Periferia romana, notte: Cosimo (Memmo Carotenuto) e “Capannelle” (Carlo Pisacane) tentano il furto di un’auto, ma scatta l’antifurto, Cosimo viene arrestato, mentre l’altro, facente da palo, riesce a fuggire e a darsi da fare per trovare qualcuno, incensurato, che si addossi la responsabilità del tentato furto, in modo che Cosimo possa uscire di galera e mettere in pratica un piano per una rapina.
Ecco sfilare una varia compagine di mariuoli: Mario (Renato Salvatori), ladro improvvisato e di buon cuore; “Ferribotte” (Tiberio Murgia), siciliano con sorella (Claudia Cardinale) a carico, reclusa in casa; Tiberio (Marcello Mastroianni), scalcinato fotografo con moglie in galera per traffico di sigarette e pupo cui badare; Peppe “er Pantera” (Vittorio Gassman), pugile di quart’ordine, il solo a rendersi disponibile.
Ma il commissario non ci casca, Cosimo resta in galera e Peppe esce con la condizionale dopo avergli carpito il piano con l’inganno, una rapina al Banco dei Pegni, entrando da un appartamento contiguo, abbattendo la parete in comune.I cinque si danno subito da fare per organizzare il colpo con moderne modalità “scientifiche”, con il vecchio ladro Dante (Totò) a fare da consulente.
Dopo vari contrattempi, riescono ad entrare nell’appartamento, ma bucano la parete sbagliata, non avendo considerato un cambio nella disposizione del mobilio, finendo in cucina a consolarsi con un piatto di pasta e ceci.
L’esemplare regia di Mario Monicelli, la sapida sceneggiatura (Monicelli, D’Amico, Age &Scarpelli), la bravura e la simpatia degli interpreti regalano un film perfetto, solo in apparenza una parodia del francese Du Rififi chez le hommes (J.Dassin,’55), rappresentante la nascita in Italia di un nuovo tipo di commedia, che abbandona il concetto di comico legato alla farsa, ai canoni dell’avanspettacolo, e gli conferisce valida consistenza cinematografica.
La comicità non scaturisce dai lazzi di attori-marionette, non è più incentrata su gag, calcolati o improvvisati giochi di parole viranti al nonsense, ma su trovate umoristiche ben definite, che pur se volgenti nella macchietta, trovano sempre le basi su un solida sceneggiatura, rinnovando la tradizione delle maschere della Commedia dell’Arte, che prevede nel suo repertorio anche il senso del tragico.
La bravura di Monicelli sta nel dare spazio ad inedite (Pisacane e Murgia) e nuove caratterizzazioni di attori già noti, un misurato Totò, Mastroianni caratterista sornione e soprattutto Gassman, che passa da seri ruoli autorali o da ghignante villain a protagonista comico, grazie anche ad un sapiente trucco (fronte abbassata, naso finto, orecchie a sventola, inflessione romanesca con balbuzie).
Fa da sfondo la Roma dei palazzoni popolari, del sottoproletariato urbano non ancora toccato dal boom economico, sospeso tra tradizione ed innovazione, che non riesce ad abbracciare sino in fondo quest’ultima, come testimonia il fallimento del colpo. Splendida la fotografia in bianco e nero (Di Venanzo) ed accattivante il commento musicale del jazzista Piero Umiliani. Due sequel: uno nel ’59 (Audace colpo dei soliti ignoti, N. Loy) e l’altro nell’ ’87 (I soliti ignoti vent’anni dopo , A. Todini).
Immagine di copertina: Wikipedia






Scrivi una risposta a Principio d’eguaglianza | Sunset Boulevard Cancella risposta