La giornata di mercoledì 25 giugno, nell’ambito della XXXIX Edizione del festival Il Cinema Ritrovato (Bologna, 21-29 giugno), si è aperta per lo scrivente con la visione al Cinema Arlecchino del film Woman of the Year, 1942, inserito all’interno della retrospettiva dedicata a Katharine Hepburn curata da Molly Haskell. Diretta da George Stevens su sceneggiatura di Ring Lardner Jr. e Michael Kanin, la pellicola fu la prima di altre otto che la Hepburn girò insieme a Spencer Tracy, dando il via anche ad una relazione sentimentale che durò fino al 1967, anno della morte dell’attore. Woman of the Year affronta nel corso della narrazione tematiche tuttora attuali riguardo la parità tra uomo e donna nel poter conciliare vita e lavoro, incentrandosi sulle figure di Tess Harding (Hepburn), brillante editorialista politica del New York Chronicle e di Sam Craig (Tracy), giornalista sportivo competente e posato, che scrive per la stessa testata.

Le affermazioni di lei riguardo la rilevanza data al baseball in un periodo di guerra porteranno dapprima ad uno scontro e poi, su iniziativa del loro direttore, ad una tregua.  I due dunque andranno a conoscersi meglio, fino ad innamorarsi ed infine giungere al matrimonio. Ma la vita coniugale riserverà presto delle sorprese, Sam si sente trascurato dalla consorte, determinata giustamente a perseguire i propri obiettivi lavorativi, che la condurranno all’attribuzione del premio di “Donna dell’anno”… Opera, come su scritto, piuttosto moderna nel descrivere, anche con una certa ironia, i rapporti tra i due sessi nell’ambito, felice intuizione, di un’identica situazione lavorativa, oltre a sublimare una sottile fascinazione erotica, Woman of the Year meriterebbe, proprio a suggello della perspicacia espressa a livello di scrittura (la Hepburn intervenne spesso nel suggerire alcune modifiche), un ripristino, ove possibile, del finale originale, soppresso causa i malumori espressi dal pubblico durante le proiezioni di prova, dove, tra l’altro, Tess sostituiva Sam nel commentare la cronaca di un incontro di boxe.

(Metro-Goldwyn-Mayer, Public domain, da Wikimedia Commons)

La nuova conclusione, su iniziativa congiunta di Louis B. Mayer, del produttore Joseph L. Mankiewicz e del regista George Stevens, venne scritta da John Lee Mahin (non accreditato) e diede vita ad una sorta di “comica finale” ad alto tasso di maschilismo punitivo, dove Tess si prodiga, con risultati disastrosi, nel preparare la colazione al marito. Quest’ultimo, dopo aver assistito silente allo sfacelo, andrà a proclamare il compromesso conciliante da inserire nella cornice del “buon matrimonio borghese”, ovvero, come nel finale originale, di volere accanto a sé “Tess Harding Craig”, una sorta di Giano Bifronte, metà donna in carriera e metà “angelo del focolare”… Un epilogo che, riprendendo le parole di Molly Haskell, “non sembra più così arcaico in un momento segnato dal ritorno del conservatorismo”.

Nel pomeriggio, al Cinema Arlecchino. Steve Della Casa ha presentato il restauro del film Esterina, diretto nel 1959 da Carlo Lizzani, su sceneggiatura di Ennio De Concini e Giorgio Arlorio. Un road movie attraverso le strade tortuose di un paese in veloce cambiamento, che vede protagonista una splendida Carla Gravina nei panni di una ragazza sognatrice ed ingenua, l’Esterina del titolo, che fugge dalla famiglia di contadini presso cui lavora, desiderosa di conoscere la vita di città, dove magari potrà trovare un nuovo lavoro. Incontrerà due camionisti, Piero (Domenico Modugno) e Gino (Geoffrey Horne), cui risolverà coi propri risparmi alcuni problemi economici e con i quali giungerà sino a Torino, imbattendosi in varie disavventure, che la faranno presto tornare su i propri passi. Ma il suo candido approccio alla vita, la sua disarmante semplicità, andranno a creare non pochi mutamenti nelle persone che le sono state accanto…

Carla Gravina e Domenico Modugno (Di ignoto – settimanale Intermezzo 1959, Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4804971)

Un personaggio che può ricordare nel suo etereo approccio esistenziale la Gelsomina (Giulietta Masina) de La strada (Federico Fellini, 1954), rispetto alla quale appare però concretamente ancorata alla realtà di una personale ricerca emancipatrice, nella quotidianità come nel lavoro. Per quanto, parere personale, Lizzani si sia dimostrato più a suo agio nel dramma che nella commedia, nel cui ambito sembra assecondare un andamento frammentario, episodico, Esterina merita una riscoperta e un nuovo approccio nella visione, anche considerando il parallelismo tra i mutamenti esistenziali cui il personaggio andrà incontro e quelli propri di un paese in profonda evoluzione, morale, civile ed economica.

Serata all’insegna del divertimento e delle sane risate al Cinema Modernissimo, dove Charlotte Baker (Paramount) e Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, hanno presentato il restauro di Artists and Models, 1953, quattordicesimo film della coppia Dean Martin-Jerry Lewis e il primo che vide alla regia Frank Tashlin, anche autore della sceneggiatura insieme a Hal Kanter, Herbert Baker, Don McGuire. La pellicola, una commedia romantico-musicale, mescola tra di loro, senza soluzione di continuità, comicità demenziale ed estrosità surreali, numeri da musical ed elementi gialli da spy story, satireggiando, tra le righe, nei riguardi di quanti si ergono come moralizzatori riguardo la diffusione dei comics tra i giovani.

Charlotte Baker e Gian Luca Farinelli

Venne girata in VistaVision ed Eastmancolor, con stampe della Technicolor e suono stereofonico della Perspecta: grazie all’attento lavoro di restauro è stato possibile ammirarla nella sua purezza visiva originaria. La regia di Tashlin, proveniente dal mondo dell’animazione, esalta il contrasto fra la sfrontata aria da viveur di Martin, ad interpretare Rick,  pittore in crisi lavorativa e la plasticità surreale, cartoonesca, espressa visivamente da Lewis, qui nei panni di Eugene, aspirante scrittore per l’infanzia e divoratore dei fumetti di Bat Lady,  che in Artists and Models raggiunge vette certo memorabili.

Da incorniciare anche le interpretazioni, ironiche ed autoironiche, di Dorothy Malone, ovvero Abigail Parker, fumettista che lavora per una casa editrice di New York, creatrice proprio della citata Bat Lady e, soprattutto di Shirley MacLaine, la sua coinquilina Bessie Sparrowbush, segretaria del suo editore, nonché modella per le fattezze della supereroina (sublime il numero musicale sulle note di Sweetheart/Innamorata, che la vede danzare col suo amore ancora non corrisposto, ovvero Eugene, ignaro che sia proprio lei la “signora pipistrello” tanto sognata).

(Rielaborazione ed approfondimento delle note pubblicate su Instagram tra mercoledì 25 e giovedì 26 giugno)

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