Lo schiaccianoci e il flauto magico

Vigilia di Natale, interno di una lussuosa magione. Marie, 17 anni, dopo essersi esibita per gli ospiti in un balletto sulle note di Pëtr Il’ič Čajkovskij, nell’udire una discussione tra la madre e il laido usuraio Mr. Ratter, apprende come quest’ultimo avesse elargito al defunto padre il prestito di una ingente somma di danaro, della quale pretende ora la restituzione, entro ventiquattr’ore, altrimenti si rifarà sulla loro abitazione, che diverrebbe quindi di sua proprietà. Vi sarebbe comunque un rimedio per evitare di essere scacciate di casa, ovvero che Marie accettasse di sposare Ratter, il quale, nel congedarsi ghignante, le fa dono di uno schiaccianoci in forma di soldatino, sorta di triste pegno per suggellare l’addio alla spensieratezza giovanile, invocata dalla fanciulla una volta ritiratasi nella sua stanza, esprimendo il desiderio di ritornare piccina, al tempo dei giochi, “quando la vita era più facile”. Si sa, o si dovrebbe sapere, che nella notte del 24 dicembre ogni desiderio trova esaudimento e così, dopo che un raggio di luce ha attraversato la finestra, Marie si ritroverà ridotta alla dimensione dei suoi giocattoli, i quali prenderanno vita insieme al soldatino schiaccianoci, che però si rivelerà essere un principe, di nome George, trasformato in pupazzetto dalla perfida matrigna Rodenthia, regina del popolo dei ratti, intenzionata a porre sul trono del regno della Terra dei Fiori il figlio Philipp, provvedendo ad inebetire il re Edoardo con una apposita pozione nell’attesa di rinvenire il flauto magico che darebbe ai topi definitiva forma umana. Sarà l’inizio di una trepidante avventura, che vedrà Marie, George e gli ex balocchi Ricciolo, un ariete sbruffone, e Becco Rosso, un pavido struzzo, uniti alla ricerca del magico strumento, così da riconquistare il reame e porre fine al dominio dei roditori…

Marie e George

Film d’animazione diretto dall’esordiente Vikor Glukhusin su sceneggiatura di Vasily Rovensky, Lo schiaccianoci e il flauto magico trae ispirazione dal noto racconto di Alexandre Dumas, padre, Storia di uno schiaccianoci (Histoire d’un casse-noisette, 1845), che riprendeva, mitigandoli, gli elementi narrativi della storia originaria scritta da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (Schiaccianoci e il re dei topi , Nussknacker und Mausekönig, 1815). L’opera dello scrittore e drammaturgo francese stimolò poi la creatività del coreografo Marius Petipa nell’allestire l’altrettanto famoso balletto Lo schiaccianoci, coreografato dal suo assistente Lev Ivanovič Ivanov e musicato da Pëtr Il’ič Čajkovskij, le cui sinfonie attraversano piacevolmente lo scorrere narrativo di questa produzione russa-ungherese, insieme ad una serie di canzoni in verità non particolarmente avvincenti né memorabili, sia nella resa del testo che della musicalità, almeno nella versione italiana, con Charlotte M. , giovane cantante e content creator attiva su YouTube e Tik Tok a dare la voce alla protagonista Marie, debuttando così come doppiatrice. Siamo di fronte ad una realizzazione complessivamente gradevole e godibile, rivolta precipuamente ai bambini ma comunque apprezzabile anche dagli adulti non accompagnati da minore, ergo “volontari alla visione”, che in più di una sequenza (una su tutte l’apparizione spettrale degli avi di George, prodighi alla celia come alla collaborazione, ma anche quella che vede protagonista una pergamena parlante, incline alla favella in rima baciata) potranno avvertire il risveglio del fanciullino di pascoliana memoria nel riscoprire l’incanto generato da una sana fantasia e farsi cullare quindi da quest’ultima.

L’ariete Riccio, George e Marie

L’adulto, pur ammorbidito nel suo ritorno alla malia propria dell’infanzia, non può comunque fare a meno di notare come la resa dei personaggi in CGI non sia poi così particolarmente esaltante, oltre ad essere debitrice negli stilemi complessivi alle recenti produzioni Disney/Pixar, con ulteriori richiami nelle loro caratterizzazioni, cui può aggiungersi più di un’ispirazione ai classici d’antan degli studi di Burbank (vedi, fra l’altro la lotta del simpatico struzzo Becco Rosso con lo chef di corte per non essere trasformato in pietanza) e un coinvolgimento che verso il finale tende a divenire, almeno riporto la mia primaria sensazione, meccanicamente spettacolare. Nel complesso però, mettendo da parte le inevitabili considerazioni da addetto ai lavori, Lo schiaccianoci e il flauto magico riesce nell’intento di dare adito ad un racconto di formazione assecondando toni avventurosi, gag da commedia e numeri da musical, fino ad assumere la consistenza propria di una moderna fiaba con tanto di valida morale conclusiva, dove il tradizionale “e vissero felici e contenti” verrà garantito non tanto dall’ormai abusato intervento salvifico dell’eroico “principe che scala la torre”, d’altronde refrain non ricorrente da tempo, bensì dalla fruttuosa cooperazione di un gruppo amicale, con i singoli componenti ormai consapevoli della propria essenza e della propria necessarietà esistenziale, inclini a temprare il proprio carattere adattandolo agli accadimenti in corso d’opera, preservando sempre e comunque una portante individualità, riuscendo quindi a far fronte alle varie avversità ritrovando, o scoprendo, quel coraggio necessario a vincere i timori inerenti all’affacciarsi concretamente alla vita, fino a rinvenire la reciprocità dell’affetto, o dell’amore, quale opportuna linea guida per una rinnovato tragitto esistenziale.


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