Credo vi siano film che meritino un minimo di considerazione, anche critica, non tanto, o non solo, a seconda dei casi, per quanto tendono ad esprimere e raccontare attraverso la messa in scena, ma soprattutto per come riescano ad evidenziare determinate derive, della nostra cinematografia nel caso specifico, verso una leggerezza fin troppo sconfinante nella vacuità ed accondiscendente, con modalità oltremodo ruffiane e smaccatamente commerciali in guisa di product placement, nei confronti di quella sociologia da tinello espressa da vari talk show, pomeridiani e non, palesando toni di una grazia concessa dalla Madonna del Divino Amore o di verità conclamata, esternata da qualsivoglia divinità. E’ il caso del recente Genitori vs influencer, disponibile su Sky Cinema e in streaming su Now Tv da domani, domenica 4 aprile, che vede alla regia Michela Andreozzi (Nove lune e mezza, 2017; Brave ragazze, 2019), anche autrice della sceneggiatura insieme a Fabio Bonifacci, la cui narrazione verte sul rapporto fra Paolo (Fabio Volo), professore di Filosofia, e la figlia adolescente Simone (Ginevra Francesconi), che ha cresciuto da solo dopo l’improvvisa morte della moglie, destinato ad incrinarsi quando la ragazza per il tramite dell’inseparabile smartphone andrà a crearsi una sorta di universo parallelo al cui interno l’emozionalità esistenziale va avanti a colpi di like e numero di follower, fino a paventare al genitore l’intenzione di voler divenire una influencer, al pari del suo idolo Ele-O-Nora (Giulia De Lellis). Dallo scontro iniziale fra chi vede nei social null’altro che “fuffa mischiata col niente” e chi invece sempre più inedite possibilità ad un auspicabile punto d’incontro finale il passo non sarà breve, anche perché, come si suole dire, “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”…
Per la prima mezz’ora circa Genitori vs influencer sembra funzionare discretamente, interessante la presentazione dei protagonisti e la visualizzazione del rapporto padre/figlia, con un’ intuizione registica non banale nel preannunciare i cambiamenti che stanno per verificarsi (l’inquadratura veloce verso lo specchio retrovisivo interno dell’autovettura, dove Paolo vede riflessa Simone bambina seduta sul divano posteriore, mentre a fianco a parlare è Simone ormai cresciuta), per poi perdersi nella faciloneria propria di certa commedia italica, dove i personaggi appaiono costruiti a tavolino, più che altro pedine da usare a piacimento per assecondare, senza riuscire a creare un valido amalgama, ora toni emozionali, ora una vaga analisi sociologica (il dirigente scolastico interpretato da Massimiliano Bruno, maître à penser “de’ noantri”), ora infine risate estemporanee (il contorno dei “giullari di corte”, i condomini “zii” di Simone, interpretati da Paola Tiziana Cruciani, Nino Frassica, Paola Minaccioni, Massimiliano Vado), senza mai creare un valido e concreto amalgama. La regia, poi, si fa sempre più anodina, nonché compiacente, nell’offrire visualizzazione a comportamenti e contraddizioni tanto del mondo degli adulti quanto di quello degli adolescenti, non centrando del tutto il bersaglio nel rendere l’idea di un inedito viaggio formativo all’interno dell’atavico conflitto generazionale aggiornato alle tematiche “social”, il brusco avvicendamento fra reale e virtuale, dove il tema dominante sarà sempre l’incomprensione reciproca, pur se il rapporto genitori-figli non verrà mai a troncarsi del tutto, sorretto da una linea di sangue che ne garantirà il riavvicinamento, qualsiasi cosa accada. Complessivamente gradevole per una serata, televisiva, in famiglia e più non dimandare.