(Movieplayer)

Diretto da Matteo Garrone, anche autore della sceneggiatura insieme a Massimo Ceccherini, Massimo Gaudioso, Andrea Tagliaferri, traendo ispirazione da eventi realmente accaduti, Io capitano è stato di recente selezionato dall’apposito comitato dell’ANICA quale titolo designato a rappresentare l’Italia alla 96ma edizione degli Academy Awards®, nella selezione per la categoria International Feature Film Award, dopo essere stato presentato in concorso all’80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Qui ha conseguito, oltre a tutta una serie di premi collaterali, il Leone d’Argento per la Migliore Regia, mentre al protagonista Seydou Sarr è stato conferito il Premio Marcello Mastroianni, destinato a un giovane attore o attrice emergente.

Sono uscito dalla sala ammaliato e turbato in eguale misura, nella ferma convinzione di aver assistito ad un film straordinario per la sua portata visiva e contenutistica.

La prima, grazie all’apporto di Paolo Carnera alla fotografia, naturalmente luminosa e pittorica, si avvale di immagini dal forte impatto, mediando con efficacia tra crudo realismo e visionarietà, mentre riguardo il secondo aspetto la narrazione appare del tutto sgombra da retorica o pietismi di sorta, circoscritta relativamente alla descrizione di ambienti e persone dallo sguardo dei due giovani protagonisti, i cugini, sedici anni a testa, Seydou (S. Sarr) e Moussa (Moustapha Fall).

E’ in particolare Seydou a conferire, moderno Candide, una visione complessivamente pura nei confronti di quanto lo circonda e di ciò che andrà a conoscere nel corso di un difficoltoso cammino, mutuata dal riferimento alla figura materna.

Le sensazioni positive riguardano in primo luogo la visualizzazione di un’esistenza in quel di Dakar, Senegal, certo non agiata ma comunque dignitosa, tra affetti familiari, la frequentazione della scuola, le amicizie, la passione per la musica dei due ragazzi, che li porta a scrivere canzoni e a “rapparle” in compagnia o sui social.

Proprio quanto diffuso da quest’ultimi, “è la globalizzazione bellezza”, le immagini di un’Europa quale inedita terra promessa, alimenterà il loro sogno di poter viaggiare e andare incontro ad una realtà diversa, dove magari riuscire a sfondare come cantanti e “farsi firmare gli autografi dai bianchi”.

Un desiderio del tutto normale, non collegato ad incipienti guerre o carestie, in linea con quanto anelato dai coetanei occidentali, i quali si spostano facilmente da una località all’altra, come dichiarato dallo stesso Garrone in varie interviste.

E così, raggranellata la somma necessaria alla partenza lavorando, di nascosto dalle rispettive famiglie, in qualità di manovali in un cantiere, i nostri, dopo aver consultato uno sciamano per assicurarsi la protezione degli antenati trapassati, affronteranno un viaggio che vedrà presto la primigenia innocenza lasciare spazio a un crudo disincanto.

Tra richieste continue di danaro, ora per i passaporti falsi, ora per chiudere un occhio al riguardo, il bus che si ferma alle soglie del deserto sahariano, costringendoli a percorrerlo a piedi, i due ragazzi e i loro compagni di viaggio conosceranno presto la crudeltà dell’uomo verso se stesso, gli orrori delle prigioni libiche e l’umiliante riduzione in schiavitù, il tutto appena mitigato da qualche scampolo d’umanità.

Costretti a separarsi, Seydou e Moussa riusciranno infine a ricongiungersi ed intraprendere un ulteriore viaggio via mare, così da raggiungere la meta prefissata, che coinciderà con l’assunzione di un’inedita consapevolezza esistenziale.

La regia di Garrone asseconda una benvenuta classicità, variando tra “morbida” linearità e modalità più ruvide (la lugubre visione delle prigioni libiche o la traversata in mare, ad esempio), affidandosi alla recitazione del tutto immediata e spontanea dei due protagonisti (il film è girato in wolof, la lingua senegalese, sottotitolato).

A tale ultimo riguardo, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, ad emergere è soprattutto la figura di Seydou, che con la sua purezza traghetta verso l’onirico fiabesco gli accadimenti più tragici e dolorosi, dalla morte di una donna nel corso dell’attraversamento del deserto, alla prigionia in Libia, quando sarà confortato da un intimo sogno ad occhi aperti, che si ammanta di una soffusa spiritualità, propria della religione africana.

Garrone, sempre a parere mio, non intende “farci la morale” o scatenare diatribe, bensì, più semplicemente, coerente alla propria cinematografia, descrivere, con modalità dirette ed elegiache al contempo, come determinate condizioni di emarginazione ostacolino le aspirazioni legittime di quanti, giovani in particolare, intendano assumere la visione di altri orizzonti, provando ad elevarsi dalla loro condizione seguendo “virtute e canoscenza” (Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI, verso 119).

Condizioni cui non è certo d’ausilio quel menefreghismo vestito a festa espresso dalle buone intenzioni proprie dei “sepolcri imbiancati”, quel “aiutiamoli a casa loro” che, in un passato facilmente divenuto presente, ha assunto sovente i tratti del colonialismo e dello sfruttamento di uomini e risorse, in nome di un progresso meramente materiale, orfano di una concreta evoluzione umana.

Io capitano, andando a concludere, è un’opera coraggiosa nel proporre una “visione altra” riguardo all’emergenziale problematica migratoria, mescolando empatia, realismo e senso immaginifico.

Un particolare racconto di formazione, un viaggio verso la conoscenza del mondo, che trova la sua definitiva concretezza nella bellissima sequenza finale: l’urlo di Seydou racchiude il passaggio tra la condizione di ragazzo e quella di uomo, probabilmente mantenendo intatta la sua capacità di stupirsi tanto delle brutture quanto delle bellezze proprie dell’incedere quotidiano, ora arricchita da un inedito senso di speranza verso un domani tutto da costruire.

Un personale I have a dream che non dimentica la condivisione quale bene primario, in nome di una diversità parificatrice.

Immagine di copertina: Movieplayer

11 risposte a “Io capitano”

  1. […] di Enzo d’Alò, candidatura già annunciata nell’ambito del Miglior Film d’Animazione, Io capitano di Matteo Garrone, Miglior Film Europeo e Miglior Regista Europeo, mentre La chimera di Alice […]

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  2. […] Lanthimos e Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese. Buone notizie per i nostri colori, Io capitano di Matteo Garrone è in gara per il miglior film straniero. Di seguito, l’elenco di tutte le […]

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  3. […] Garrone e la notizia non può che rendermi contento, perché, come ho avuto modo di scrivere nella mia recensione, si tratta di un’opera che offre una narrazione del tutto sgombra da retorica o pietismi di […]

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  4. […] e per la sceneggiatura di  Arthur Harari e della regista Justine Triet, battendo quindi Io capitano di Matteo Garrone. Di seguito, l’elenco di tutti i premi assegnati, relativamente al settore […]

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  5. […] e Miglior Film Internazionale, rendendo così un nulla di fatto ai nostri colori, rappresentati da Io capitano di Matteo […]

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  6. […] e Miglior Film Internazionale, rendendo così un nulla di fatto ai nostri colori, rappresentati da Io capitano di Matteo […]

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