Donald Sutherland (Adkronos)

Addio a Donald Sutherland, immenso attore cinematografico e uomo di grande cultura, che ci ha lasciato lo scorso giovedì, 20 giugno (Donald McNichol Sutherland, Saint John, Canada, 1935), indimenticabile per la sua carismatica presenza scenica, la cui naturalità, suffragata dal fisico segaligno e da uno sguardo che non si dimentica, ora esprimente una solare ironia, ora un inquietante senso di malvagità, venne affinata nel calcare i teatri londinesi una volta trasferitosi dal Canada in Inghilterra per studiare recitazione alla London Academy of Music and Dramatic Art, sul finire degli anni ’50. Le numerose recite sul palcoscenico gli consentirono infatti di dar vita ad un registro spesso cangiante nell’ambito dei tanti ruoli che andò poi ad affrontare sul grande schermo, una duttilità interpretativa che lo vide spaziare dal brillante al drammatico, disegnando svariati personaggi, contraddistinti talora anche da un certo cinismo, latente o manifesto.

(IMDb)

Dopo una breve apparizione  nel film Le donne del mondo di notte (The World Ten Times Over, Wolf Rilla, 1963), il vero e proprio debutto cinematografico di Sutherland avvenne l’anno seguente, il ruolo del sergente Paul (ma anche, secondo alcune fonti, quello di una vecchia strega, debitamente trasformato da trucco e parrucco) nell’horror italico Il castello dei morti vivi diretto da Luciano Ricci e Lorenzo Sabatini (accreditati rispettivamente come Herbert Wise e Warren Kiefer). Dopo una serie di produzioni minori, occorrerà attendere il 1967 per vedere Sutherland alle prese con una parte che gli permetteva finalmente di esprimere al meglio le sue potenzialità recitative, l’avanzo di galera Vernon Pinkley, nel film The Dirty Dozen (Quella sporca dozzina, Robert Aldrich, 1967), scoprendo infine la grande notorietà nel 1970 con lo sfrontato ed irridente M*A*S*H  di Robert Altman (adattamento del romanzo di Richard Hooker).

(Original Film Art)

Qui interpretava il Capitano Benjamin Franklin Pierce, Hawkeye, sodale nel costante cazzeggio, pardon, all’interno di una situazione drammatica (la guerra in Corea), col pari in grado John Francis Xavier McIntyre, Trapper John, impersonato da Elliot Gould. Da qui in poi Sutherland andò ad esternare la sua versatilità in vari titoli (Alex in Wonderland, Paul Mazursky, 1970; Klute, Alan J. Pakula, 1971; Johnny Got His Gun, Dalton Trumbo, 1971; Don’t look now, Nicolas Roeg, 1973), raggiungendo le vette recitative più alte, ad avviso dello scrivente, in opere quali  The Day of The Locust (John Schlesinger, 1975) e, soprattutto, Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci, dove andò a personificare il laido fascista Attila, ma anche, con toni più intimistici e sofferti, ne Il Casanova di Federico Fellini (1976) e in Ordinary People, 1980, di Robert Redford, per poi esternare la sua maestria in produzioni minori o parti di secondo piano, fino ai giorni nostri.

(Every Film)

Per ricordarne la figura, ho  scelto di non puntare sulle interpretazioni più famose e quindi di scrivere del film The Leisure Seeker, libero adattamento ad opera del regista Paolo Virzì, sceneggiatore insieme a Francesca Archibugi, Stephen Amidon e Francesco Piccolo, dell’omonimo romanzo di Michael Zaoodorian (edito in Italia nel 2012 da Marcos y Marcos, col titolo Viaggio in contromano), presentato nel 2017, in Concorso, alla 74ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, essendo tuttora vivo il ricordo dell’emozione provata in sala nel vedere Sutherland dare adito, col solito fare sornione e l’inquietante scintillio negli occhi sempre presente, alla visualizzazione della tragicità di una memoria ormai labile in un soggetto anziano. Un ruolo al tempo così eguale e così diverso da quelli finora interpretati, soffuso di delicatezza, ironia e la consueta eleganza del tocco, aderendo al ricordo esternato sui social dal figlio Kiefer nell’annunciarne la morte: “Con il cuore pesante, annuncio che mio padre, Donald Sutherland, è morto. Ritengo che sia stato uno degli attori più importanti nella storia del cinema. Mai un ruolo – che fosse buono, brutto o cattivo – lo ha intimidito. Amava ciò che faceva e faceva ciò che amava”.

Helen Mirren e Sutherland (Cinefilia Ritrovata)

Wellesley, Massachusetts, Stati Uniti d’America, agosto 2016. Gli anziani coniugi Spencer, Ella (Helen Mirren) e John (Donald Sutherland), hanno rimesso in moto il loro vecchio Winnebago, un camper risalente agli anni ’70 soprannominato The Leisure Seeker (“il cercatore di svago”) e si sono messi in viaggio lungo la Route 1, destinazione Key West, così da visitare la dimora che fu di Ernest Hemingway. I figli, ormai adulti, Will (Christian McKay) e Jane (Janel Moloney), non ne sapevano nulla, la decisione, improvvisa, è stata presa da Ella, consapevole dell’incedere inesorabile del cancro sul suo corpo come dell’incipiente demenza senile dell’amato coniuge. Ha inteso in tal modo elargire un ultimo regalo ad entrambi, ripercorrere quelle strade attraversate da giovani in compagnia dei loro bambini.

(Prime Video)

La lucidità di Ella, la sua indomita energia, anche nel relazionarsi con le persone, cui dispensa una discreta logorrea, riescono a compensare la mente in affanno di John, ex professore di letteratura, il quale alterna rari barlumi di lucidità a tutta una serie di vagheggiamenti, improvvisi squarci su un passato ritenuto presente  o il declamare stralci tratti dalle opere dei suoi scrittori prediletti. Il loro, in fondo, è un atto di ribellione, in primo luogo verso quella prole, Will in particolare, fin troppo asfissiante nell’esternare preoccupazioni varie e poi nei confronti di una società orfana di quei valori fondamentali di cui si rendono portatori e che ora hanno assunto le sembianze di un mero simulacro a sostegno del “nuovo che avanza”. Un viaggio lungo una vita, un capolinea affidato alla libertà di scelta … The Leisure Seeker è un’opera che rivela nel corso della narrazione una regia fluida e “naturale”, per quanto piuttosto lontana da quella incisività propria di Virzì,  avvertibile a tratti.

(The Space Cinema)

Affidandosi pressoché totalmente alla sceneggiatura e alle ottime interpretazioni dei due protagonisti, il cineasta toscano mantiene comunque intatta la capacità affabulante che gli è sempre stata propria, rende la macchina da presa un tutt’uno con ambienti e personaggi e porta in scena una storia veritiera  dalla consistenza universale, sfruttando l’ambientazione americana senza cedere più di tanto ai cliché da “italiano in trasferta”, come evidenziato, fra l’altro, dalla scelta della Route 1 rispetto alla più famosa Route 66 del testo d’origine, nonché su quella, dal valore simbolico, della dimora di Hemingway quale meta della coppia, in luogo di Disneyland. Inoltre evita, opportunamente, di assecondare enfasi melodrammatiche o pietismi d’ordinanza, preferendo percorrere la consueta strada del realismo nel tratteggiare con lieve ironia le psicologie dei due anziani coniugi, sottolineandone i parametri comportamentali a confronto con l’ambiente circostante e le situazioni che mano a mano si troveranno ad affrontare.

(MyMovies)

Viene così assecondata la felice propensione espressa sinergicamente da un sornione Sutherland e da una guizzante Mirren nell’offrire spazio all’incombenza dei vari malanni, accompagnata da sapidi battibecchi ed affettuose dichiarazioni d’amore reciproco, offrendo sequenze a volte impagabili nel combinare fra loro sorriso ed amarezza, con qualche bagliore beffardo e cinico. A tale ultimo riguardo, ecco l’altalenante lucidità mentale di John, che riconosce all’istante una sua ex allieva ma subito dopo incorre in uno sfasamento dei piani temporali tale da fargli confondere Ella con la vicina di casa Miriam. Con quest’ultima ha avuto una fugace relazione, scatenando la gelosia muliebre, fino a far perdere alla consorte la consueta compostezza, tanto da indurla a parcheggiarlo subitamente nel primo ospizio a portata di mano, salvo poi andare a riprenderselo con eguale determinazione.

(La Lettrice Geniale)

Morbidamente avvolto dalla nitida fotografia di Luca Bigazzi, propensa ad assecondare una certa naturalità sia in interno che in esterno, The Leisure Seeker vede quindi snodarsi l’iter narrativo con una predilezione per i mezzi toni, poetici e romantici (bellissima la scena che vede i due avventurarsi in un estemporaneo amplesso, veritiera e toccante nella sua goffaggine), il tutto sottolineato da una certa malinconia di fondo nel ricordare quel che si è stati a confronto con quel che si è ora, senza però alcun rimpianto evidente, bensì esternando gratitudine e soddisfazione per quanto si è riusciti a realizzare. Ella e John si rendono dunque simbolo, riprendendo in chiusura quanto scritto nel corso dell’articolo, di un “piccolo mondo antico”, costruito intorno alla ricerca di un’individuale felicità, propensa a divenire condivisibile, comprendendo nel percorso gli inevitabili ostacoli.

(laRepubblica)

Universo ormai destinato a scomparire all’interno di un contesto sociale dove la memoria, storica in primo luogo, appare soppiantata dai “valori” dell’apparenza e della soddisfazione pronto uso dei bisogni primari. Emblematica al riguardo, ancora prima della sequenza dello “scontro” con un comizio elettorale pro Trump, quella relativa alla raggiunta casa di Hemingway, centro attrattivo turistico più che luogo di meditazione culturale. In conclusione, un film che potrebbe lasciare interdetti quanti finora hanno conosciuto un Virzì più sanguigno e viscerale nella consueta combinazione mosaicale di dramma ed ironia, ma credo non si possa rimanere indifferenti nei confronti di una narrazione ammantata di un afflato sincero e spontaneo rivolto alla condizione umana, meno caustico, certo, ma egualmente concreto, profondo ed empatico.

Immagine di copertina: Wikipedia

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