Vi sono film che ricorrendo ad una regia estremamente classica, idonea a valorizzare con minimi movimenti di macchina ogni particolare della messa in scena, così come le singole interpretazioni attoriali e senza indulgere in toni melodrammatici o, peggio, pietistici ove al centro della narrazione vi sia il decorrere di una malattia o di un qualsivoglia disagio fisico/psichico, riescono a dar vita ad una profonda resa empatica con gli spettatori, fino all’immedesimazione totale, quest’ultima suffragata poi da una trascinante commozione, sincera e sentita. Quanto scritto ritengo possa essere valido per The Father, esordio alla regia cinematografica del drammaturgo e romanziere francese Florian Zeller, che ha adattato per il grande schermo, insieme a Christopher Hampton, la sua opera teatrale Le père, rappresentata per la prima volta a Parigi nel 2012, ricevendo un premio Molière per la Miglior commedia, per poi debuttare a Broadway e nel West End londinese, mentre risale al 2015 il primo adattamento per il cinema, Floride, film diretto da Philippe Le Guay, con Jean Rochefort e Sandrine Kiberlain quali interpreti principali. La vicenda prende piede con la visita di Anne (Olivia Colman) al padre 81enne Anthony (A. Hopkins), ingegnere in pensione, nel suo appartamento londinese, accorsa di gran carriera una volta appreso dell’ennesima lite con la badante, la quale, ormai esasperata, ha deciso di levare le tende. La donna, affranta, cerca di spiegare al genitore come gli sia necessaria una persona che lo assista e lo coadiuvi nelle faccende quotidiane, anche perché lei, reduce da un divorzio, intende trasferirsi a Parigi con il compagno Paul.
Anthony fatica a comprendere, è smarrito, confuso, tante le immagini che si succedono innanzi ai suoi occhi, elaborazione di una mente sconvolta dalla demenza senile e dalla costrizione di sentirsi intrappolato in una dimensione che non gli appartiene, imposta a suo dire da quanti ritengono che la sua lucidità, il suo poter badare a se stesso, siano ormai inesistenti. Anche l’appartamento non sembra il suo, qualcosa è cambiato, come del resto le persone che si trova davanti, vedi la nuova badante, Laura (Imogen Poots), che tanto gli ricorda l’altra sua figlia, Lucy, pittrice, da lui creduta ancora viva, mentre è morta anni addietro… Zeller con The Father imbastisce un’opera che potremmo definire “un giallo da camera”, ma anche un “horror domestico”, andando a creare un concreto rapporto sinergico fra vari elementi tecnici, dalla scenografia (Peter Francis) ai costumi (Anna Robbins), passando per la fotografia (Ben Smithard), senza dimenticare la grammatica interpretativa offerta dal montaggio (Giōrgos Lamprinos) e la mai stridente sottolineatura delineata dalla colonna sonora (Ludovico Einaudi), che ricorre a motivi per lo più diegetici, del tutto inerenti al narrato. Pregevole intuizione, rendere la demenza senile protagonista assoluta, una soggettivazione esaltata dall’intensa e realistica interpretazione di Hopkins, così sorprendentemente naturale, con un mutamento dello sguardo o un cambio di postura, nel passare dal riso (per esempio la sequenza in cui si presenta alla nuova badante, esternando un passato da ballerino…) al dolore più cupo, dallo stupore di meraviglia allo sconcerto devastante, che troverà sfogo nel finale.
L’alternanza e la reiterazione di diversi piani relativi all’idea di luogo, spazio e tempo, così come si susseguono nella mente ora sconvolta ora lucida, per brevi istanti, di Anthony, trasmettono la percezione dei differenti livelli di realtà e di varie contraddizioni riguardo le azioni perpetrate da personaggi dall’identità cangiante, il tutto sul filo di una realistica suspense, scaturente dallo scomposto turbinio dato dall’insorgere di sensazioni quali costernazione, sgomento, vulnerabilità, insicurezza, proprie di un uomo del tutto convinto di essere perfettamente lucido e per di più incline a contrastare con fierezza quanti ritengono che non lo sia. Nell’inevitabile ma comunque sconvolgente ribaltamento dei ruoli, il padre che si trasmuta gradualmente nella prole inerme e spaurita e la figlia ora di fronte ad inedite responsabilità “genitoriali”, assume poi rilevanza l’interpretazione offerta da Olivia Colman nel rendere, soprattutto attraverso il non detto, quel senso straziante di nodo alla gola, col cuore trafitto da migliaia di spilli, che prende una volta giunti al bivio imposto ora dalla vita, continuare il cammino esistenziale intrapreso o trasmutarlo nel conferire piena accondiscendenza e dedizione alla travagliata condizione in cui versa chi ti ha messo al mondo.
The Father, andando a concludere, è un’opera di rara e sconvolgente bellezza nel suo vivido e toccante realismo, ci porta senza alcuna forzatura all’interno di un labirinto generato da una mente ormai travolta dall’incedere della malattia e dal brusco mutamento di ogni ritualità quotidiana, dove la perdita della memoria coincide con lo smarrito senso della consapevolezza di sé, del proprio essere, fino a sentirsi del tutto nudi, “come un albero che sta perdendo tutte le sue foglie”, riprendendo le parole di Anthony nello splendido e catartico finale. Ecco allora sublimata l’impossibilità, o anche la difficoltà, di svolgere le funzioni vitali, quelle intese a dare un senso al proprio cammino terreno, fino all’angosciante consapevolezza di “non sapere dove posare il capo”, prontamente confortati al riguardo da un sincero e confortante abbraccio, che ci riporta lì dove tutto ha avuto inizio, nell’alveo materno, percezione di una sensazione primordiale nel momento in cui il sipario sta ormai per chiudersi, ponendo fine alla nostra quotidiana recita sul palcoscenico della vita.
Oscar 2021: Miglior Attore Protagonista (Anthony Hopkins) e Miglior Sceneggiatura non Originale (Florian Zeller e Christopher Hampton) .
Una risposta a "The Father – Nulla è come sembra"