“La vita di un uomo è legata a tante altre vite e quando quest’uomo non esiste lascia un vuoto”, la frase pronunciata dall’angelo Clarence Odbody (Henry Travers) nel rivolgersi ad un disperato George Bailey (James Stewart) in una sequenza del classico di Frank Capra It’s a Wonderful Life (1946), è riaffiorata dai meandri dei miei ricordi cinefili durante la visione del bel documentario Eri tu, diretto da Riccardo Ferraris (The War in Between, 2017, suo esordio alla regia), così come l’idea a me cara del passato considerato non in guisa di pesante zavorra, bensì di congrua memoria relativa alle esperienze fatte, positive o negative, dalle quali attingere per vivere al meglio il presente, in particolare una volta che si sia raggiunta la consapevolezza di essere giunti in prossimità del capolinea, ora concreto futuro a cui volgere lo sguardo. Ferraris circoscrive attraverso l’obiettivo della macchina da presa il territorio del Mendrisiotto, distretto del Cantone Ticino, Svizzera, quale microcosmo idoneo a rendersi scenario di una vivida umanità, ovvero persone concretamente vere, che nel raccontare le loro storie evidenziano come le scelte messe in atto durante il loro percorso esistenziale, inteso anche a suffragare l’emozionalità propria di determinati momenti e situazioni, abbiano consentito di fare la differenza mantenendo saldo il timone di una ben precisa identità, nella consapevolezza di quanto i singoli atti posto in essere, al pari dei vari accadimenti che si sono andati a verificare o gli incontri con i propri simili, siano, sempre e comunque, caratterizzati da un sinergico e indissolubile legame. Ecco allora l’attrice, teatrale e cinematografica, Margherita Schoch, che dalla sua casa di Arogno racconta i sacrifici messi in atto per realizzare il proprio sogno volto alla recitazione, facendosi strada fra i sensi di colpa per aver assecondato la forte voglia di emancipazione e autodeterminazione.
Margherita si era infatti posta contro la volontà dei genitori, che avevano già tracciato per lei il classico itinerario (matrimonio, figli, posto sicuro), fino a poter finalmente respirare aria di libertà fuori dalle scene così come al loro interno, conoscendo importanti personalità (Bruno Ganz) e conseguendo una borsa di studio, spaziando nella sua attività da Zurigo a buona parte del territorio europeo. E’ poi la volta di Gianfranco Cereghetti, che invece non si è mai mosso da quel di Muggio, paese natale, anche dei genitori e dei nonni, sempre prodigo, insieme all’amata consorte, nel mantenere vive le tradizioni locali e cercare di perpetrarle, la cui vita è stata interessata da un doloroso evento, mentre a Morbo Superiore Franco Lurati è intento ora alla coltivazione della vite, dopo aver vissuto a cavallo fra il Ticino e i paesi dell’America del Sud, Brasile ed Argentina in particolare, con l’adozione di una bambina colombiana a far da legame tra i due mondi. Persone la cui età si aggira intorno agli 80 anni, che si offrono senza filtri alle riprese, facendo sì che Ferraris ne possa assecondare con sensibilità il flusso emozionale e renderlo cinematograficamente a noi spettatori, così da essere edotti di come si sia tutti eguali in quanto ognuno di noi costituisce un unicum nella sua portata fisica ed esistenziale, mentre il bagaglio del proprio vissuto e l’incontro dei differenti modi d’atteggiarsi nei confronti della quotidiana esistenza, andranno a costituire il collante necessario per delineare il definitivo recupero di quell’umanità troppo spesso pronta a smarrirsi nel labirinto della nostra condotta egoistica, magari riuniti da un click ma socialmente ed umanamente distanti, avendo ormai smarrito la primigenia sensazione di essere legati da un filo invisibile ad ogni singola persona esistente sul pianeta Terra, a quel prossimo che altro non è che il nostro riflesso, nell’alternarsi quotidiano di gioie e dolori.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
"Mi piace""Mi piace"