puro, per poi tornare in questi ultimi anni agli spunti iniziali, con risultati, purtroppo, non altrettanto felici. Personalmente quello degli esordi è l’Argento che preferisco, per la sua abilità profusa nel farci assaporare ed apprezzare il gusto pieno di una fervida autorialità innovativa, congiunta ad un afflato genuinamente pop.
Pubblicato su Diari di Cineclub N. 143-Novembre 2025– Immagine di copertina: Wikipedia





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