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Roma, zona nord. Nella sua bella villa la 33enne Alice (Paola Cortellesi) impartisce ordini ai tre domestici extracomunitari con spocchiosa ironia, tra birignao e malcelate arie da burina arricchita. Moglie di un manager operante nel settore dei sanitari, un figlio di nove anni iscritto in una scuola privata, la sua vita scorre tranquilla, unica preoccupazione allestire party per ogni evenienza, come quello in corso, volto a celebrare l’anniversario di matrimonio.

Classico fulmine a ciel sereno, il marito muore in un incidente stradale, lasciandole un debito impegnativo da saldare, conseguente a oscure manovre finanziarie, con il rischio incombente della bancarotta e dell’affidamento del figlio ai servizi sociali. Trasferitasi grazie all’aiuto dell’ormai ex domestico pachistano Aziz (Hassani Shapi) nel quartiere popolare del Quarticciolo, Alice entra in contatto con una multiforme realtà.

Ecco il portiere Lionello (Rocco Papaleo), becero e razzista, i vicini di casa Enzo (Lillo) e Tiziana (Lucia Ocone), pronti ad attaccare bottone alla minima occasione, Giulio (Raoul Bova), uomo integro, dai forti principi, gestore di un Internet Point e il suo amico commesso Biagio (Valerio Aprea), depresso per l’abbandono della fidanzata Sofia (Caterina Guzzanti).

Superate le diffidenze iniziali, Alice inizia una relazione con Giulio, nascondendogli però di aver intrapreso la carriera di escort, dopo i suggerimenti della professionista Eva (Anna Foglietta), l’unico mestiere che gli potesse far guadagnare i soldi necessari nel più breve tempo possibile…

Nessuno mi può giudicare, esordio alla regia dell’attore e sceneggiatore Massimiliano Bruno, autore dello script insieme ad Edoardo Falcone, su soggetto di Fausto Brizzi, è una commedia sentimentale divertente e interessante, non fosse altro per la riscoperta capacità del nostro cinema di presagire eventi di cronaca, provando a raccontare, sul filo di un’ironia leggera ma non propriamente innocua, quell’ Italia lontana da finti lustrini e proclami d’ordinanza sulla ripresa economica, che riesce, a fatica, a mantenersi integra nei suoi valori essenziali di dignità e coerenza morale, pur dovendo scendere a compromessi per poter sopravvivere, da intendersi anche, se non soprattutto, nel senso di arrivare alla fine del mese, in una società dominata da opportunismi e falsi valori.

L’ espediente narrativo adottato, debitore del cosiddetto “neorealismo rosa”, scevro del suo originario uso spregiativo, fa sì che il Quarticciolo assurga al ruolo di arcadico mondo a sé stante, rappresentando, nella sua multietnicità, nelle varie, tipiche, contrapposizioni e contraddizioni, tutto il paese, vedi la sua parte più cialtrona, rappresentata dai proclami qualunquistici di Papaleo (memorabile l’invettiva rivolta a Nanni Moretti, citando una scena di Ecce Bombo), una serie di slogan razzisti ad ampio raggio, anche se alla fine pure lui dovrà scendere a patti con la vita.

Il lavoro di scrittura prevale spesso sulla regia, oggetto di qualche cedimento: nel voler dare risalto un po’ a tutti i personaggi, a volte si dà vita a dei siparietti vagamente bislacchi, anche se dalla resa comica efficace (i tentativi messi in atto dalla Guzzanti per riconquistare il suo uomo, arrivando a “noleggiare” Fausto Leali). A dominare la scena la performance della Cortellesi, piuttosto credibile sia negli iniziali panni della coatta arricchita che in quelli della prostituta improvvisata, anche se non viene approfondita la sua progressiva trasformazione e lo stesso dicasi per i mutamenti caratteriali del figlio.

Riguardo gli altri attori, più che Papaleo, per quanto gustoso nella sua caratterizzazione, a convincermi sono stati Bova, a suo agio nei panni del borgataro tutto d’un pezzo capace di mutare per amore, e Foglietta nel ruolo di Eva, personaggio dalle molte sfumature; tra il “volemose bene”, pur non indulgendo mai al classico sentimentalismo d’accatto, e l’autoassoluzione già espressa nel titolo, non ci si può comunque esimere dal lodare tanto l’intenzione che la buona fede degli autori, attendendo per la prossima opera un pizzico in più di distaccato cinismo e concretezza.

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