Un ricordo di Ray Harryhausen

Ray Harryhausen
Ray Harryhausen

E’ morto ieri, martedì 7 maggio, a Londra, Ray Harryhausen, probabilmente l’ultimo dei grandi artigiani cinematografici, capace di dare vita, con certosina pazienza e dedizione, lavorando per lo più da solo, a tutta una serie di creature che hanno popolato negli anni una quindicina di film fantastici, mitologici o di fantascienza. Harryhausen ha contribuito a far sì che la tecnica della stop-motion acquistasse una valenza sempre più realistica, almeno sino all’avvento dell’effettistica digitale: dinosauri, mostri marini, scheletri (famosissima al riguardo la sequenza del film Jason and the Argonauts, ’63, diretto da Don Chaffey, ripresa nel ’93 da Sam Raimi per Army of Darkness, L’armata delle tenebre), interagivamo con le persone reali, grazie allo sviluppo di una ulteriore tecnica, detta Dynamotion, per cui, semplificando, l’attore girava la scena dinanzi ad un fondale vuoto ed in seguito, grazie ad una serie di sovrapposizioni, veniva inserito ed animato il “mostro” .

King Kong
King Kong

Fortemente influenzato dalla visione di King Kong (’33, regia di E.B. Schoedsak e Merian C. Cooper), Harryhausen, ai tempi un tredicenne intento ad apprendere con viva curiosità le modalità grazie alle quali era stato possibile realizzare la suddetta pellicola, iniziava a costruire dinosauri d’argilla che riprendeva con la propria cinepresa: per una serie di casualità (conobbe la nipote a scuola) riuscì ad incontrare Willis O’ Brien, il creatore degli effetti speciali del film, il quale non solo lo spingerà a studiare anatomia, ma lo vorrà al suo fianco nel ’49, quando Schoedsak diede il via alle riprese de Il re dell’Africa (Mighty Joe Young), che vincerà l’Oscar proprio per gli effetti speciali. Forte dei suoi studi, oltre a quelli consigliati da O’Brien anche arte e scultura, e di precedenti esperienze, prima e durante la seconda guerra, presso la Paramount e l’Army Motion Picture Unit, Harryhausen cominciò allora a muoversi da solo, dando il via, a partire dagli anni’50, alla sua carriera.

un-ricordo-di-ray-harryhausen-L-koKWRoEcco titoli, citandone i più famosi, come Il risveglio del dinosauro (The Beast from 20,000 Fathoms, ’53, diretto da Eugène Lourié, ispirato al racconto The Fog Horn, ’51, di Ray Bradbury), che darà vita a tutta una serie di epigoni, a partire dal Godzilla, Gojira, ’54, di Ishirō Honda, o La Terra contro i dischi volanti (Earth vs. the Flying Saucers, ’56, per la regia di Fred Sears), film in cui gli Ufo, cinematograficamente parlando, divenivano oggetti volanti identificati, o L’isola misteriosa (Mysterious Island, ’61, Cy Endfield, sulla base dell’omonimo romanzo di Jules Verne), sino ad arrivare al 1981, il canto del cigno rappresentato da Scontro di Titani (Clash of the Titans, Desmond Davis), pellicola dal fascino naif e un po’ kitsch, dove fra le varie creature risaltava una splendida civetta robot (Bubo) e in cui la mitologia greca veniva sovvertita grazie ad una certa ironia (ed autoironia), vedi l’invenzione del Kraken, facente parte dei miti nordici.
Dodici anni più tardi, l’Academy gli conferì il Gordon Sawyer Award.

 Bubo
Bubo

Con la tecnica del 3D ormai prossima all’uso anche nei filmini familiari, oggi “i nativi digitali” forse sorrideranno di questi effetti speciali apparentemente elementari: occorrerebbe però, a mio parere, riflettere sulla circostanza di come tutte le mirabilia odierne siano frutto di una lunga evoluzione, trovando origine proprio in quei lontani archetipi, sempre sospesi tra ispirata creatività ed artigianalità. La mia non vuole essere una nostalgica difesa ad oltranza dell’ingenuità degli esordi, per quanto sempre ricca di magnetica forza espressiva, né si tratta di un ossequioso rispetto storico, bensì, più semplicemente, il voler continuare a credere, coltivando l’eterno fanciullino, alla magia di un cinema volto più che a nascondere i suoi trucchi e renderli realistici, a palesarli in modo evidente, in un continuo gioco di affabulazione con gli spettatori.


2 risposte a "Un ricordo di Ray Harryhausen"

    1. Buon pomeriggio, Fulvio. Certamente anche Mario Bava aveva dalla sua una forte dose di creatività e fantasia unite ad un’indubbia professionalità. Ma a mio parere sono due figure ben distinte, per quanto Bava abbia iniziato come creatore di effetti speciali, per poi divenire direttore di fotografia ed infine regista. Ray si specializzò nella tecnica della stop-motion, elevandola a stato dell’arte, almeno secondo me, Bava ebbe felici intuizioni, nell’effettistica (penso a La maschera del demonio, ’60, suo primo film), ma soprattutto a livello di composizione visiva, l’uso della luce per esempio. Riusciva così a sopperire alla penuria di mezzi a disposizione, conferendo alle sue realizzazioni una particolare atmosfera,tesa ed inquietante, divenendo un maestro del genere horror, più considerato all’estero che in Italia, come da tradizione, divenendo punto di riferimento per tanti cineasti americani, in primo luogo.

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