Non ne faccio una questione di “lesa maestà”, ci mancherebbe altro, ma riguardo la fiction Il generale Della Rovere andata in onda su Rai Uno in due puntate, domenica 9 e lunedì 10 ottobre, il dubbio si insinuava con lo scorrere dei minuti e diveniva infine imperante domanda: a chi giova un’operazione del genere? Ha veramente senso riprendere il soggetto del film originale, da un articolo di Indro Montanelli poi divenuto racconto, contestato Leone d’Oro a Venezia nel’59 ex aequo con La Grande Guerra di Mario Monicelli e riproporlo, con qualche reinterpretazione, tra adattamenti e allungamenti vari, per coprire la durata dei due episodi?
Non discuto, poi, sulla qualità complessiva di quanto trasmesso: il protagonista, Pierfrancesco Favino, ha fornito una valida interpretazione, per quanto mi sia apparso un po’ indeciso se richiamare movenze e atteggiamenti di Vittorio de Sica, Bertone/Della Rovere nel citato originale, a volte anche nell’inflessione vocale, o seguire una strada interpretativa autonoma, visibile comunque solo a tratti.
Il regista Carlo Carlei ha saputo sfruttare una sceneggiatura certo più articolata, assecondando i gusti odierni nel visualizzarla con un’enfasi a volte eccessiva (in particolare nella scena finale della fucilazione, quasi una messa cantata nel suo calcolato prolungamento più che una rapida esecuzione), con un uso eccessivo del ralenti e della musica, in odor di spot pubblicitario, specie se accompagnate, come in tal caso, da una fotografia particolarmente studiata, traente la base da un classico bianco e nero, per poi virare verso un calcolato “effetto seppia” da vecchia cartolina o stampa d’epoca.
In sostanza io resto del parere, vox clamantis in deserto, che avrebbe avuto più senso presentare in prima serata l’opera del ’59, sottolineandone la sua importanza dal punto di vista storico-cinematografico: in primo luogo rappresentava il ritorno in Italia di Roberto Rossellini, che firmava praticamente e chiaramente un’opera su commissione, lontana dall’estro intuitivo – creativo proprio delle sue migliori realizzazioni, ma con uno stile rigoroso e asciutto, specie nella prima parte.
Riusciva infatti a valorizzare con pregiata tecnica le riprese totalmente in interno e rendendo al meglio l’interpretazione offerta da De Sica di cui sopra e poi costituiva uno dei primi tentativi del nostro cinema di analizzare gli accadimenti della Resistenza in maniera più riflessiva, se non propriamente distaccata, alla ricerca di una maggiore obiettività.
Sarebbe un’operazione didascalica obietteranno probabilmente in molti, mentre secondo me la sua funzione potrebbe essere essenzialmente didattica, al di là dell’ intrattenimento puro e semplice, in coerenza con la funzione di “servizio pubblico”, ormai, più che dimenticata, travisata nel significato corrente di “fare audience”, superare anche di un solo spettatore la concorrenza, in nome di una qualità omologata e standardizzata, buona per tutti ma veramente valida per nessuno.





Lascia un commento