Fedele remake del francese Giù al Nord (Bienveneu chez les Ch’its,’09) di Dany Boon che qui compare in un breve cammeo, Benvenuti al Sud, con tutti i suoi limiti, si presenta come un’opera fresca e divertente. Merito dell’ ottimo ed affiatato cast, di una regia (Luca Miniero) e di una sceneggiatura (Massimo Gaudioso) entrambe efficaci nel conferire al film un tono lieve e favolistico, nel miglior significato del termine, pur senza slanci particolari e qualche momento di stanca. Alberto Colombo (Claudio Bisio) è il responsabile di un ufficio postale ad Usmate, nella Brianza, ma Silvia (Angela Finocchiaro), rigida consorte tutta regole e pregiudizi, vorrebbe vivere nella tanto adorata Milano, magari in pieno centro, zona Duomo, e lo preme a fare di tutto pur di risalire nella graduatoria ed ottenere il trasferimento.
Nonostante le “spinte giuste” Alberto viene superato da un portatore di handicap e da qui l’intuizione a suo dire felice, fingersi invalido: l’idea funziona alla grande, ma un errore dinanzi all’ispettore venuto ad esaminare il caso gli costerà caro. Invece di essere licenziato, per punizione verrà trasferito al Sud, “più giù di Bologna”, a Castellabate, Campania, provincia di Salerno, per ben due anni; in preda al terrore, fomentato ulteriormente dalle ansie della moglie, Alberto parte solo, corredato di giubbotto antiproiettile, con l’incubo di ritrovarsi tra terroni nullafacenti e camorristi, caldo asfissiante, sporcizia.
Giunto a destinazione, conosciuti gli impiegati dell’ufficio, Mattia (Alessandro Siani), Maria (Valentina Lodovini ), Costabile “grande” (Giacomo Rizzo) e “piccolo” (Nando Paone), il nostro nordista, membro della prestigiosa “Accademia del Gorgonzola”, dovrà presto ricredersi dei tanti preconcetti, così come Silvia che lo raggiungerà da lì a poco. I luoghi comuni e gli stereotipi, i contrasti dialettici e di pensiero appaiono estremamente enfatizzati ed assunti a vero e proprio leitmotiv di buona parte del film, senza comunque nuocere alla sua struttura complessiva, che, a parte qualche timido accenno, prende subito le distanze dalla realtà, riferimenti politici strettamente attuali o intenti sociologici.
Puntando su una comicità spontanea, forse poco raffinata ma mai volgare, Miniero e Gaudioso prediligono l’intrattenimento leggero, spingendo sul pedale del surreale (la coda sulla Salerno-Reggio Calabria) o del grottesco (l’arrivo a Castellabate sotto la pioggia scrosciante, la prima colazione a casa di Mattia), con qualche tocco di romanticismo e poesia (l’amore nascente tra Mattia e Maria, il superamento della crisi tra Alberto e Silvia) che attenua i toni farseschi, spesso prevalenti su quelli propri della satira.
Bisio può finalmente dar sfogo al suo felice e sobrio istrionismo, ben sostenuto dall’ironia della Finocchiaro, Siani è perfetto nella mimica e nei tempi comici, tenuto sotto controllo dalla regia, la Lodovini è semplicemente meravigliosa, e il duo Rizzo-Paone è la riuscita espressione di uno scambievole gioco di spalla.
La mente va, con i dovuti distinguo, a Pane, amore e fantasia: se l’immaginario paese di Sagliena era l’arcadico microcosmo simbolo di un’Italia uscita dalla guerra, alla ricerca di una propria identità, Castellabate diviene metafora di un paese che lotta, o dovrebbe farlo, perché lo scontro diventi confronto, suggellato dall’abbraccio finale dei due protagonisti, che dà senso al film, conferendogli il tono fiabesco di cui parlavo ad inizio articolo, nella speranza del superamento di tante, troppe intolleranze; eguaglianza nella diversità, o la diversità che si fa eguaglianza potrebbero essere un buon inizio.





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