Le voci sole

Italia, giorni nostri. Causa l’incedere della pandemia il metalmeccanico Giovanni (G. Storti) perde il lavoro: per assicurare la continuità del sostentamento alla famiglia, la moglie Rita (Alessandra Faiella), lavorante come donna delle pulizie e il figlio Pietro (Davide Calgaro), studente liceale, si trasferisce in Polonia, dove ha rinvenuto un posto come gruista in una fonderia. La lontananza dai propri cari è mitigata dalla tecnologia odierna, che accorcia le distanze grazie alle video chiamate, ma Rita è sempre più preoccupata per la salute di Giovanni, poco avvezzo a cucinare e a dedicarsi alle faccende domestiche, infatti il suo unico cibo sembra essere costituito dalla pizza d’asporto, che, a suo dire, a parte la salsa con un retrogusto di ketchup, non è poi tanto male… Non resta allora che organizzare delle video lezioni di economia domestica, da come preparare un buon sugo di pomodoro a come scegliere e cucinare le verdure, fino allo stirare vestiti e biancheria, anche se Giovanni non sembra voler collaborare più di tanto, dando adito a degli affettuosi rimbrotti da parte di Rita, cui il nostro, spesso stanco per i turni in fabbrica, risponde con i consueti brontolii e un certo sarcasmo. A Pietro sovviene l’idea, all’insaputa dei genitori, di registrare uno di quei quotidiani incontri e di offrirlo alla rete, registrando ben 15mila contatti in soli tre giorni, quanto basta per paventare la possibilità di un inedito guadagno, anche piuttosto sostanzioso, nel giro di poco tempo, in particolare una volta che i video verranno notati dalle varie aziende produttrici di generi alimentari o di consumo, le quali infatti faranno a gara per omaggiarli dei propri prodotti, così da reclamizzarne la sedicente bontà. La famiglia sarà dunque attratta in un vorticoso “giro di giostra” virtuale, dove tutto sembrerà essere realizzabile subitamente, anche se i like andranno ad interessare soltanto Rita, mentre Giovanni sarà oggetto dello scherno e dell’odio profuso dagli hater, finché…

Giovanni Storti (Movieplayer)

Le voci sole, presentato, in concorso, al 68mo Taormina Film Fest, in anteprima italiana (quella internazionale ha interessato il Seattle International Film Festival, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria), distribuito in sala solo dal 4 al 6 luglio, vede l’esordio alla regia di Andrea Brusa e Marco Scotuzzi, cineasti indipendenti, il primo anche autore della sceneggiatura, dopo le esperienze con i cortometraggi; si tratta di un film, a parere di chi scrive, ben scritto e diretto, con un impatto visivo per certi versi insolito, giocato sull’essenzialità, fra teatro e documentario come credo notato da molti. Una commedia drammatica che offre risalto alle ottime interpretazioni attoriali, a partire da Giovanni Storti, per la prima volta in un ruolo non comico, che dona al personaggio interpretato delle sfumature malinconiche pregne d’umanità, proprie di chi ha acquisito consapevolezza di cosa voglia dire realmente essere delle “voci sole”, al di là dei seminatori d’odio seriale sul web, ovvero quelle persone, pecore bianche in un gregge omologato e omologante di pecore nere, capaci ancora di credere in determinati valori: la fatica profusa nel lavoro quale elemento differenziante e qualificante per sostenere la propria persona e contribuire al bilancio familiare insieme ai propri cari, il riuscire a mantenere una salda coesione all’interno della mura domestiche, affrontando gli inevitabili disaccordi e le altrettanto inevitabili difficoltà opponendo loro spirito unitario nella condivisione di gioie e dolori. Il tutto pur nella disillusione imperante generata dal vedere “il resto del mondo” prendere ben altra direzione, attratto dal canto delle sirene o dalla melodia di qualche pifferaio magico, magari scorgendo nei social la facile possibilità di un’inedita fonte di reddito, illudendosi di poter scegliere, o imporre, in apparente totale libertà, le tendenze e i personaggi da seguire, mentre in realtà non ci si rende conto, spesso e volentieri, di non essere altro che delle marionette i cui fili sono tenuti ben saldi, e opportunamente manovrati, da calcolati interessi di mercato.

Alessandra Faiella

Non sono da meno Alessandra Faiella nel ritrarre, alternando amarezza ed ironia, una casalinga colpita dal fulmine della subitanea notorietà ed accecata dal lampo dell’improvviso benessere, che dovrà però presto fare i conti con la relativa impotenza a gestire adeguatamente ambedue, egualmente al figlio Pietro, un bravo Calgaro, in quanto persone ancora permeate da una sensibilità ed un’umanità che non hanno nulla da spartire con le generalizzazioni e i sensazionalismi date in pasto attraverso i vari media, non solo via web, a quanti saranno scevri da scrupoli nella loro elaborazione gratuitamente malevola, “si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio” (Bocca di rosa, Fabrizio De André). Brusa e Scotuzzi, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, optano per una messa in scena piuttosto originale e scarna, giustapponendo ed intercalando visivamente tre diversi ambienti, ad inquadratura per di più fissa, la fonderia, visualizzando prevalentemente una gru all’opera nel prelevare dei residui ferrosi o un fiammeggiante altoforno, l’abitazione polacca di Giovanni, buia e opprimente, e quella italiana con Rita e Pietro, lasciando spesso le voci fuori campo dei protagonisti, frammiste a quelle dei commentatori web e di un operaio del Camerun a colloquio con la moglie, sullo sfondo della citata fonderia, ad indicare simbolicamente, almeno riporto la mia primaria impressione, come l’alienazione non sia ormai propria solamente di una determinata situazione lavorativa, ostentata dalla ritualità quotidiana e meccanica di gesti e comportamenti, ma vada ormai a lambire ogni settore tanto della vita familiare: l’insoddisfazione relativa al proprio essere, al proprio apporto umano, soffocato da necessità impellenti nel seguire il tempo scandito dal metronomo per l’esecuzione del rapporto produzione/consumo, quanto di quella sociale, dominata dall’individualismo e da un uso distorto della tecnologia a disposizione.

Davide Calgaro e Faiella (Movieplayer)

Ecco allora il web divenire una sorta di porto franco, spesso avulso dall’ordinarietà sociale, dove tutto sembra essere realizzabile, nell’illusione di godere dello status di protagonisti assoluti nella prosecuzione, “verso l’infinito e oltre”, di quel famoso “quarto d’ora di celebrità” illustrato con lungimiranza da Warhol. Le voci sole, andando a concludere, è un film che si smarca felicemente da certe produzioni italiche “pronto cuoci”, rimarcando la vitalità propria del cinema indipendente nell’avallare coraggiosamente un particolare rapporto forma/contenuto e nell’affidarsi, valorizzandole, alle interpretazioni attoriali; forse si potrebbe evidenziare una certa ripetitività e la tendenza ad una contrapposizione fra bene e male che a volte sa di manicheismo, ma credo che ciò non infici più di tanto il suo fondamentale apporto di opportuna e valida parabola morale, congiunto alla felice costruzione visiva.

Gatto, Volpe, Pinocchio (Wikipedia)

E il Campo dei miracoli dov’è? — domandò Pinocchio.— È qui a due passi. —Detto fatto traversarono la città, e, usciti fuori delle mura, si fermarono in un campo solitario che, su per giù, somigliava a tutti gli altri campi.— Eccoci giunti, — disse la Volpe al burattino — Ora chinati giù a terra, scava con le mani una piccola buca nel campo, e mettici dentro le monete d’oro. —Pinocchio obbedì. Scavò la buca, ci pose le quattro monete d’oro che gli erano rimaste: e dopo ricoprì la buca con un po’ di terra.— Ora poi — disse la Volpe — vai alla gora qui vicina, prendi una secchia d’acqua e annaffia il terreno dove hai seminato. ―Pinocchio andò alla gora, e perché non aveva lì per lì una secchia, si levò di piedi una ciabatta e, riempitala d’acqua, annaffiò la terra che copriva la buca. Poi domandò:— C’è altro da fare?— Nient’altro, — rispose la Volpe — Ora possiamo andar via. Tu poi ritorna qui fra una ventina di minuti, e troverai l’arboscello già spuntato dal suolo e coi rami tutti carichi di monete. ―Il povero burattino, fuori di sé dalla contentezza, ringraziò mille volte la Volpe e il Gatto, e promise loro un bellissimo regalo.— Noi non vogliamo regali; — risposero que’ due malanni. — A noi ci basta di averti insegnato il modo di arricchire senza durar fatica, e siamo contenti come pasque. ―Ciò detto salutarono Pinocchio, e augurandogli una buona raccolta, se ne andarono per i fatti loro(estratto dal 18mo capitolo del romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Carlo Collodi, 1883).


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