Stati Uniti d’America, anni ’50. Il giornale indipendente The Day sta per essere posto in vendita, nonostante il parere contrario della signora Margaret Garrison (Ethel Barrymore), vedova del fondatore, ferma sostenitrice dell’adamantina linea editoriale sostenuta dal direttore Ed Hutcheson (Humphrey Bogart), fiero rappresentante di un giornalismo dalla schiena dritta, fortemente ancorato a determinati ideali di trasparenza e veridicità nel riportare le notizie, anche per il tramite di un’accurata ricerca delle fonti, mentre le due sue figlie, Kitty (Joyce MacKenzie ) ed Alice (Fay Baker), azioniste di maggioranza, sono solidali alla cessione. E’ dunque necessario l’intervento del giudice, il quale dovrà esprimersi sulla liceità della vendita ad un giornale concorrente, The Standard, dall’impostazione più spregiudicata e “moderna”, assecondando quella tendenza per cui “al lettore non bastano più le sole notizie…vuole fumetti, concorsi, rebus…vuole sapere come conquistare un amico o influenzare l’avvenire…ergo: oroscopi, pronostici sui cavalli, interpretazioni dei sogni, che li illudano di poter vincere alle lotterie, e se incidentalmente, qualche volta, si imbattono nella prima pagina, notizie…”, come commenta laconico Hutcheson nel corso della “veglia funebre” organizzata in un bar dalla redazione al completo per la prossima scomparsa del loro giornale.
Ma The Day ha ancora delle carte da giocare, vedi l’inchiesta sul gangster italoamericano Tomas Rienzi (Martin Gabel), recentemente accusato dalla Commissione Governativa di brogli elettorali e con le mani in pasta un po’ dappertutto, come risulterà dalle indagini dei giornalisti sull’omicidio della giovane Bessie Schmidt, amante proprio di Rienzi e d’altronde anche suo fratello Herman (Joe De Santis) era stato in contatto con lui…Sceneggiato e diretto da Richard Brooks, autore non sempre ricordato come meriterebbe la sua notevole abilità nella scrittura di dialoghi sciolti e fortemente rappresentativi, al pari di quella relativa ad una regia sempre incisiva nel valorizzare ambientazioni ed interpretazioni attoriali, Deadline – U.S.A è un film che già dal titolo (“linea della morte”, ovvero, nel mondo del giornalismo anglosassone, il termine entro il quale chiudere il giornale ed inviarlo in stampa), vuole richiamare l’attenzione sulla necessità della sopravvivenza di un giornalismo “puro”, che, come diceva Montanelli, dovrebbe riconoscersi in un solo proprietario, i suoi lettori, all’interno di un libero, democratico, scambio di pareri, riconoscendo opportunamente la propria responsabilità nell’influenzare la pubblica opinione, tanto in positivo quanto in negativo, contribuendo comunque al necessario sviluppo di una coscienza comune.
E’ un’opera permeata di un forte idealismo ma che non scade nella banalità della facile retorica, in quanto attraversata da un senso di amara consapevolezza, appena stemperata da una certa ironia, nel rappresentare con asciutto realismo i mutamenti che andavano ad attraversare la comune morale, strali contro i quali prende le armi, moderno cavaliere, l’ Ed Hutcheson interpretato da Bogart, qui, volto granitico da fiero incassatore, in una delle sue migliori interpretazioni nel ritrarre realisticamente, sempre lottando fra disillusione e pervicacia, anche l’aspetto privato del personaggio, vincente nella professione, ma perdente nel privato, un matrimonio fallito alle spalle, con l’ex moglie, Nora (Kim Hunter), della quale è ancora innamorato, ormai prossima a risposarsi. Democratico convinto e con un passato da cronista, Brooks, ispirandosi ad accadimenti realmente avvenuti (la cessione del New York World nel 1931, per decisione dei figli di Joseph Pulitzer, che lo aveva creato nel 1860; il giornale di cui si ipotizza la vendita è ispirato nella sua impostazione al Sun, fondato nel 1833 da Benjamin Day e chiuso nel 1950), non solo visualizza un vibrante e realistico ritratto della vita in redazione sfruttando insolite angolazioni di ripresa, ma delinea anche, con arguzia ed abilità, le tracce di diversi percorsi narrativi.
Viene dunque visualizzato un ben congegnato dedalo che prende il via dalla descritta ipotesi di vendita del quotidiano, per poi intersecarsi con la vita privata del protagonista, andare a coinvolgere gli sporchi affari di Rienzi (nella versione italiana le origini siciliane del boss vengono omesse, tanto da mutarne nome, Rodzich, e provenienza, l’Europa dell’Est), ed infine convergere con la soluzione dell’omicidio della ragazza, il tutto seguendo l’orientamento dato dal faro della piena fedeltà ai principi dell’incorruttibilità morale in ogni settore del civile consesso (“la libera stampa è come la vita libera, è sempre in pericolo”, esclama Hutcheson), come evidenziato dallo splendido dialogo fra la vedova Garrison, resa con naturale impeto da Ethel Barrymore, ed il ferreo direttore, affidando poi alla stampa un rilevante ruolo di mediazione nel riportare il più fedelmente possibile le notizie, così da instaurare nel tempo, riprendendo quanto su scritto, un vero e proprio patto di lealtà con i propri lettori (la sequenza in cui l’anziana madre di Bessie, la signora Schmidt, Kasia Orzazewski, spiega ad Hutcheson perché si è rivolta al giornale e non alla polizia nel rivelare importanti prove sull’omicidio della figlia, “da voi ho appreso come essere buona cittadina, come leggere, scrivere…voi avete cercato di scoprire la verità”).
Il tutto troverà poi opportuna chiosa finale nella famosa battuta rivolta da Hutcheson a Rienzi al telefono, con le rotative ormai avviate per la stampa di quello che sarà l’ultimo numero di The Day, contenente scottanti rivelazioni sul gangster: “È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non ci puoi far niente! Niente!”. Il giornale dunque sarà inglobato dal concorrente “gossiparo”, ma resterà indissolubile quell’assunto di cui si è reso portatore e che si vorrebbe ormai consolidato nel vivere sociale e politico di ogni nazione, la libera manifestazione del pensiero da parte di ciascun individuo ed in particolar modo nell’ambito degli organi d’informazione, scevri quest’ultimi da qualsivoglia ingerenza dominante riguardo il proprio operato. Forse meno celebrato rispetto ad altri film incentrati su identiche tematiche, Deadline- U.S.A. rivela tuttora una vivida attualità, stringendo un simbiotico legame tra il cinema d’impegno civile d’impronta classica e il giornalismo più puro e concreto: certo, si narrano eventi apparentemente distanti, però credo sia sufficiente pensare all’odierno apporto velocistico ma a volte superficiale del web e ad altre distorsioni giornalistiche dalla strada maestra, per circoscriverne l’urgenza di quanto messo in scena con la nostra quotidianità, dove la sinergica combinazione tra una stampa veramente libera, non irreggimentata, e l’autodeterminazione del singolo dovrebbero servire da opportuna livella contro quelle puntuali esternazioni di potere proprie di chi, citando Orwell in chiusura, si sente “più uguale degli altri”, all’interno di una conclamata eguaglianza tra simili.
Pubblicato su Diari di Cineclub N. 94/Maggio 2021
Una risposta a "L’ultima minaccia (Deadline – U.S.A. , 1952)"