Come reso noto dai familiari sul suo profilo Twitter, lo scorso mercoledì, 6 luglio, è morto a Los Angeles l’attore James Caan (James Edmund Caan, New York, 1940), indimenticabile fisionomia da “duro”, fisico ben piazzato, volto ruvido e granitico, con uno sguardo spesso incline a rivelare come dietro l’irruenza rabbiosa di alcuni dei personaggi interpretati vi fosse una certa instabilità esistenziale, al pari di una malcelata vulnerabilità di fondo, entrambe proprie di chi ha ormai compreso come il mondo vada in tutt’altra direzione rispetto al codice comportamentale cui ci si è conformati negli anni. Una volta abbandonati gli studi universitari, Caan si iscrisse alla scuola di recitazione Neighborhood Playhouse di New York per poi farsi le ossa sui palcoscenici di Broadway e prendendo parte a qualche serie televisiva, fino ad esordire sul grande schermo, anche se non accreditato, nel 1963, con Irma la dolce (Irma la douce, Billy Wilder), cui seguirono ruoli più di rilievo in Un giorno di terrore (Lady in a Cage, Walter Grauman, 1964), Linea rossa 7000 (Red Line 7000, 1965, Howard Hawks), El Dorado (1966, ancora Hawks) e in Non torno a casa stasera (The Rain People, 1969), dove interpretava Jimmy Killer Kilgannon, asso del rugby male in arnese causa un incidente di gioco che gli aveva recato importanti danni cerebrali, diretto da Francis Ford Coppola, che nel 1971 lo chiamò ad interpretare Santino Sonny Corleone, irascibile figlio di Don Vito (Marlon Brando), ne Il padrino (The Godfather), adattamento dell’omonimo romanzo di Mario Puzo, il quale collaborò con Coppola alla stesura della sceneggiatura. L’interpretazione, vivida e realistica, valse a Caan la nomination all’Oscar come Miglior Attore non Protagonista ma andò anche a comportare il rischio che d’ora in poi potesse trovarsi imprigionato nel ruolo di “cattivo”, evitato però grazie alla duttilità attoriale profusa dal nostro.
Caan infatti si prodigò, riprendendo quanto scritto ad inizio articolo, nell’accostare alla ruvidità caratteriale dei personaggi inedite sfumature, pregne di malinconica disillusione nel confrontare la fermezza dei propri ideali con le variabili direzioni prese da chi gli sta accanto. Ecco allora titoli quali Rollerball (Norman Jewison, 1975), The Killer Elite (Sam Peckinpah, 1975), Strade violente (Thief, Michael Mann, 1981, basato sul romanzo di Frank Hohimer The Home Invaders), “pescando” tra i titoli di una vasta filmografia che videro Caan, fra l’altro, alternando interpretazioni degne di nota ad altre più corrive, protagonista con Geneviève Bujold nel film di Claude Lelouch Un altro uomo, un’altra donna (Un autre homme, une autre chance, 1977) ed esordire dietro la macchina da presa (Li troverò ad ogni costo, Hide in Plain Sight, 1980). Dopo una serie di problematiche personali che all’inizio degli anni ’80 lo allontanarono dai set per circa cinque anni, Caan ritrovò la vena originaria in Giardini di pietra (Gardens of Stone, Francis Ford Coppola, 1987, tratto dall’omonimo romanzo di Nicholas Proffitt) e soprattutto in Misery non deve morire (Misery, Rob Reiner, 1990, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King), che gli valse la candidatura all’Oscar come Miglior Attore Protagonista, per poi declinarsi fino ai giorni nostri nel ruolo di caratterista all’interno di varie pellicole, per lo più d’azione, rispolverando il ghigno degli esordi solitamente in parti da villain ma non solo, regalandoci comunque ancora piacevoli sorprese nei panni del detective privato Philip Marlowe (Poodle Springs, 1998, film per la televisione diretto da Rob Rafelson) e, sfoggiando un’invidiabile autoironia, in quelli del gangster Frank Vitale (Mickey Blue Eyes, Kelly Makin, 1999), felice parodia del suo ruolo più iconico.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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