Ricordando Stella Stevens: Le folli notti del Dottor Jerryl (The Nutty Professor, 1963)

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Stella Stevens (The Movie Data Base)

Per ricordare l’attrice Stella Stevens (Estelle Caro Eggleston, Yazoo City, 1938), che ci ha lasciati lo scorso 17 febbraio, pubblico la recensione del film Le folli notti del Dottor Jerryl (The Nutty Professor, 1963), già ospitata sul numero 112-Gennaio 2023 di Diari di Cineclub, pellicola diretta da Jerry Lewis, anche attore protagonista, nei doppi panni del professore Julius F. Kelp e dell’aitante Buddy Love, personalità in conflitto fra di loro pure nei sentimenti provati dalla giovane studentessa Stella Purdy, interpretata appunto dalla Stevens. Un ruolo che mette in evidenza, al di là dell’indubbia bellezza, la sua capacità di assecondare toni ironici e riflessivi, esternati dall’autore nel visualizzare un’acuta disamina del dualismo essere-apparire, nella cornice di una colorata ed esilarante parodia del romanzo Strange Case of Dr. Jekyill e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson (1886), ispirandosi alla trasposizione offerta nel 1941 da Victor Fleming con protagonista Spencer Tracy. Esordiente al cinema nel 1959, una piccola parte in Dinne una per me (Say One for Me, Frank Tashlin), che comunque le fece conseguire il Golden Globe come attrice rivelazione dell’anno, cui seguì Il villaggio più pazzo del mondo (Li’l Abner, Melvin Frank, tratto dall’omonimo musical del 1956, a sua volta ispirato al fumetto opera di Al Capp), Stella Stevens andò gradualmente ad interpretare ruoli maggiormente definiti, non scevri da una certa autoironia.

(Rotten Tomatoes)

Ecco, per esempio, la Dollie Daly del delizioso The Courtship of Eddie’s Father (Una fidanzata per papà, Vincente Minnelli, 1963, tratto da un romanzo di Mark Toby, 1961) con Glenn Ford e un Ron Howard ancora bimbetto (l’Eddie del titolo originale), passando con disinvoltura dalla commedia, con titoli, oltre quelli citati, quali Cinque ragazze e un marinaio (Girls! Girls! Girls!, 1962, Norman Taurog, con Elvis Presley) o Come salvare un matrimonio e rovinare la propria vita (How to Save a Marriage and Ruin Your Life, Fielder Cook, 1968), al genere drammatico (Blues di mezzanotte, Too Late Blues, 1961, John Cassavetes; 48 ore per non morire, Rage, Gilberto Gazcón, 1966), affrontando anche il thriller poliziesco (Con le spalle al muro, Sol Madrid, Brian G. Hutton, 1968) e il western, citando al riguardo l’intensa interpretazione offerta impersonando Hildy ne La ballata di Cable Hogue (The Ballad of Cable Hogue, Sam Peckinpah, 1970), mentre sul finire degli anni ’70 Stella preferì dedicarsi al piccolo schermo, dopo aver offerto altre notevoli prove recitative, ormai definitivamente lontane dagli stereotipi cavalcati fruttuosamente agli esordi (ad esempio in Vecchia America, Nickelodeon, Peter Bogdanovich, 1976).  

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(Wikipedia)

Stati Uniti d’America, anni ’60, interno di un’aula universitaria. Il professore Julius F. Kelp (Jerry Lewis) sta svolgendo la quotidiana lezione di chimica, con tanto di dimostrazione pratica, adoperandosi nel mescolare fra loro vari elementi, fino a provocare una sonora esplosione, che richiederà l’intervento dei pompieri e comporterà la sua immediata convocazione nell’ufficio del rettore Warfield (Del Moore), il quale lo invita a “lasciare le sue eccentricità nell’armadietto la mattina e sentirsi libero di portarsele a casa la sera”. Mite di carattere, non propriamente attraente, goffo e imbranato, Kelp viene brutalmente soggiogato da uno studente cui ha rifiutato il permesso di saltare la lezione per recarsi all’allenamento di football, che lo incastrerà all’interno di uno scaffale. Una incresciosa situazione dalla quale verrà fuori grazie all’aiuto dell’allieva Stella Purdy (Stella Stevens), che gli fornirà l’ispirazione per iscriversi ad una palestra, così da rinforzare il fisico ed eventualmente difendersi dai soprusi. Ma dopo sei mesi di esercizio il risultato sarà soltanto la diminuzione di un chilo del peso corporeo, per cui asseconderà l’intuizione di occuparsi della forza fisica dal punto di vista chimico, studiando a lungo la possibilità d’inventare una formula adatta allo scopo e, una volta miscelati e stabilizzati tutti i componenti, sperimentarne gli effetti sulla propria persona.

Jerry Lewis (Google Play)

L’occasione gli verrà data dalla festa di metà semestre che si terrà al Purple Pit, noto ritrovo studentesco il cui accesso è negato ai membri della facoltà: il nostro ha ormai assunto le inedite fattezze di un uomo belloccio, oltremodo sicuro di sé (“stamattina guardandomi allo specchio mi piaceva tanto quello che vedevo da non riuscire ad allontanarmi”) e fortemente egocentrico, dai modi non certo raffinati, ma in grado di imporre il suo carisma su chiunque, tanto da affascinare subitamente Stella, alla quale si presenterà come Buddy Love, per quanto la ragazza andrà presto a nutrire un’alternanza tra attrazione e repulsione. Le due personalità, però, entreranno presto in conflitto tra loro e sarà una sola a prevalere, rivelandosi definitivamente nel corso del ballo di fine anno… Jerry Lewis (1926-2017) è stato un attore dalla comicità istintiva, congiunta mirabilmente ad una mimica, facciale in particolar modo, a dir poco  eccezionale, che traeva ulteriore forza da una notevole capacità di analisi dei meccanismi della risata, comportante una esemplare precisione nella loro resa all’interno della messa in scena. Nello specifico Lewis rivelò una certa sagacia nel congiungere i toni propri dello slapstick, resi esteriormente da un fisico camaleontico, le cui movenze andavano ad integrarsi con lo spazio e gli oggetti, all’umorismo della tradizione yiddish, sottile e pungente, offrendo in definitiva una sorta di unicum che ridava al cinema una certa essenzialità primordiale, dove meraviglia e divertimento trovavano un’opportuna e personalizzata dimensione.

(Pinterest)

La descritta vis comica, innata e al contempo attentamente studiata,  trovava poi nei film da lui diretti inedita valenza autoriale, dove la realtà veniva trasmutata  da un incedere incessante di gag che nel loro dinamismo lasciavano però spazio a più di una nota drammatica o comunque profondamente malinconica. Alla sua quarta regia (l’esordio dietro la macchina da presa avvenne nel 1960, The Bellboy), con The Nutty Professor, sceneggiato insieme a Bill Richmond, Lewis allestisce una colorata ed esilarante parodia del romanzo Strange Case of Dr. Jekyill e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson (1886), ispirandosi alla trasposizione offerta nel 1941 da Victor Fleming con protagonista Spencer Tracy, ponendo gradualmente in essere un’acuta riflessione sul dualismo essere-apparire, rimarcando la circostanza di come sia “il sonno della società a generare mostri”, confinando ai margini una persona “diversa”, la cui sensibilità viene volutamente posta in second’ordine, lasciandosi sopraffare dalla scomposta fisicità ed accogliendo invece, pur sconvolti dal modo di porsi ben poco ortodosso, chi si presenta ostentando fascino e sicumera caratteriale: esemplare al riguardo la sequenza, resa in soggettiva, dell’esordio di Buddy Love, come credo già notato da molti, quando, per strada e all’interno del locale notturno, la gente resterà ammaliata al suo passaggio.

Lewis e Stella Stevens (IMDb)

D’altra parte la stessa Stella, che nel finale sembrerebbe ormai definitivamente attratta dall’occhialuto professore, tanto da essere prossima al matrimonio, ha acquistato dal papà di lui due bottigliette del Tonico Kelp, avviato ad una produzione su larga scala visto che Julius aveva inviato al genitore la formula per tenerla al sicuro e lui ne aveva approfittato prima per rifarsi delle angherie subite negli anni dalla moglie virago e poi per condividerne i vantaggi, guadagnandoci, con quanti intendessero “essere qualcuno” o “essere chiunque”. Infatti ecco apparire la scritta in stile Looney Tunes opportunamente corretta, That’s not all folks!, con il classico The End sostituito da un The Beginning che lascia presagire una nuova, probabilmente infinita, tenzone fra Kelp e Buddy. Costruito con meticolosità nel succedersi delle tante gag, spesso votate al surreale, sia da un punto di vista visivo (ad esempio l’imponenza, metaforica, dello scranno e della scrivania del rettore) che sonoro (il cipollone di Kelp, alla cui apertura parte l’inno dei Marines, lo scricchiolo dei passi che sembra dovuto alle scarpe, ma prosegue una volta che il professore provvederà a levarsele, i rumori ingigantiti dal dopo sbornia, resi in soggettiva, l’avvicendarsi delle due differenti tonalità di voce nel corso delle esecuzioni canore di Buddy), The Nutty Professor, oggetto di un remake “così eguale così diverso” nel 1996, diretto da Tom Shadyac con protagonista Eddie Murphy (ebbe anche un seguito, Nutty Professor II: The Klumps, 2000, Peter Segal), rappresenta certamente un felice compendio del repertorio comico di Lewis.

Trova infatti risalto al riguardo il tema del personaggio che da soggetto viene sopraffatto dagli oggetti fino ad essere a questi ultimi assimilato, arrivando infine al suo definitivo “annientamento”, ulteriormente evidenziato dallo sberleffo finale, il protagonista che inciampa e cade sulla macchina da presa, infrangendola e rivelando la finzione della messa in scena, trovandomi d’accordo con quanto fa notare Fernaldo Di Giammatteo in Dizionario del cinema americano (Editori Riuniti, 1996). La sua visione, poi, andando a concludere, potrebbe finalmente offrire il giusto e dovuto risalto all’innovativa comicità di Lewis, non sempre del tutto apprezzata in patria, sottovalutando al riguardo come nei suoi tratti scomposti e quasi schizofrenici sia riuscita a conferire alle varie narrazioni filmiche il senso profondo  di un suggestivo stratagemma, in odor di sopravvivenza, così da attribuire un qualche significato all’umana esistenza, sottolineando in chiave satirica la nostra condizione psicologica e sociale una volta fatti i conti con l’inevitabile realtà che ci sovrasta.


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