Io sono Babbo Natale

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C’era una volta in quel di Roma un bambino, Ettore Magni, che, rattristato per l’ennesima mancata consegna dei regali da parte di Babbo Natale, nonostante il puntuale invio della consueta letterina, scriveva nuovamente al canuto e corpulento dispensatore di doni, promettendogli indispettito che un giorno avrebbe preso il suo posto. Era la mattina di Natale del 1975 ed ora, giorni nostri, a tre settimane dalla festa più bella dell’anno, quel bambino ormai adulto (Marco Giallini) si appresta ad uscire dalla Casa Circondariale di Regina Coeli: il mantenimento della buona condotta ha fatto sì che la pena per rapina venisse commutata da otto a sei anni e verrà affidato, come gli comunica il direttore del carcere, ad una cooperativa che si occuperà del suo reinserimento sociale. I componenti della banda di cui il nostro faceva parte, dei quali ha taciuto i nomi riguardo il colpo alla banca, gli riservano, in luogo della sua parte di bottino, una sonora dose di botte, mentre l’ ex compagna, Laura (Barbara Ronchi), non è disposta ad accoglierlo, considerando come l’abbia abbandonata quando era in attesa di una bambina, l’ormai cresciuta Alice (Alice Adamu) e adesso stia cercando di rifarsi una vita insieme al marito Luciano (Daniele Pecci), irreprensibile uomo d’affari. Non resta che passare la notte su una panchina e domani si vedrà, quando un passante gli allunga una banconota da 50 euro, allettando Ettore a seguirlo fino alla sua abitazione, pronto a riprendere quell’attività a lui più congeniale, d’altronde è figlio d’arte (papà rubava e mamma spacciava)… La dimora dell’anziano e distinto signore, che di nome fa Nicola Natalizi (Gigi Proietti), si rivela però piuttosto modesta, anche se sembra nascondere qualche segreto, a partire da un’enorme cantina colma di giocattoli… Eh già, Ettore fatica a credergli ma pare che il buon Nicola non sia altri che Babbo Natale in persona, trasferitosi dalla Lapponia nella Capitale, dove, a parte qualche problema come il traffico, l’immondizia, le buche, si vive piuttosto bene…

Gigi Proietti e Marco Giallini (Movieplayer)

Scritto e diretto da Edoardo Falcone, Io sono Babbo Natale, fra i titoli di preapertura alla 16ma Festa del Cinema di Roma, è un film che merita di essere considerato anche al di là della triste considerazione che trattasi dell’ultima apparizione cinematografica di Gigi Proietti, qui propenso comunque a regalarci una interpretazione sobria ed incisiva al contempo, attenta ai tempi nel porgere le battute con la consueta naturalezza, per poi trovare esaltazione nel reciproco gioco di spalla con un altrettanto misurato Giallini. Ambedue gli attori si rendono latori di una romanità in duplice visione, l’una disincantata ed affabile, l’altra ruvida, cinica e colma di disillusione, propria quest’ultima di chi dalla vita ormai non si aspetta altro che l’ennesima porta in faccia, non chiedendosi mai, d’altra parte, cosa possa realmente porre in essere perché tale eventualità non si verifichi. Piuttosto valida anche la prova offerta da Barbara Ronchi nei panni di Laura, che dà corpo ed anima ad una donna a volte incerta e smarrita nel provare a comprendere quale forma di felicità possa adattarsi compiutamente ai propri aneliti esistenziali e riempirle definitivamente il cuore, sempre considerando “le discese ardite e le risalite” proprie delle ritualità di ogni giorno. Falcone pone in essere una sinergica combinazione fra il lavoro di scrittura, con una sceneggiatura complessivamente valida, vivida di dialoghi brillanti e battute spesso taglienti, pur tendendo a sfilacciarsi lungo l’iter narrativo, andando incontro a più di un’incongruenza e quello relativo alla regia, attenta a valorizzare le interpretazioni attoriali, offrendo opportuno risalto ad ogni personaggio, rimarcando con ironia ed un tocco di benvenuta umanità le varie situazioni che andranno a verificarsi.

Giallini e Barbara Ronchi (Movieplayer)

Evidente soprattutto la naturalità espressa nell’offrire buon albergo al senso dell’immaginifico, del fantastico, all’interno di un’ordinaria e a volte fin troppo razionale quotidianità, avvalendosi di una curata fotografia (Maurizio Calvesi) e di effetti speciali che, nella loro manifesta artigianalità (il volo della slitta, ad alimentazione lunare, le renne si godono la pensione fra i ghiacci, sulla città di Roma ed altre capitali europee, la trasformazione di Nicola In Babbo Natale) rappresentano, almeno a parere di chi scrive, la magia di un cinema “puro”, volto più che a nascondere i suoi trucchi e renderli realistici, a palesarli in modo evidente, in un continuo ed affabulante gioco con gli spettatori. Quanto descritto riesce nel corso della visione a farci riallacciare i contatti con quel fanciullino di pascoliana memoria che se ne sta rannicchiato nei nostri cuori, sovrastato da ambasce e gravami esistenziali, propenso però a venir fuori stimolato dalle piacevoli sensazioni offerte da una moderna fiaba, gradevole e del tutto godibile da grandi e piccini, il cui impianto di base sembra rifarsi, idealmente, alle pellicole americane incentrate sul mitico personaggio (che, bene ricordarlo, deriva dalla storica figura di San Nicola, vescovo di Myra), non solo quelle degli anni ’80/’90, ma anche, almeno riporto la mia personale sensazione a classici sempre eterni quali Il miracolo della 34ª strada (Miracle on 34th Street, George Seaton, 1947).

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L’immaginazione viene quindi resa quale opportuna scialuppa di salvataggio per resistere ai marosi giornalieri, fino ad abbracciare uno stupore dal sentore magico nel divenire sempre più piccoli e poter così constatare la vacuità dell’essere grandi ove, riprendendo le parole di Nicola, si sia perso quel disinteresse che rende il dare precipuo rispetto al pretendere, comprendendovi anche l’aridità profusa nell’esternazione recitata dei buoni sentimenti di prammatica. Ecco allora che tramite la figura del “buon ladrone” il Natale viene liberato dalle consuete pastoie del buonismo e della melensaggine d’ordinanza per riappropriarsi della sua portata più intima e sincera, fino all’incanto infantile, per cui illusorie scenografie e melassa in offerta speciale lasceranno il posto ad un’autentica disposizione dello spirito, un’occasione per riflettere su se stessi, sul proprio ruolo esistenziale, come singoli e nei rapporti col prossimo, nonché sulla bontà dei propri desideri, così da connotare, come Ettore, la propria felicità sulla base dell’ausilio offerto agli altri per renderla realizzabile nel loro ambito, personale e familiare. Un film autentico e sincero, attento al reale e alla sua contaminazione col fiabesco, da vedere per sorridere, riflettere e commuoversi, con un passaggio di consegne finale dalla struggente portata metacinematografica.


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