(MyMovies)

College di Yadley, Pennsylvania, oggi. Gatsby Wells (Timothée Chalamet), giovane rampollo di una famiglia newyorkese upper class, frequenta il corso di materie umanistiche, senza molta convinzione, assecondando la volontà della madre, figura dominante alla quale intende opporsi in virtù dell’esternazione di modalità esistenziali rivolte ad una esibita indipendenza, intellettuale in primo luogo, che lo pongono fuori dal mondo, o quanto meno distante dalla sua deriva attuale, ovvero seguire pedissequamente tendenze che si vorrebbe far intendere quali apportatrici di cultura in nome di un appiattimento omologante.

Il nostro invece si presenta, già dal modo di vestire, come una pecora bianca in un gregge di pecore nere, similmente ad “un ritratto rinascimentale in un museo d’arte moderna” (Amabile Giusti, La donna perfetta, Mondadori, 2015), adora Gershwin, le commedie hollywoodiane d’antan, per non parlare, inguaribile romantico, delle giornate piovose. La sua ragazza, Ashleig Enright (Elle Fanning), anch’essa di famiglia benestante, ma originaria di Tucson, Arizona, appare invece certamente più solare, estroversa e determinata.

É già avviata verso la carriera di giornalista ed  ha ricevuto incarico dal giornale del college d’intervistare il regista Roland Polland (Liev Schreiber), suo mito cinematografico, che al momento si trova a New York, all’hotel Soho. I due giovani decidono quindi di partire insieme, per Gatsby sarà l’occasione di far conoscere ad Ashleig l’idolatrata città in cui ė nato e cresciuto, visitando luoghi e locali caratteristici, quelli che per lui sono tali, ma non tutto andrà per il verso giusto: il cineasta si rivelerà alquanto insicuro della propria arte, non si sa quanto sia una posa o la realtà, trovando comunque stimolante l’entusiasmo esternato verso il suo ultimo lavoro da Ashleig, la quale conoscerà anche lo sceneggiatore Ted Davidoff (Jude Law) e l’attore Francisco Vega (Diego Luna), alle cui avances non ė certo immune.

Intanto Gatsby dopo una visita al fratello Hunter (Will Rogers), prossimo alle nozze, ha incontrato sul set di un film Shannon (Selena Gomez), sorella minore della sua ex Amy e  trascorrerà con lei buona parte della giornata, mentre in serata dovrà giocoforza partecipare ad un party organizzato dalla madre (Cherry Jones) da cui voleva mantenersi distante, avendo incontrato gli zii al Metropolitan Museum of Art. Proprio la genitrice gli rivelerà una particolare e toccante verità… Scritto e diretto da Woody Allen, Un giorno di pioggia a New York è una umana commedia che si palesa alla visione come sospesa nel tempo, orbitante in un universo parallelo, in linea con quello in cui vive Gatsby, giovane alter ego del regista, del quale riflette senza filtro alcuno, oltre movenze ed atteggiamenti, quel disadattamento esistenziale che gli è proprio nel sentirsi alieno in Terra.

L’iter narrativo riecheggia coscientemente le commedie della “vecchia Hollywood”(volendo cimentarsi nel gioco, forse un po’ sterile, dei rimandi si potrebbero citare autori quali, fra gli altri, Cukor, Lubitsch, Minnelli) e, assecondato dalle più che valide interpretazioni attoriali (personalmente mi hanno convinto soprattutto Selena Gomez nei panni di Shannon, tutta cinismo pratico e sarcasmo, insieme a Cherry Jones, che offre al personaggio della madre di Gatsby un dolente disincanto) mette in scena una serrata partita a tennis fra diverse personalità, ognuna apparentemente ben definita ma all’atto pratico incline a lasciarsi soggiogare dalla teatralità suggestiva propria della Grande Mela, metropoli che con la sua malia appare propensa a prendere in mano la situazione,  facendo sì che ciascuno esterni il proprio reale modo d’essere, al di là di quel che si appare o del come si vorrebbe essere  considerati.

Gatsby non ha fatto altro che costruirsi un personaggio sulle fondamenta dei suoi malumori e delle proprie idiosincrasie, snodando in tal guisa il capestro familiare, rendendo inoltre il denaro da ostentazione di agio a mero oggetto di trastullo, come testimonia il vezzo, dal retaggio romantico, lontano dalla ludopatia, di incallito pokerista, mentre Ashleigh rivelerà un atteggiamento spersonalizzante, incline ad adagiarsi, consapevolmente, sulle opinioni e scelte altrui, assecondandole quanto più possibile in nome del proprio tornaconto.

Andando oltre i personaggi principali, ecco Pollard, Davidoff e Vega crogiolarsi nel reiterato copione, inteso a portare acqua al proprio mulino nella conclamazione di un ego ipertrofico, rispettivamente quello di artista insicuro, sceneggiatore ombra deluso dalla vita, attore dal proficuo cliché, quest’ultimo da portare avanti finché dura, mentre Shannon, all’ombra di una certa disillusione, sembra aver inteso come l’ironia, anche rivolta verso sé stessi, possa costituire idonea scialuppa di salvataggio.

 La madre di Gatsby, pur dietro il velo dell’opulenta facciata da alta società, forse ė l’unica a non avere timore nel rivelarsi così com’ė, esternando al figlio un monologo rivelatore da brividi, tale da far sì che si manifesti un’inattesa vicinanza fra i due, spingendo il giovane a porre in discussione le sue presunte sicurezze. Di indubbio pregio il lavoro sulla fotografia reso da Vittorio Storaro, che non solo avvolge New York, ripresa nei suoi luoghi meno da cartolina, in un’ambrata luce autunnale, ma ricorre anche a differenti modalità di illuminazione e ripresa relativamente a Gatsby ed Ashleigh, così da rimarcare, rispettivamente, l’introverso immobilismo e lo spontaneo adagiarsi agli eventi.

Un giorno di pioggia a New York, andando a concludere, ė un’opera in cui ha ancora il suo peso l’attento lavoro di scrittura, con ottimi dialoghi (anche se ho qualche dubbio riguardo il doppiaggio italiano), con conseguente comicità scaturente dalle battute più che dalle situazioni, dove nella narrazione assumono rilevanza anche gli elementi della casualità e del fattore temporale, considerando che le varie vicende si susseguono nell’arco di una giornata, fino alla sequenza finale, all’ombra dell’orologio musicale Delacorte allo zoo di Central Park, i cui battiti scandiranno l’inizio di un’inedita storia d’amore…

New York ha fatto la sua parte, d’ora in poi sarà la vita con le sue alterne vicende a rendere testimonianza all’idillio testé sorto, intanto…Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’ era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché, pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così (da Il barone rampante, Italo Calvino). 

 

Una replica a “Un giorno di pioggia a New York”

  1. […] Preso atto di come ormai il mondo, insieme a buona parte della varia umanità che lo compone, segua un andamento del tutto diverso dal suo, mentre le considerazioni che esterna al riguardo sono soverchiate da un indistinto cicaleccio pseudoculturale, Mort, fra un dolore al petto ed una vescica alla mano, avrà modo di conoscere la giovane dottoressa Jo Rojas (Elena Anaya), spirito per certi verso affine, amante com’è del piacere delle piccole cose che può riservare il vissuto quotidiano e delle pellicole d’antan, sposata col pittore Paco (Sergi López), rapporto vissuto all’insegna della “libertà espressiva”. Una breve frequentazione, un piacevole refolo a solleticare nuovamente il cuore, pur nella consapevolezza che tale primavera “non potrà mai divenire estate”, nella assunta convinzione, sulla via della separazione con Sue, la quale ha ammesso la relazione con Philippe, che il tanto ricercato senso della vita sia dato essenzialmente dalle nostre azioni e dalle nostre reazioni di fronte ai vari accadimenti. Da non trascurare, inoltre, come gli suggerisce la Morte (Christoph Waltz), sopraggiunta dal bergmaniano Il settimo sigillo, ennesima visione cinefila, la ginnastica quotidiana, il mangiare frutta e verdura evitando i grassi saturi e i cibi trattati, oltre a concedersi una salutare colonscopia… Scritto e diretto da Woody Allen, Rifkin’s Festival, pur trasudando la raffinatezza propria dell’autore nella redazione dei dialoghi e nella composizione visiva, al pari di una “sana” leggerezza, non può che considerarsi un film minore, in particolare se confrontato, senza scomodare i classici alleniani, con il precedente Un giorno di pioggia a New York. […]

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