
Come certo saprete, amici lettori, nella notte di Natale un vegliardo corpulento e barbuto a bordo della sua slitta trainata dalle renne provvede a recapitare regali a tutti i bambini del mondo, però fra questi, converrete con me, ve ne sono alcuni più fortunati, quelli italiani, perché, ove siano stati buoni, nella notte dell’Epifania riceveranno altri doni, da parte di un’anziana signora a cavallo di una scopa…Ecco, la storia che sto per raccontarvi risale all’Epifania di tanti anni fa, quando i fanciulli italiani rischiarono di non ricevere alcuna strenna: la Befana giaceva infatti a letto causa un pernicioso raffreddore, tanto che era costretta ad affidarsi al suo collaboratore Scarafoni, il quale si faceva carico nel prendere le ordinazioni conseguenti ai desideri espressi dai tanti pargoletti che assieme ai loro genitori si accalcavano intorno la vetrina del negozio di giocattoli. Peccato però che il suddetto incaricato fosse persona avida e losca, dimentico della gratuità dei regali, chiedendo anzi forti somme, per cui solo ragazzi ricchi, per esempio Alberto e Filippo Maria, potevano permettersene l’acquisto, mentre quelli meno fortunati come Francesco, orfano di padre e venditore di caramelle al cinema per aiutare economicamente la famiglia, restavano a mani vuote…in fondo lui aveva solo chiesto un trenino color azzurro, così simile a quello guidato dal genitore morto sul lavoro…Ma i giocattoli si ribellarono ben presto a tale incresciosa situazione e guidati dal cane di pezza Spicciola ordivano una fuga dal negozio, così da offrirsi in dono a quanti ne avessero un reale desiderio, tale da elargire loro amorevole attenzione e cura…

Tratto da un racconto di Gianni Rodari (la prima edizione risale al 1954, col titolo Il viaggio della Freccia Azzurra), per la regia di Enzo D’Alò, anche sceneggiatore insieme ad Umberto Marino , con i disegni di Paolo Cardoni, La Freccia Azzurra, opera datata 1996, rappresenta ancora oggi un valido esempio di come anche nel nostro paese si possano realizzare film d’animazione di alto livello qualitativo, senza ricorrere, tra l’altro, a patetici tentativi imitativi di quanto prodotto dai (soliti) noti colossi del settore, bensì percorrendo una strada del tutto personale, idonea a coniugare modernità e tradizionale creatività artigianale, abbandonando ogni titubanza nel mettere in scena una fiaba concretamente ad altezza di bambino, che possa comunque coinvolgere anche gli adulti rinunciando a studiati ammiccamenti. Entrambi infatti possono restare ammaliati tanto dalla piacevolezza di un disegno i cui tratti rotondeggianti ed i colori “pastellosi” sembrano richiamare la grana delle pagine di un buon vecchio libro di fiabe illustrato, quanto da una scorrevolezza narrativa invidiabile, suffragata anche dalla pregevole, incisiva, colonna sonora di Paolo Conte.
L’iter narrativo dispiega tenuamente, senza alcun stridore, un’opportuna morale, ancora del tutto valida, verrebbe voglia di aggiungervi purtroppo, sulla reale portata di una festività e di cosa possa significare realmente ricevere un regalo, anche al di là di quanto desiderato ma del tutto corrispondente ai nostri più intimi desideri, distante da qualsivoglia materialità: è quanto testimoniato dalla magia che andrà ad interessare il cane di pezza Spicciola o, ancora prima, quella riservata al giocattolo raffigurante un mago, cattivo solo perché finora nessuno ha pensato di dotarlo di un cuore…

Ricco di colpi di scena, visivamente e “classicamente” fantasioso ma al contempo piuttosto realistico (l’ispirazione per il paese raffigurato è data dalla cittadina di Orbetello, vestiti ed altri particolari richiamano un periodo compreso fra gli anni ’30 e ’50), La Freccia Azzurra, che vede tra i doppiatori Lella Costa (la Befana) e Dario Fo (Scarafoni), credo possa a tutt’oggi rappresentare la classica quadratura del cerchio, ovvero un film dalla realizzazione certosina, come testimoniano i quattro anni di lavoro ed i diversi studi europei coinvolti, che, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, riesce a parlare ai bambini in quanto tali, rispettandone e stimolandone la propensione immaginifica ma rendendoli al contempo edotti riguardo le brutture del mondo e di come farvi fronte, mentre a noi adulti consente di riprendere contatto con la parte più intima della nostra anima, là dove alberga quel fanciullino di pascoliana memoria, il quale sta sempre lì ad attenderci, per invitarci a riscoprire sensazioni forse dimenticate, un particolare miscuglio d’ingenuità ed innocenza che troppe volte ha lasciato il campo a frenesia e disillusione nell’affrontare il logorio dell’ordinaria ritualità quotidiana.

