
Ginger e Fred, due nomi che evocano un tempo lontano, ricordi avvolti da musiche suadenti e morbidi passi di danza nell’inquadratura di un fotogramma, mentre fuori il mondo sembrava seguire tutt’altro ritmo nell’assecondare la rituale quotidianità. Con quei nomi due ballerini del varietà, Amelia Bonetti (Giulietta Masina) e Pippo Botticella (Marcello Mastroianni), venivano appellati in virtù dei loro numeri sui palcoscenici italiani, ma oramai quegli anni sono passati e, siamo nel 1986, il mondo dello spettacolo, come la società in genere, ha subito un involgarimento a ritmo costante. Stanno prendendo sempre più piede le televisioni private, come l’emittente Centro Televisivo Spaziale di proprietà del cavalier Fulvio Lombardoni, che infarcisce i programmi di spot pubblicitari e confeziona spettacoli volti al vacuo intrattenimento, ospitando sosia di artisti famosi, quando non ostentando casi umani intesi ad impietosire in nome degli alti ascolti.
In questa cornice non propriamente splendida la coppia di un tempo avrà modo di rincontrarsi, sono stati contattati per proporre un loro numero di tip-tap nel citato spettacolo, Ed ecco a voi, che sarà registrato in un mega studio televisivo della Capitale. Un’occasione per riflettere sul proprio passato e su quanto offre loro il presente, lei vedova e proprietaria di una piccola azienda, lui propenso a qualche bicchierino di troppo e con problemi finanziari, nella possibilità che gli viene concessa di offrire ad un pubblico sempre più distratto forse l’ultima esibizione, con il consueto garbo e l’ ineffabile professionalità. Ginger e Fred, 1986, regia di Federico Fellini (co-sceneggiatore con Tullio Pinelli e Tonino Guerra), protagonisti Giulietta Masina, sua musa ispiratrice nonché compagna di vita, e Marcello Mastroianni, suo alter ego ed attore preferito.
Fellini lo girò a trentasei anni dal suo debutto come regista (Luci del varietà, 1950, co-diretto con Alberto Lattuada) e ventisei anni dopo aver diretto uno dei suoi capolavori, La dolce vita, 1960, film di cui, stando a quanto dichiarò lo stesso regista in varie interviste dell’epoca, la pellicola in esame vorrebbe essere una sorta di continuazione, come ricorda Tullio Kezich nel libro Federico. Fellini, la vita e i film (Vite Narrate-Universale Economica Feltrinelli, 2007). Se nell’opera del 1960 Fellini intendeva evidenziare, tra realtà e immaginazione, illustrando certi aspetti della mondanità romana sul finire degli anni’50, quel particolare e difficile momento in cui la vecchia Italia stava lasciando il posto ad un paese più moderno ma anche più controverso nell’affermazione di inediti parametri di riferimento, in Ginger e Fred intende invece sia allestire un’elegia ad un tempo passato, sia rivolgere un’aspra satira al degrado di una società dominata dall’impatto della televisione commerciale e dai suoi spot ammiccanti, dove negli spettacoli dominano i casi umani e riproposizioni divistiche d’antan, combinando in un sol colpo pietismo d’accatto e l’effetto noto come “nostalgia canaglia”.
Con la collaborazione nella sceneggiatura dei citati Pinelli e Guerra, Fellini imbastisce quella che potremmo definire una favola moderna, affidando la sua visione del mondo a Masina e Mastroianni, che avevano recitato insieme al tempo del teatro universitario, felicemente calati nei panni di Amelia Bonetti in arte Ginger e Pippo Botticella in arte Fred, ballerini che negli anni ’40 avevano calcato le scene del varietà ispirandosi alle gesta artistiche dei certo più celebri Ginger Rogers e Fred Astaire, la coppia d’oro del musical americano degli anni ‘30/’40. I due, ritrovandosi dopo tanti anni nel ricordare il tempo in cui lavorarono insieme hanno modo di confrontarlo con la realtà in cui si trovano a vivere, che avvertono inevitabilmente come estranea, lontana dal loro modo d’essere. Nei due personaggi, riprendendo e concordando con quanto dichiara Kezich nel volume citato, vanno a riflettersi altrettanti aspetti del carattere di Fellini.
Masina con la sua impagabile mimica rende al meglio il disagio di Amelia nel vedersi trapiantata in un mondo che non gli appartiene, raffigurando l’ingenuità vulnerabile, la timidezza, ma anche la curiosità che era propria del regista nell’approcciarsi all’esistente, mantenendosi fedele a se stesso, mentre Mastroianni col suo Pippo dà voce agli aspetti più giocosi, ironici ed autoironici della personalità felliniana. Il punto d’incontro tra questi due modi d’essere sarà offerto dall’acquisita consapevolezza che quella chiamata al ritorno alle scene in fondo non è altro che una presa in giro, qualcosa che, come scritto, possa far scattare l’elemento nostalgico e pietistico funzionale alla messa in scena di uno squallido programma, ma, senza porsi tante domande, decidono di andare avanti, è probabilmente l’ultima occasione offerta loro dalla vita per dimostrare cosa voglia dire professionalità e qualità nel mondo dello spettacolo.
Anche se rispetto ad altre realizzazioni del regista i toni possono apparire più cupi, nella prevalenza del grottesco sull’immaginifico, Ginger e Fred mantiene quel piacere del racconto che è sempre stato proprio di Fellini, attraversato da suggestioni quali fantasia, leggerezza, ironia, sentimentalismo, richiami autobiografici. Se però il percorso immaginifico presente in tutte le sue opere con estrema e poetica semplicità partiva dalla realtà per giungere all’ atmosfera propria del sogno e poi compiere il percorso inverso, senza che si notassero differenze e senza dimenticare la critica sociale, ora, personale sensazione, il viaggio nell’illusione sembra non prevedere ritorno, l’umanità appare più propensa a ripiegarsi su stessa che a ricercare la purezza onirica, seguendo il canto delle tante sirene con le loro luccicanti promesse.
Da ricordare le scenografie curate da Dante Ferretti, che ricostruisce nello Studio 5 di Cinecittà il luccicante e volgare spettacolo televisivo, i costumi di Danilo Donati e la fotografia di Tonino Delli Colli ed Enrico Guarnieri, che nel loro afflato sinergico offrono al nostro sguardo un’atmosfera sospesa, indefinita, tra favola e realtà, come già scritto nel corso dell’articolo. Le musiche sono di Nicola Piovani, alla sua prima volta in un film di Fellini. Oltre al commento musicale inedito, il film contiene quattro brani tratti da film interpretati dai veri Ginger Rogers e Fred Astaire, che fanno da sottofondo al numero di ballo della coppia Amalia-Pippo: The Continental (da The Gay Divorcee, Cerco il mio amore, 1934, da Mark Sandrich), Cheek to Cheek e Top Hat, White Tie and Tails (da Top Hat, Cappello a cilindro, 1935, Mark Sandrich), Let’s Face the Music and Dance (da Follow the Fleet, Seguendo la flotta, 1936, Mark Sandrich).
Una nota in chiusura per ricordare l’ottima interpretazione di Franco Fabrizi nei panni del “bravo presentatore”, falso e mellifluo, simulacro di tanti “colleghi” che si sono succeduti in questi ultimi anni, fino a tutt’oggi, sugli schermi televisivi.
Immagine di copertina: Gisella Falcone, foto scattata al Fellini Museum di Rimini






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