Tel Aviv, giorni nostri, notte. Tanti i giovani che affollano i locali e le strade, tra musica e danze. Il fervente dinamismo è uno dei numerosi segnali di una concreta propensione occidentale, al pari della ripresa mattutina delle consuete attività, la pulizia delle strade, il brulicare della gente, in auto o a piedi, per le arterie cittadine, dove svettano imponenti i grattacieli, a testimoniare progresso e avanguardia. Tutto appare composto e al contempo avviato ad una continua trasformazione, spiega il sindaco Ron Hulday, al suo quinto mandato, nel rimarcare poi il primato della più alta concentrazione di startup sul territorio ed esaltando al contempo la dominanza di valori improntati alla tolleranza, alla libertà e al rispetto dei diritti umani, “una città che accoglie tutti ed è aperta al mondo”. Restano ancora da sciogliere i nodi relativi al trasporto pubblico (sono aperti i cantieri per la prima linea metropolitana) e soprattutto al caro vita, considerando, precipuo esempio, come per i giovani sia difficile paventare la possibilità di acquistare un appartamento. Uomini d’affari, architetti, artisti, intellettuali, nelle loro dichiarazioni concordano la totale proiezione verso il futuro di Tel Aviv, anche se una concreta vitalità la si può riscontrare soprattutto nella zona a Sud, mentre quella a Nord ormai “è soffocata dal danaro”. Ne viene ricordata la fondazione, nel 1909 a Nord Est di Giaffa, per soddisfare l’esigenza dei sionisti di avere un quartiere indipendente dall’antica città araba e il successivo sviluppo in seguito alle immigrazioni ebraiche in Palestina dopo la Prima guerra mondiale e soprattutto una volta iniziato il II Conflitto, sulla scia delle persecuzioni naziste, fino ad arrivare a conglomerare il nucleo urbano primitivo. Infatti, dopo la guerra del 1948 e la fuga degli Arabi da Giaffa si ebbe la fusione delle due città, mentre dal 1948 al 1951 Tel Aviv ospitò il governo e il parlamento israeliani, ed è a tutt’oggi sede della maggior parte delle rappresentanze diplomatiche.
La città vive alimentandosi delle sue contraddizioni: così come ai piedi dei moderni grattacieli o subito dietro convivono le strutture degli originari quartieri che si sono sviluppati negli anni seguendo un coerente piano urbanistico, inteso a conciliare il clima locale con le esigenze di persone proveniente da altri paesi ed ispirato nella costruzione degli edifici soprattutto allo stile Bauhaus, pur nell’influenza di altre architetture, egualmente passato, presente e futuro appaiono come entità destinate a rincorrersi fra loro. Se l’ultima appare per la città della primavera quale “l’unica opzione”, le prime due continuano ad preservare i propri fantasmi, situazioni sempre in procinto di deflagrare per via delle forti diseguaglianze ancora avvertibili fra palestinesi ed israeliani, ebrei e non ebrei, per quanto, oramai, sono le parole del regista israeliano Ari Folman, il sogno dei palestinesi non è più quello di abbattere il muro, ma inviare i propri figli in Europa, assicurando loro inedite aspettative di vita. Quanto descritto finora costituisce il filo narrativo che emerge dal documentario Good Morning Tel Aviv, scritto e diretto da Giovanna Gagliardo e presentato alla 17ma Festa del Cinema di Roma: l’autrice dà vita, avvalendosi del valido apporto di fotografia (Roberta Allegrini) e montaggio (Emanuelle Cedrangolo), ad un racconto per immagini, al cui interno vanno ad intersecarsi testimonianze di varie personalità e filmati di repertorio. La narrazione si snoda quindi in un arco di 24 ore, illustrando il dispiegarsi esistenziale all’interno della “città che non dorme mai”, capitale del Gay Pride ma anche dell’alta finanza, sempre a cavallo fra innovazione scientifica e culto della tradizione, memoria del passato e l’ambizione di aprirsi ogni giorno al cambiamento, mettendo in atto una continua scommessa con l’avvenire.
Per quanto la voce fuori campo a volte possa risultare ridondante o comunque superflua e i toni possano apparire inizialmente un po’ troppo celebrativi, andando a toccare solo a narrazione inoltrata, in particolare verso il finale, punti nevralgici quali i tuttora presenti dissidi fra differenti popolazioni, nella mancanza, forse ricercata, di un concreto dialogo politico, pregio essenziale del documentario, al di là dell’afflato visivo, è certo quello di porre in essere, optando per la strada della semplice visualizzazione, un interrogativo quanto mai attuale, rispondendo al quale probabilmente buona parte dei citati dissidi potrebbero se non trovare una soluzione definitiva essere quanto meno oggetto di proficua discussione e valutazione. Il crogiolo posto in essere all’interno di Tel Aviv, fra cosmopolitismo, alta creatività, rivendicazione dei diritti della persona, diversità quale collante umano e non discriminante, progresso scientifico e spregiudicatezza finanziaria, fino a creare una sorta di “isola felice” nel Medio Oriente, un microcosmo rappresentativo di inclusività ed avanguardia morale e materiale, può costituire un opportuno e concreto traino per il resto del paese, oppure è destinato a restare semplicemente quale idealizzazione, riprendendo quanto testé scritto, di un mondo a parte, ennesima “rosa non colta”, considerando poi come coltivare tal fiore nel deserto non sia impresa da poco?
Good Morning Tel Aviv non intende fornire la soluzione, ma solo evidenziare, riporto la mia primaria sensazione, la speranza di una rinascita, il saluto a un nuovo giorno, come da titolo, anche se, probabilmente, la città, a quanto risulta da alcune esternazioni, manterrà intatta la sua essenza di laboratorio permanente, sempre tesa ad abbracciare evoluzione e trasformazione, convivendo con le sue contraddittorietà, che la rendono unica ed affascinante. Probabile che l’incendio sotterraneo costituito da divisione e alienazione aumenti sempre di più, fino ad arrivare ad un implosione, forse ad una catastrofe, ma per coloro che sopravviveranno potrà essere l’occasione di accostarsi ad un’idea inedita di progresso, incline a conciliare tecnologia ed umanità, senza che l’una vada a discapito dell’altra.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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