Scritto e diretto dalla regista portoghese Catarina Vasconcelos, La metamorfosi degli uccelli incastona nella forma propria di un docufilm e per il tramite di una visualizzazione dalla suggestiva fascinazione pittorica, esaltata dalla vivida fotografia di Paulo Menezes, una elegiaca immanenza relativa al rapporto fra uomo e natura. Quest’ultima, ancor prima di fornire una spiegazione relativa al dispiegarsi quotidiano dinnanzi ai nostri occhi della sostanziale bellezza del creato, delinea nell’intercalare delle immagini, le quali tendono a rincorrere passato e presente quali unità sovrapponibili ed intercambiabili così come delineate dal fluire della memoria (ottimo al riguardo il montaggio di Francisco Moreira, assecondante un andamento narrativo piuttosto ponderato), una suggestiva visione relativa tanto all’incedere del cammino terreno, quanto al suo inevitabile termine, proprio di ogni essere vivente, che va a concretizzarsi non in una vera e propria fine bensì in un nuovo inizio, reso tangibile dal ricordo perpetrato da chi resta, egualmente agli oggetti appartenuti a chi ci ha lasciato e ad ogni cosa di cui questi era solito prendersi cura.
La regista traccia attraverso l’obiettivo della macchina da presa una resa dello sguardo in soggettiva, a partire dalla sequenza iniziale che vede in primo piano gli occhi di un uomo anziano, Henrique; la sua voce narra l’incontro con l’amata moglie Beatriz, il loro matrimonio, la nascita nel corso degli anni di sei figli, a partire dal primogenito Jacinto (padre dell’autrice) e di come la consorte li facesse crescere amorevolmente, coadiuvata nelle faccende domestiche dalla collaboratrice familiare Zulmina, mentre lui, ufficiale di marina, era quasi sempre assente, per via dei lunghi viaggi in mare, a fissare la linea dell’orizzonte come se la demarcazione fra acqua e cielo “potesse contenere tutto ciò che amiamo”, apprendendo dei mutamenti familiari attraverso un fitto scambio epistolare. Se quindi Henrique non poteva mettere radici, queste ultime andavano a svilupparsi in profondità nel terreno dell’amore materno, tanto da rendere Beatriz paragonabile ad un grande albero sui cui rami “i piccoli uccellini” potevano posarsi, osservando e provando a comprendere le varie vicende del mondo, nell’attesa di crescere ed abbandonare il nido con forti ali, così da poter affrontare le inevitabili intemperie esistenziali.
La metamorfosi degli uccelli, sfruttando essenzialmente la composizione delle immagini, impiega poi nel corso della narrazione la suggestione visiva propria del mezzo cinematografico per rappresentare e in certo qual senso metabolizzare le elaborazioni di due lutti, dapprima quello relativo la morte di Beatriz e poi l’altro riguardante la dipartita della moglie di Jacinto, madre della regista, avviluppando gradualmente il ricordo di entrambe ad ogni suppellettile presente nelle abitazioni, così come all’insieme delle piante coltivate in giardino, fino a rendere le citate scomparse umanamente accettabili e sopportabili per il tramite della trasmutazione immaginifica e poetica. Infatti, “ciò che gli esseri umani non riescono a spiegare l’inventano”: nei tempi andati si cercava di fornire una spiegazione alla migrazione degli uccelli, non riuscendo a comprendere dove andassero quelli che sparivano e da dove provenissero quelli che arrivavano nel corso del rituale avvicendarsi delle stagioni, pensando ad una loro mutazione, ovvero che vi fossero sempre e comunque gli stessi volatili ma con caratteristiche diverse. Egualmente l’inevitabile transizione generazionale andrebbe a risolversi nel necessario tramandare di quanto appreso nel corso della propria esistenza, nel susseguirsi scomposto di gioie e dolori, a quanti verranno dopo, in modo che possano trarne frutto e soppesarne l’impatto sia nell’ambito del tempo che stanno vivendo sia nei riguardi del futuro, tra inedite consapevolezze e provvide speranze.
In tal guisa il rituale fluire temporale andrà quindi ad acquisire un senso propriamente compiuto, egualmente alla propria essenza vitale, accompagnando tanto determinate evoluzioni storiche, come la caduta del regime di Salazar, cui si accenna significativamente nel corso dell’iter narrativo al pari del passato coloniale del Portogallo, quanto quelle più strettamente personali, che vedranno la figura femminile sempre più compresa in un percorso di emancipazione ed autodeterminazione. “Tutti quelli che se ne vanno, ti lasciano sempre addosso un po’ di sé. E’ questo il segreto della memoria? Se è così, allora mi sento più sicura, perché non sarò mai sola” (Giovanna Mezzogiorno, La finestra di fronte, Ferzan Özpetek, 2003). Dopo essere stato presentato in anteprima alla 70ma Berlinale, sezione Encounteurs, dove ha conseguito il Premio FIPRESCI della Federazione Internazionale dei Critici Cinematografici, La metamorfosi degli uccelli è stato proiettato alla 56ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, ricevendo il Premio Miccichè e il Premio Giuria degli studenti, al Viennale – Vienna International Film Festival, all’ IDFA – International Documentary Film Festival Amsterdam 2021 e al Cph: Dox- Copenhagen International Documentary Film Festival.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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