Un ricordo di Carlos Saura

Carlos Saura (Cremaoggi)

Lo scorso venerdì, 10 gennaio, ci ha lasciati il regista cinematografico spagnolo Carlos Saura (Huesca, Aragona, 1932), autore sensibile e raffinato, che ha ammantato le sue realizzazioni di un profondo realismo, incline comunque ad accogliere metafore ed allegorie relative al ruolo della politica nella storia iberica, in particolare nel rapporto con l’arte, senza dimenticare i rilievi offerte alle psicologie dei personaggi femminili e a quelle proprie del mondo dell’infanzia. Appassionato di fotografia fin da ragazzo, Saura non terminò gli studi in Ingegneria, facoltà a cui si era iscritto, ma, ispirato dall’attività di pittore del fratello Antonio, cinefilo accanito, entrò nel gruppo artistico Tendencias (fonte Enciclopedia del Cinema Treccani), così da poter poi frequentare l’Istituto de Investigaciones y Experencias Cinematográficas, fondato nel 1947, del quale facevano parte i più illuminati “contestatori” del cinema tradizionale spagnolo, come Juan Antonio Bardem e Luis García Berlanga, tra coloro che lo guidarono fino al diploma in regia, conseguito nel 1957. Nello stesso istituto Saura insegnò regia e sceneggiatura, fino alla metà degli anni Sessanta, adoperandosi anche nella realizzazione di reportage fotografici e documentari, mentre nel 1955 prese parte, in qualità di regista esordiente, alle Conversaciones Cinematográficas de Salamanca, una sorta di stati generali del cinema, per poi debuttare quattro anni più tardi col suo primo lungometraggio, Los golfos (I monelli, presentato in Concorso al 13mo Festival di Cannes), che traeva ispirazione tanto dal cinema neorealista italiano che dal cinéma vérité francese, opera che conobbe i favori della critica ed anche del pubblico, ma non in patria, dove venne proiettato, mutilato dai pesanti tagli della censura, solo nel 1962.

(Filmaffinity)

L’episodio degli interventi censori si ripeté nel 1964, per una sequenza del successivo Llanto por un bandido (I cavalieri della vendetta), tanto che Saura si mise alla ricerca di un produttore che potesse garantirgli piena libertà d’espressione, rinvenendolo nell’amico Elias Querejeta, il quale, a partire dal 1965, con La caza (La caccia), film vincitore dell’Orso d’Argento per la regia al 16mo Festival di Berlino, collaborò stabilmente col regista, per buona parte delle sue realizzazioni. Importanti anche le collaborazioni con lo sceneggiatore Rafael Azcona Fernández e l’attrice Geraldine Chaplin, musa sullo schermo e compagna nella vita. Quest’ultima diede vita al pregnante sodalizio artistico con Peppermint frappé (Frappè alla menta, 1967), nuovamente premiato con l’Orso d’Argento per la regia al 18mo Festival di Berlino, cui seguirono Stress-es tres-tres  (Lo stress è tre, tre, 1968), La madriguera (La tana, 1969), Ana y los lobos (Anna e i lupi, 1972), Cría cuervos… (1972, vincitore del Gran Prix della Giuria al 29mo Festival di Cannes), Elisa, vida mia (Elisa, vita mia, 1977), Los ojos vendados (Gli occhi bendati, 1978) e Mamá cumple cien años  (Mamà compie 100 anni, 1979). Se titoli come El jardín de las delicias (Il giardino delle delizie, 1970) risultano avvolti da un feroce senso del grottesco degno del miglior Buñuel e altri (ad esempio La prima Angélica, 1974 o il citato Elisa, vita mia) da una vena malinconica nel rimarcare “le rose non colte” all’interno di un inesorabile incedere temporale, dopo Deprisa, deprisa (In fretta in fretta, 1981), vincitore dell’Orso d’Oro al 31mo Festival di Berlino, la filmografia di Saura, anche in seguito ai mutamenti incorsi nella politica spagnola, si apprestò a seguire altre tematiche.

(Filmaffinity)

Eccolo allora coltivare proficuamente emozionalità e senso pittorico dello spettacolo, sempre all’insegna di una notevole ricerca formale e della raffinatezza visiva, indagando con ferma incisività in particolare sul rapporto tra arte, storia e vita. Si possono citare al riguardo i film dedicati alla danza, come Bodas de sangre (Nozze di sangue, 1981), Carmen Story (1983), El amor brujo (L’amore stregone, 1986), Flamenco (1995), Tango, no me dejes nunca  (Tango, 1998), Salomè (2002) mentre un felice connubio tra spettacolarità e racconto storico lo si può rinvenire, almeno a parere dello scrivente, in opere come El Dorado (A peso d’oro, 1988) e La noche oscura (1989), che vedono al centro della narrazione, rispettivamente, il conquistador Lope de Aguirre (interpretato da Omero Antonutti) e il presbitero San Juan de la Cruz, ma anche in Goya en Burdeos (Goya, 1999), che si avvale della fotografia di Vittorio Storaro, ad esaltare la luce e l’impiego espressivo del colore, collaborazione avviata col già citato Flamenco. Saura avrebbe dovuto ricevere il Premio Goya alla Carriera alla 37ma edizione dei premi attribuiti ogni anno dall’Academia de las Artes y las Ciencias Cinematográficas, che si è svolta sabato 11 febbraio, rendendo omaggio al grande regista spagnolo, continuatore sagace dell’opera buñueliana, “regista di grande splendore che usa meravigliosamente i suoi attori”, prendendo adeguatamente a prestito come chiusura dell’articolo quanto espresso nei suoi confronti dal cineasta Stanley Kubrick, durante un’intervista rilasciata al quotidiano iberico El Pais nel 1989.


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