
Ci ha lasciato ieri, sabato 18 febbraio, a Roma, il regista Pasquale Squitieri (Napoli, 1938), le cui opere si sono rese portatrici di un cinema viscerale e sanguigno, intuitivo e diretto, incentrato tanto sull’attualità quanto sulla proposizione di determinati eventi storici, visualizzati ed enfatizzati in scena tramite una rappresentazione visiva e contenutistica che teneva in particolare considerazione la loro fascinazione popolare. Dopo la laurea in Giurisprudenza ed un impiego presso il Banco di Napoli, Squitieri esordì alla regia nel 1969 con Io e Dio, prodotto da Vittorio De Sica, per poi proseguire con gli spaghetti western, girati con lo pseudonimo di William Redford, Django sfida Sartana, 1970, e La vendetta è un piatto che si serve freddo, 1971, quest’ultimo connotato “politicamente” nei suoi riferimenti alle lotte rivoluzionarie terzomondiste e a tematiche proprie del periodo, quali la giustizia sociale o la ribellione alle iniquità del sistema.

Seguirono poi titoli come Camorra (1972), I guappi (1974), Il prefetto di ferro (1977), dove lo stile di Squitieri assumeva toni sempre più personali, con una certa attenzione ai mali del Meridione d’Italia, sottolineata da una linea registica piuttosto dura, nervosa, attenta comunque sia ad un coinvolgimento “sanamente” spettacolare sia a porre in primo piano temi storico-sociali sempre rilevanti ed osservati da angolazioni non certo “abituali”, vedi il controverso Li chiamarono… briganti!, 1999, volto a narrare le gesta del brigante lucano Carmine Crocco (Enrico Lo Verso), film che subì l’accusa di revisionismo storico oltre ad un rapido ritiro dalle sale. Altri titoli di Squitieri da ricordare, sempre nell’alternanza narrativa di eventi storici ed attualità, sono Claretta, 1984, Atto di dolore, 1990, entrambi con protagonista una sublime Claudia Cardinale, Gli invisibili, 1988, Il colore dell’odio, 1989, mentre fra le ultime realizzazioni L’avvocato De Gregorio (2003) e L’altro Adamo, 2014.





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