C’era una volta, nel quartiere di Notting Hill in quel di Londra, lungo Portobello Road, una casa dalla porta blu, dove viveva un goffo e gentile libraio, William Thacker (Hugh Grant), un divorzio alle spalle e l’attuale convivenza con uno squinternato inquilino, Spike (Rhys Ifans), artista in attesa di migliore fortuna, la condivisione di un appartamento dove ordine e pulizia trovarono buon albergo in tempi certo lontani. Poco distante dall’abitazione, ecco la libreria del nostro, The Travel Bookshop, specializzata in libri di viaggi, con un bilancio non propriamente volto all’attivo, considerato come i guadagni siano, probabilmente, appena sufficienti a sbarcare il lunario. Un bel giorno, inizialmente come tanti altri, tra richieste impossibili da soddisfare e clienti ladruncoli, ecco fare ingresso, nientepopodimeno che, la celebre diva hollywoodiana Anna Scott (Julia Roberts), a Londra per presentare il suo nuovo film; ovviamente ciò andrà a creare in William un certo scompiglio emozionale, destinato ad incrementarsi quando i due si scontreranno lungo la strada e, complice un bicchiere d’aranciata versato sulla maglietta dell’attrice, avranno modo d’intuire come il classico colpo di fulmine sia scoccato fra di loro, rincontrandosi poi nel corso delle interviste organizzate dall’ufficio stampa dopo la proiezione del film, quando William s’improvviserà giornalista di Horses & Hounds, fino ad approfondire la loro conoscenza a cena, a casa di alcuni amici dell’imbranato ragazzone, dove si festeggerà il compleanno di sua sorella Honey (Emma Chambers).
Un’intima intesa è ormai conclamata, al pari dell’attrazione reciproca, ma ecco sopraggiungere il fidanzato ufficiale di Anna, Jeff King (Alec Baldwin), e, dopo i chiarimenti, altre nuvole, giunte ad oscurare il sole del coronamento di una fiaba “surreale ma bella”… Diretto da Roger Michell, scomparso lo scorso 22 settembre, su sceneggiatura di Richard Curtis, Notting Hill offre, nella ricercata cornice di un’improbabilità conclamata, i toni di una commedia ironica e romantica che vanno a visualizzare un sogno ad occhi aperti, ponendo le basi di una certa credibilità giocando con gli spettatori nel narrare un qualcosa che potrebbe comunque accadere, hai visto mai, nella vita di ognuno (pensiamo a “quella gran c**o di Cenerentola”, riprendendo le parole di Kit De Luca, Laura San Giacomo, in Pretty Woman, 1990, Garry Marshall), o il cui verificarsi comunque lo si è, inutile nasconderlo, sempre immaginato. Il quartiere londinese, crogiolo multietnico (per quanto nel film non lo si noti più di tanto), fa da scenario all’incontro fra due diverse realtà, quella americana e quella inglese, sottolineandone con sapidi dialoghi e battute spesso pungenti le contraddittorietà presenti in entrambe, il sacrificare sull’ara divistica la propria individualità e la propria essenza vitale, la razionalità confusa attraversata da un’emozionalità a stento trattenuta, nel dare per scontato come l’incontro fra due apparenti diversità non possa dar luogo ad altro che a un corto circuito, volto a mandare in fumo conclamate certezze e la prevedibilità “sacrale” dell’ordinario incedere quotidiano.
La sceneggiatura orchestrata da Curtis ha uno sviluppo certo interessante nella rappresentazione, anche psicologica, dei personaggi, così come nell’offrire un attento succedersi delle varie situazioni derivanti dalla descritta contrapposizione fra due realtà differenti, richiamando al riguardo, oltre a varie pellicole d’antan, quanto descritto da Henry James nei suoi romanzi, scrittore nominato più volte, credo non a caso, nel corso della narrazione. La regia di Michell appare del tutto funzionale ad offrire risalto a quanto delineato in fase di scrittura, concedendo spazio sia ai vari accadimenti e a quanto da essi provocato, avallando un sottile umorismo, sia alle interpretazioni attoriali dell’intero cast (da citare Emma Chambers, nei panni della svagata Honey, Rhys Ifans, l’alquanto eccentrico ed allupato coinquilino, Tim McInnerny, amico fidato di William, sposato con la sua ex fiamma Bella, Gina McKee, su una sedia a rotelle dopo un incidente), valorizzandole ulteriormente, potendo poi fare affidamento su Julia Roberts, decisamente ironica ed autoironica (esemplare il suo discorso alla cena casalinga per il compleanno di Honey, quando non solo fa intuire il prezzo pagato per assicurarsi una determinata immagine, fisica in primo luogo, ma presagisce anche come sarà accolta dallo star system una volta che sarà “diversamente giovane”) ed Hugh Grant, forse un po’ caricato ma nel complesso realistico nel suo nevrastenico impacciarsi (anche più del dovuto) con le parole e la gestualità, fino ad arrivare al faticoso trattenimento emozionale di un sentimento ormai conclamato e reciproco (“Non dimenticare che sono una semplice ragazza, di fronte ad un ragazzo, che gli sta chiedendo di amarla”).
Per essere una commedia romantica Notting Hill forse si prende più tempo del dovuto per dipanare i vari fili della contorta relazione amorosa ed assecondarne l’andamento tellurico, giungendo in affanno, almeno riporto la mia primaria sensazione, ad una conclusione che vede succedersi diversi finali fino al sopraggiungere all’ atteso e sospirato, “atto dovuto”, classicissimo happy end, che comunque regala a Notting Hill quel suo tuttora impagabile tocco d’irreale realtà e reale irrealtà, chiedendo venia per il contorto gioco di parole. D’altronde a tutti noi inguaribili romantici, magari avvezzi a sentirci come “Un ritratto rinascimentale in una galleria d’arte moderna” (Amabile Giusti, La donna perfetta, Mondadori, 2015), chi può impedirci di sognare o di continuare a farlo? Certo la quotidianità dell’esistenza andrà a temprare il tutto di un minimo di praticità e a volte un lieve cinismo, velato di sarcasmo, potrà prendere il sopravvento…Ed ecco che mentre scorrono i titoli di testa, con negli occhi ancora la sequenza finale di lui e lei (in dolce attesa) seduti su una panchina, ti vengono in mente le parole del buon vecchio Woody nelle vesti del comico televisivo Alvy Singer in Annie Hall (1977): “Ragazzi, se la vita fosse davvero così!”.