Ernst Lubitsch (Berlino, 1892-Bel Air, 1947), è stato un regista dotato di un notevole senso dello spettacolo e di una grande abilità nella direzione degli attori: distaccandosi dalle esperienze espressioniste proprie del cinema della sua terra d’origine, ha perseguito una personale strada creativa, elevando a stile grazia e leggerezza, che diverranno le costanti della sua produzione.
La sua carriera ebbe inizio in Germania con film storici ed avventurosi e proseguì ad Hollywood (venne chiamato nel 1922 da Mary Pickford, perché la dirigesse in Rosita ), dove diede il meglio di sè nella commedia sofisticata, passando per l’operetta.
Il cielo può attendere è uno dei suoi ultimi film, la cui sceneggiatura di Samson Raphaelson è tratta dalla commedia Birthday di Ladislas Bus- Fekete:al cospetto di “Sua Eccellenza” il diavolo (Laird Gregar) si presenta l’anima di Henry Van Cleve (Don Ameche). Consapevole dei suoi trascorsi di incallito donnaiolo, questi pensa di essersi meritato un posto all’inferno, ma “Sua Eccellenza” è di altro parere e lo invita a raccontargli la sua vita.
Ha inizio così un lungo flashback, tramite il quale apprendiamo come Henry sia nato in una ricca famiglia di New York, teneramente viziato e coccolato.
A quindici anni verrà iniziato alle gioie del sesso da una giovane cameriera francese, dando così il via alla sua carriera di gaudente, che continuerà sino a ventisei anni, quando, innamoratosi, ricambiato, di Martha (Gene Tierney), promessa sposa del cugino Albert ( Allyn Joslyn), approderà al matrimonio.
Vita coniugale tranquilla, allietata dalla nascita di un figlio, con qualche scappatella perdonata dalla moglie, la quale morirà poco dopo il venticinquesimo anniversario di nozze. Rimasto solo, nonostante le sue cinquanta primavere, continuerà la vita da libertino, sino a quando, a settanta anni, morirà accudito da una bella infermiera (“Mi mise il termometro in bocca e di colpo la febbre mi salì fino a quarantatré gradi…. Si può desiderare una morte più bella?” ).
Il diavolo ha deciso:un tipo come lui, che ha amato con la stessa intensità sia la moglie che le altre donne, restando a lei sostanzialmente fedele, non può stare all’inferno e quindi lo invia ai “piani alti”. In realtà il finale era ben diverso, intriso del gusto sardonico del regista, ma la censura ne impose il taglio: Henry, a metà strada tra inferno e paradiso, incontrava una procace fanciulla e pronunciava la battuta che dà il titolo al film.
Vero e proprio divertissement di Lubitsch, dai toni autobiografici, dietro l’ostentata pretesa “di non voler dire nulla” nasconde un beffardo rimpianto per un mondo ormai obsoleto:con il suo leggendario tocco ci dona una deliziosa visione retrospettiva di un’ America a cavallo di due secoli, ironizzando con sguardo indulgente sulle ipocrisie e le ossessioni delle classi più agiate. Fa poi rivivere il mito di Faust e di Don Giovanni, temi a lui cari, allestendo una elegante e raffinata confezione, allusivamente trasgressiva, dominata da un inedito senso del fantastico, con un’affascinante atmosfera in bilico tra vita e morte, tra amore e desiderio.





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