Nel prendere parte, insieme all’amica Rossella Scherl, scrittrice, agli eventi organizzati per la Giornata della Memoria dall’Assessorato alla Cultura, nella persona di Bruna Falcone, del Comune di Roccella Jonica (RC), si è concordato di prendere le distanze dalla consueta “celebrazione commemorativa”, senza per questo dimenticare i 15 milioni di vittime dell’Olocausto (cifra emersa dallo studio dell’Holocaust Memorial Museum di Washington), novero nel quale si includono i sei milioni appartenenti al popolo ebraico, il cui genocidio viene definito Shoah (tempesta devastante, dalla Bibbia, per es. Isaia 47, 11), e tutti coloro che subirono discriminazioni e sofferenze solo in quanto Rom, Sinti, omosessuali, disabili, Testimoni di Geova, o semplicemente per esternare idee politiche diverse da quelle di chi era al potere. Attraverso la proposizione in proiezione del film Le nuotatrici (Sally El Hosaini, 2022), basato sulla storia vera di due sorelle siriane, promesse del nuoto, che fuggono dalla guerra scoppiata in seguito alla rivoluzione del 2011, si è voluto infatti far notare come sia necessario creare un collegamento fra gli orrori di ieri e quelli di oggi, rammentare l’esistenza di tante piccole discriminazioni verso chi ci sembra diverso da noi, delle quali spesso noi stessi ne siamo autori, senza rendercene conto, dimenticando di vedere nel prossimo, “l’ altro da sé”, la valorizzazione di una diversità fondante, quella che ci accomuna tutti in forza di una individualità da preservare e condividere, nel nome di una concreta umanità.
Al ricordo dello sfondamento, 27 gennaio 1945, dei cancelli di Auschwitz, in Polonia, da parte dei carri armati dell’esercito sovietico, deve quindi corrispondere una nostra apertura, ovvero restare vigili, al di là delle mere esternazioni sui social a colpi di emoticon, perché venga preservata la primaria dignità espressa da ogni essere umano in quanto tale, “Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia” ammoniva Primo Levi (L’ asimmetria e la vita. Articoli e saggi 1955-1987, Einaudi, postumo, 2002), continuando a credere “nell’intima bontà dell’uomo” (Il diario di Anna Frank, Het Achterhuis, 1947), sia alla luce di un’umana condivisione rivolta alle vittime, sia facendo leva su una ritrovata forza di lottare, perché certe infamie non si ripetano in futuro. Al riguardo, però, opinione personale, certi avvenimenti recenti mi fanno purtroppo propendere verso il pessimismo: mi sovviene in mente una scena del film Deconstructing Harry (Harry a pezzi, Woody Allen, 1997), quando il protagonista (Allen), alla domanda se gli importi dell’Olocausto o se pensi che non sia mai successo, risponde: “Non solo so che abbiamo perso 6 milioni di ebrei, ma quello che mi preoccupa è che i record sono fatti per essere battuti”. Alla luce di queste personali considerazioni, “fare memoria” allora dovrà necessariamente significare esercitare la precipua missione di mantenersi umani, così da abbattere le sempre più spesse barriere dei calcolati oblii, costruite mattone su mattone da pressanti negazionismi e revisionismi, cementando il tutto con la sempre viva tentazione di sentirsi più uguali degli altri, non potendo colmare in altro modo la propria mediocrità per non riuscire a percepire nell’altro, nel “diverso”, una proiezione di sé, riprendendo quanto già detto.
Allo stesso modo “ricordare”, ovvero “serbare nel cuore”, ritenuto anticamente l’organo propenso a preservare le rimembranze, ogni giorno che ci troviamo a vivere, quello sterminio divenuto tra i casi più estremi di genocidio fra i tanti perpetrati dalla mente umana, nell’idea di annientare un intero popolo, sino all’ultima persona, senza eccezione alcuna, non diverrà allora un mero esercizio mnemonico, bensì una accorata compenetrazione rivolta alle vittime dei tanti, troppi, crimini perpetrati dall’uomo contro se stesso, passati e, purtroppo, tuttora presenti, incombenti verso un futuro dove l’umanità tutta appare smarrita fra i meandri di un individualismo materiale ed ideologico. Quest’ultimo è stato scolpito negli anni sulla pietra di un progresso puramente materiale, lontano da una concreta evoluzione, citando Pasolini, con la quotidianità incorniciata da uno schermo di varie misure, al cui interno la “giostra umana” si agita esternando quelle che si ritengono verità assolute, spesso rigurgitanti odio o rancore, ritenendo la rete una sorta di porto franco e la realtà una pratica solipsistica.
Solo in forza di questa descritta immedesimazione potremmo quindi abbracciare, contornando il simbolismo di un senso concreto e compiuto, un gesto che è proprio della tradizione e cultura ebraica: al pari di un ebreo che nel rendere visita ad un defunto deposita sulla tomba una pietra, a testimonianza del proprio passaggio, rappresentando così legame e memoria, anche noi potremmo lasciare il nostro attestato di un fermo “mai più”. “Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere” (José Saramago).
(Rielaborazione degli appunti ordinati in scaletta per il mio intervento nell’ambito dell’evento Dal presente alla memoria, giovedì 26 gennaio 2023, curato insieme alla scrittrice Rossella Scherl ed inserito nella programmazione de La settimana della Memoria organizzata dal Comune di Roccella Jonica)