poveri-ma-ricchi-locandinaIn quel di Torresecca, paesello laziale dalle parti di Zagarolo, vive una famiglia dalle condizioni economiche non certo floride, i Tucci: papà Danilo (Christian De Sica), lavorante al locale caseificio, mamma Loredana (Lucia Ocone), casalinga votata ad un incessante “splendido splendente”, i loro due figli, la primogenita Tamara (Federica Lucaferri), cassiera in un supermercato che vede il mondo in formato web  e Kevi (Giulio Bartolomei),  sveglio e acculturato, quindi, considerato il contesto, la classica pecora nera. Vi sono poi nonna Nicoletta (Anna Mazzamauro), fiction dipendente, mamma di Loredana, e il fratello di quest’ultima, Marcello (Enrico Brignano), perito agrario nullafacente, inventore di improbabili innesti dai nomi impronunciabili (ad esempio, quello fra mandorla e cachi, fate un po’ voi, per tacer di un altro tra fico e mela cotogna).
Un bel giorno l’esistenza di tale variopinto nucleo familiare, nel complesso serena, tutti insieme appassionatamente intorno ad un piatto di supplì, viene sconvolta dalla vincita al lotto di ben 100 milioni di euro.

Lucia Ocone e Christian de Sica
Lucia Ocone e Christian de Sica

L’intenzione sarebbe quella di tenerla nascosta, considerando l’invidia che tale ausilio della dea bendata potrebbe scatenare fra i paesani e non solo, ma a Danilo, causa improvviso moto d’orgoglio per una mancata promozione, la notizia scapperà presto di bocca e così per sfuggire all’assedio dei media e di ritrovati amici ai Tucci non resta che darsi alla fuga, destinazione Milano.
Qui potranno togliersi la soddisfazione di ogni capriccio consentitogli dalla cospicua vincita ed entrare poi in contatto con il milieu dell’alta borghesia meneghina, i cui componenti però non ostentano la propria ricchezza, anzi sembrano vivere all’insegna di un esibito understatement
Ed infine, quale non del tutto inedita strenna natalizia, il cinema italiano venne avvolto da un’aura di profonda mestizia. Chiedo venia, amici lettori, per tale facezia in versi, che è andata a comporsi nella mia mente subito dopo la nefanda visione di Poveri ma ricchi, adattamento della commedia francese Les Tuche (Olivier Baroux, 2011) ad opera di Marco Mantani e del regista Fausto Brizzi, mantenendone in particolare l’impianto da moderna favola nel prologo introduttivo e nel finale, con la voce narrante del piccolo Tucci.

Anna Mazzamauro, Federica Lucaferri, Giulio Bartolomei, Enrico Brignano e De Sica
Anna Mazzamauro, Federica Lucaferri, Giulio Bartolomei, Enrico Brignano e De Sica

Vengono ricalcate nel corso dell’iter narrativo (dove si possono rinvenire anche echi di Tutti possono arricchire tranne i poveri, 1976, Mauro Severino) alcune trovate proprie dell’originale (come il chiosco bar e il bancomat in salotto), senza alcuna mediazione di originalità (a meno che non si voglia intendere per tale la sostituzione delle patate fritte con i citati supplì) e attingendo dal repertorio del già visto; l’adattamento alla nostra diversa situazione sociale viene risolto attraverso la proposizione di un trash convenzionale e preconfezionato, mai propriamente grottesco o surreale, con frequenti innesti pop (il cameo di Al Bano, juke box in carne ed ossa, offerto come dono per l’anniversario di nozze da Danilo a Loredana, o quello di Gabriel Garko), oltre che da un malcelato senso di acredine verso certe situazioni e ambienti upper class espresso attraverso una satira superficiale e di maniera, anch’essa di stampo derivativo, ricordando nella netta contrapposizione e discrepanza fra le diverse classi d’appartenenza quanto già messo in scena dai fratelli Vanzina a partire dagli anni’80 (il capostipite Vacanze di Natale, 1983).

Anna Mazzamauro
Anna Mazzamauro

Meglio di  una sceneggiatura e di una regia prone a seguirne lo sviluppo della storia nella proposizione di più sequenze staccate l’una dall’altra, singole scenette autoconclusive, risulta il ben oliato cast attoriale, che cerca di ovviare con le singole prestazioni alla carenza di un minimo di coralità, presente a tratti, per quanto alla fin fine appaiono tutti, nella banalità di battute e situazioni, come la macchietta di se stessi.
De Sica rispetto ai consueti standard appare meno esagitato, pur riciclando movenze e atteggiamenti propri di un canonico repertorio (guai a rinunciare alla rima con mulo), esprimendo una buona sintonia con Lucia Ocone, anche lei intenta a rispolverare caratteristiche proprie dei personaggi interpretati in televisione.La Mazzamauro (bentornata)  probabilmente  offre la recitazione più schietta e verace, con richiami qua e là alla mitica signorina Silvani di fantozziana memoria. Inedita rispetto all’originale la figura del maggiordomo Gustavo (Ubaldo Pantani), ponte fra le due “fazioni”, parvenus e ricchi, inutile ciliegina su una torta che non c’è, così come la storia d’amore fra il Marcello interpretato da Brignano e Valentina/Lodovica Comello (a lei la battuta peggiore del film, “mi fanno schifo i ricchi, non i soldi”), giusto per offrirci ancora una volta l’interpretazione dell’orsacchiotto timido ed imbranato, che va a costituire una forzata sottotrama.

De Sica
De Sica

Del tutto incolore, poi, l’apporto fornito dai giovani protagonisti, la Tamara/Lucaferri in #Hashtag e il Kevi/Bartolomei (la “n” mancante è dovuta al’ignoranza paterna), simpatico come una cefalea a grappolo.
Se la commedia d’origine poteva comunque vantare, pur nella sua medietà da buona realizzazione televisiva più che cinematografica, una maggiore fluidità ed articolazione del racconto, unite ad un profilo psicologico dei personaggi meno monodimensionale, Poveri ma ricchi si incarta nel mettere in scena quello che dovrebbe essere il suo punto di forza, considerando lo sbandierato proposito di non voler allestire un trattato sociologico, ovvero una comicità, prevalentemente di situazione, capace di suscitare spontanee risate ma che apporta invece risolini a denti stretti nel seguire i consueti Brizzi e lazzi. Un film che non riesce ad essere sanamente ed intuitivamente popolare, sconfinando nella consueta morale apportata da un sentimentalismo d’accatto, poveri in saccoccia ma ricchi nel cuore, esaltata ulteriormente da un finale stile musicarello, lasciando però sottintendere che L’importante nella vita non è avere il denaro, ma che non lo abbiano gli altri (Sacha Guitry).

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