Bologna, Piazza Maggiore (Internazionale, ripresa anche nell’immagine di copertina)

Sulla base dell’ultima newsletter ricevuta dalla Cineteca di Bologna, vado a scrivere delle prime anticipazioni sulla XXXVIII Edizione del festival Il Cinema Ritrovato, che si svolgerà nel capoluogo emiliano dal 22 al 30 giugno.

Il programma si preannuncia piuttosto ricco e soprattutto vario, spaziando dalla riscoperta di splendide attrici come Marlene Dietrich o di autori acclamati, a partire da Pietro Germi, passando per altri cineasti meno noti ma sempre capaci di sorprendere (Anatole Litvak, Kozaburo Yoshimura e Gustaf Molander), fino ai restauri digitali, presentati a Bologna in prima assoluta, ma anche alle numerose proiezioni in pellicola (35 e 16mm) provenienti dalle molte cineteche e aventi diritto, in nome di una felice continuazione nel conservare e proteggere il patrimonio cinematografico comune. Riguardo gli aspetti logistici, anche quest’anno, acquistando un pass e utilizzando il codice che lo accompagna, sarà possibile prenotare in anticipo le proiezioni.

Il sistema sarà attivo due settimane prima della data di inizio, quando anche il cartellone si presenterà nella sua interezza, comprensivo di varie rassegne sulle quali si sta ancora lavorando: Ritrovati e Restaurati, Documenti e documentari, Cinemalibero e Il Cinema Ritrovato Kids & Young, nonché del programma completo dei film, delle lezioni di cinema e degli ospiti che parteciperanno al festival. Saranno sei le sale che proietteranno da mattina a sera: all’incantesimo delle proiezioni a carbone in Piazzetta Pasolini e alla maestosità dello schermo (24 metri di lunghezza) congiunta al calore ineguagliabile della condivisione cinefila in Piazza Maggiore, l’edizione del 2024 vedrà l’aggiunta di un luogo di straordinario incanto e bellezza, quel Cinema Modernissimo inaugurato nel 1915 e che ora ha riaperto le porte dopo un meticoloso e complesso lavoro di restauro.

Marlene Dietrich (MyMovies)

La retrospettiva su Marlene Dietrich, a cura di Deutsche Kinemathek, si soffermerà, attraverso una selezione di grandi film, sull’essenza dell’attrice come forza dirompente della storia del cinema, per una panoramica su una delle massime icone di tutta l’arte del ‘900. Dopo gli studi alla scuola Max Reinhardt di Berlino, la Dietrich iniziò a lavorare alternando teatro e cinema, sempre in piccole parti, fin quando non la notò Joseph von Sternberg, che le affidò il ruolo di Lola-Lola, la cantante di cabaret in calze nere che fa impazzire l’austero professor Unrat (Emil Jannings) in L’angelo azzurro (Der Blaue Engel, 1930).

Da quel momento la sua carriera spiccò il volo. Trasferitasi a Hollywood in fuga dalla Germania nazista ( benché a lungo desiderata, nel suo paese natale non sarebbe più tornata, meritandosi l’accusa di tradimento), la Dietrich finì ben presto col diventare sinonimo di una figura femminile ammaliatrice, libera, disinibita, angelo e demone al tempo stesso, dotata di un ambiguo erotismo androgino, la cui mascolinità piaceva alle donne e la cui sensualità stregava gli uomini. Di lei Ernest Hemingway, suo grande amico, disse: “Se non avesse nient’altro che la voce potrebbe spezzarti il cuore. Ma ha anche un corpo stupendo e il volto di una bellezza senza tempo”.

Pietro Germi (Wikipedia)

Pietro Germi, testimone scomodo, a cura di Emiliano Morreale, punterà a porre nella giusta luce un  regista (ma anche eccellente attore in molti film, suoi e di altri) geniale ed eclettico ma ancora in attesa di una sincera e cosciente riscoperta, magari ponendo fine a quella distanza con la critica dovuta, scelte ideologiche a parte, sia al suo carattere scontroso che al non seguire i consueti canoni estetici, mantenendosi coerente con la sua scelta di puntare sul “film di genere”.

Nello spaziare dal melodramma alla commedia all’italiana, innovando quest’ultima con un inedito senso del grottesco, realizzò, soprattutto negli anni ‘50 e ‘60,  opere molto importanti, tutte coerenti con un punto di vista ibero e personale nel suffragare semplicità, chiarezza e sincerità di linguaggio. Fra i titoli di maggior successo, Il ferroviere, Sedotta e abbandonata, L’uomo di paglia, Divorzio all’italiana (Oscar per la sceneggiatura), Un maledetto imbroglio (dal romanzo di Carlo Emilio Gadda Quel pasticciaccio brutto de via Merulana), Signore & signori (Grand Prix al 19mo Festival di Cannes, 1966, ex aequo con Un homme et une femme di Claude Lelouch).

Viaggio nella notte: il mondo di Anatole Litvak, a cura di Ehsan Khoshbakht, darà rilievo ad un maestro ingiustamente ignorato, con una carriera internazionale lunga sessant’anni, che ha realizzato alcuni dei film più appassionanti e innovativi della storia del cinema: una produzione oggi poco vista e analizzata, con l’eccezione di qualche titolo. Originario di Kiev, regista di capolavori come L’Équipage (1935) e La città del peccato (City for Conquest, 1940), lavorò in Germania, Francia e Regno Unito per approdare infine a Hollywood.

Questa prima panoramica della sua brillante carriera include film provenienti da tutti questi paesi di produzione. Opere pronte per essere riscoperte, con i loro eleganti movimenti di macchina, i piani sequenza, il montaggio ironico e lo splendido uso delle scenografie. I film di Litvak si immergono in un mondo notturno di uomini e donne imperfetti e instabili, la cui crisi d’identità riflette per il regista la crisi del mondo tra la Rivoluzione russa e la Seconda guerra mondiale: un’epoca di risveglio e di drammatici sconvolgimenti politici che Litvak visse in prima persona.

Kozaburo Yoshimura (Wikipedia)

Kozaburo Yoshimura, tracce di modernità, a cura di Alexander Jacoby e Johan Nordström. Kozaburo Yoshimura (1911-2000) è uno dei maestri sottovalutati del cinema classico giapponese. A lui si devono alcuni dei drammi più avvincenti del Giappone postbellico, che testimoniano in maniera eloquente i cambiamenti sociali di un paese che si stava rapidamente modernizzando e occidentalizzando.

La sua carriera di regista inizia alla Shochiku negli anni Trenta e continua fino agli anni Settanta, ma questa rassegna si concentra sulla produzione degli anni Cinquanta, quando l’arte di Yoshimura tocca il suo vertice. Lavorando per lo più alla Daiei, in fruttuosa collaborazione con lo sceneggiatore Kaneto Shindo (anch’egli illustre regista), Yoshimura realizza una serie di gioielli come Clothes of Deception (1951) e Undercurrent (1956, scritto da Sumie Tanaka, la più importante sceneggiatrice giapponese).

Questi film gli valsero il paragone con Mizoguchi per la sensibile esplorazione dell’esperienza femminile. Realizzata con il sostegno di Kadokawa, Shochiku, The Japan Foundation e National Film Archive  of Japan, la retrospettiva presenterà un nuovo restauro digitale 5K e copie d’epoca 35mm che metteranno in luce la bellezza, la forza e l’attualità del cinema di Yoshimura.

(Wikipedia)

Cento anni fa: 1924. Una panoramica sul cinema di cento anni fa con una selezione di classici canonici e rarità meno note ritrovate negli archivi: opere fondamentali dell’avanguardia francese, la consacrazione hollywoodiana del maestro svedese Victor Sjöström, He Who Gets Slapped, la “macchina da presa scatenata” in L’ultima risata (Der letzte Mann) di F.W. Murnau, quel Quo vadis? sontuosamente adattato da Gabriellino d’Annunzio e Georg Jacoby che contribuì a mandare in bancarotta l’industria cinematografica italiana, più una nuovissima digitalizzazione di Dvorec i krepost’ (Il palazzo e la fortezza) di Aleksandr Ivanovskij, raro esempio di colorazione nel cinema sovietico, e infine un riflettore acceso sul talento delle cineaste Nell Shipman e Lydia Hayward. Come sempre i lungometraggi saranno integrati da bizzarri e splendidi cortometraggi, di finzione o meno, e da cinegiornali dedicati ad alcuni dei maggiori eventi e ai più importanti personaggi politici e culturali di quell’anno.

Il secolo del cinema: 1904, a cura di Mariann Lewinsky e Karl Wratschko. Un anno in cui mentre Pathé e Urban producevano un numero straordinario di documentari lunghi e ben strutturati, religiosi pronti a cimentarsi senza preconcetti nelle nuove tecnologie filmavano l’Egitto, la Turchia e la Palestina. I primi film industriali mostrano immagini spettacolari della Westinghouse Company di Pittsburgh negli Stati Uniti e delle miniere di carbone di Shirebrook in Inghilterra; altrove, sul grande schermo, l’umorismo grezzo e il frivolo erotismo ci ricordano che nel 1904 il cinema era parte integrante della cultura popolare.

Fatti di cronaca come teatri distrutti da incendi, attentati dinamitardi e la guerra russo-giapponese venivano ricreati in forma di attualità ricostruite. Allo stesso tempo, il cinema permetteva agli spettatori di tutto il mondo di ammirare le avvincenti esibizioni delle star del palcoscenico parigino o berlinese come Mistinguett, Henry Bender e Les Omers. Il regista dell’anno è Gaston Velle, ex illusionista trasformatosi in un regista cinematografico estremamente sofisticato.

Dark Heimat, a cura di Olaf Möller. Alla fine degli anni Quaranta e nei primissimi anni Cinquanta vengono prodotti alcuni rari film in cui le preoccupazioni del presente e i ricordi dolorosi e vergognosi del passato recente sono al centro di storie che si svolgono ai margini della Germania e dell’Austria, in un altrove rurale rappresentato dalle regioni alpine. In termini di genere, questi film affondano le radici in ciò che sarà presto definito Heimatfilm: opere ambientate in specifici paesaggi i cui abitanti sono visti come esempio delle tradizioni necessarie ad affrontare le sfide della vita (urbana) moderna.

Ma rispetto agli Heimatfilm classici queste gemme hanno più a che fare con il noir (Die Alm an der Grenze, 1951) o l’horror (Die seltsame Geschichte des Brandner Kaspar, 1949), dialogano con l’espressionismo (Die Sonnhofbäuerin, 1948) e con il neorealismo (Bergkristall, 1949), e offrono opinioni politiche completamente discordanti rispetto alle narrazioni ufficiali dell’epoca. Poco conosciuti e visti perfino nei loro paesi d’origine, questi film aprono squarci inaspettati su un periodo di transizione della Germania e dell’Austria e delle loro cinematografie.

Gustaf Molander, il regista delle attrici, a cura di Jon Wengström. In mezzo secolo di carriera Gustaf Molander realizzò oltre settanta film di generi e stili diversi e lasciò un’impronta indelebile sulla storia del cinema svedese. Se Ingmarsarvet (1925) è l’epilogo dell’età dell’oro del cinema muto svedese e si colloca alla pari con alcuni dei più celebri film coevi, il programma mette in luce anche la genialità con cui Molander padroneggiò il dramma, il noir e la commedia dopo l’avvento del sonoro, con titoli come En natt (Solo una notte, 1931), Kvinna utan ansikte (Senza volto, 1947) e Fästmö uthyres (1950). Ben più di un regista versatile capace di eccellere in vari generi, Molander ebbe anche la straordinaria capacità di far emergere le vere potenzialità degli attori e soprattutto delle attrici.

I suoi film degli anni Trenta lanciarono una giovane Ingrid Bergman verso la fama internazionale, ma la retrospettiva offrirà anche la preziosa opportunità di ammirare Harriet Andersson, Eva Dahlbeck, Inga Landgré e Gunn Wållgren agli inizi delle rispettive carriere.

I colori del cinema a passo ridotto, a cura di Karl Wratschko in collaborazione con Cinémathèque16, Inedits & Lichtspiel/Kinemathek Bern. Una guida essenziale agli sviluppi e agli impieghi del colore nel cinema a passo ridotto. Il viaggio inizia con copie d’epoca 16mm colorate negli anni Venti e prosegue con i film amatoriali degli anni Trenta. Grazie ai sistemi per la realizzazione di film a colori attraverso il procedimento lenticolare, come Kodacolor, e alle pellicole monopack multistrato, come Kodachrome, l’utilizzo del colore divenne incredibilmente più comune nel cinema in piccolo formato che nei film commerciali in 35mm.

Dopo la Seconda guerra mondiale la pellicola a colori fu molto usata anche nei film promozionali e industriali. Negli anni Settanta il cinema a colori era ormai all’ordine del giorno e non catturava più come prima l’attenzione degli spettatori. Questo forse spiega perché un numero sempre crescente di artisti innovativi come Bill Brand, Arthur e Corinne Cantrill e Christian Lebrant abbia iniziato a sperimentare con le possibilità del colore per dargli nuova visibilità.

Una replica a “Bologna, Il Cinema Ritrovato XXXVIII Edizione: le prime anticipazioni”

  1. […] nel capoluogo emiliano dal 22 al 30 giugno, inserendo anche il link di rimando al Preprogramma e rinviando a quanto scritto in precedenza riguardo le anticipazioni del festival. In Piazza Maggiore, giovedì 20 giugno, prenderanno il via i Cineconcerti: My Cousin (Edward […]

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