(Trento Film Festival)

Presentato in anteprima italiana mercoledì 1° maggio, al Trento Film Festival, sezione Proiezioni Speciali, Flavio Paolucci. Da Guelmim a Biasca,  diretto da Villi Hermann, anche autore della sceneggiatura insieme ad Eve Martin, mette in scena la figura dell’artista svizzero avallando una notevole accuratezza formale nel porre in risalto tanto la specificità della sua persona, anche da un punto di vista prettamente umano, quanto quella relativa alle sue realizzazioni. Quest’ultime, pur traendo ispirazione, almeno inizialmente, dal Tachisme,  dalle correnti neo-dadaiste e della Pop Art, a partire dal 1964, dopo l’esperienza vissuta da Paolucci a Guelmin, in Marocco, si sono mano a mano caratterizzate nel visualizzare la necessità di un ricercato rinnovo riguardo la relazione tra essere umano e Natura. Prendevano quindi vita i cosiddetti “oggetti pensiero”, suggestiva combinazione, allo stesso tempo elegiaca e teorica, tra disegno, scultura ed installazione, senza un’apparente  soluzione di continuità, sfruttando l’ispirazione del momento in via diretta, mantenendo le distanze dall’intermediazione di uno schizzo preparatorio. Nel corso della visione mi ha particolarmente intrigato la sensibilità profusa da Hermann nei riguardi di Paolucci, riuscendo a farne emergere la certo singolare personalità, schiva ma permeata da una evidente percettività nell’accostare lo sguardo a quanto lo circonda.

Flavio Paolucci (Imago Film)

Ecco allora che il regista ne asseconda l’input creativo, nella necessità esternata di non avere nessuno intorno una volta giunta l’ispirazione, ponendo tre videocamere nell’atelier per due giorni, accese al mattino e spente la sera, fino a rinvenire poi un suggestivo contrasto narrativo nel soddisfarne l’esigenza del silenzio assoluto richiesto al momento dell’atto creativo, allestendo un concerto di arpa, flauto e violini (le musiche sono di Zeno Gabaglio) all’interno del bosco di Biasca dove Paolucci è solito passeggiare quotidianamente. Sono rimasto poi affascinato dal fluido incontro sincretico che si va a realizzare tra l’atto creativo del cinema e quello espresso dall’artista nel dare vita alla sua opera, l’esternazione di due arti visive destinate entrambe ad infondere emozionalità per il tramite delle immagini e della loro composizione: quanto scritto è sublimato dalla sequenza, vero e proprio punto di partenza narrativo, a in cui Hermann riprende, all’interno dello studio, la creazione e il successivo disfacimento di un’opera che Paolucci avrebbe dovuto realizzare al  Museum Art. Plus di Donaueschingen nel 2022, ma l’incedere pandemico gli impedì di recarsi in Germania.

(Imago Film)

Viene poi offerto congruo spazio alla visione di altre opere di Paolucci, rifuggendo provvidamente da tecnicismi o interventi da addetti ai lavori, ad esempio il monumento ai volontari ticinesi antifascisti uccisi in Spagna tra il 1936 e il 1939, purtroppo oggetto di atti vandalici, o quello dedicato alla memoria di Pier Paolo Pasolini, che ne estremizza visualmente l’impressione suscitata nell’artista dalle modalità del suo assassinio. Flavio Paolucci. Da Guelmim a Biasca, andando a concludere, ci restituisce la visione, incline a suscitare varie riflessioni, su cosa possa significare un atto creativo in sé per sé considerato e nella peculiarità di chi lo pone in essere, il perdurare o meno della sua essenza  e portata simbolica nel corso del tempo, assecondando mutanti fervori anche nell’impiegare materiali insoliti (da una foglia morta alla fuliggine dei vecchi camini idonea a generare inedite tonalità di nero). Il tutto ricercando quali valori portanti la semplicità e il silenzio, così da rimarcare quell’equilibrio precario tra cultura, natura ed umanità, nella ricerca costante di una nuova direzione, o della riscoperta dell’antico sentiero, per uscire dal labirinto del perfezionamento tecnicistico fine a se stesso in cui, forse inconsciamente, ci siamo imprigionati nel corso di questi ultimi anni .

Già pubblicato sul sito Lumiere e i suoi fratelliCultura cinematografica e crossmedialità. Immagine di copertina: Vimeo

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