Ho rinvenuto su RaiPlay un bel documentario, diretto da Barbara Pozzoni, In scena- Adriana Asti, 2018, che si è rivelato illuminante nel delineare l’intensa figura, umana e professionale, di un’attrice che ha reso l’arte un personale mezzo per dare adito, più che al “sacro fuoco” di una passione, ad un anelito di profonda libertà. Una pulsione che l’animava fin da bambina (“desideravo di essere rapita, di essere orfana, di essere figlia chissà di chi, di essere una trovatella…”), fino a trovare quindi la propria dimensione all’interno di un altro mondo, da esplorare “con un animo quasi fanciullesco”, “buttandosi nelle imprese” e “partendo istintivamente per un’avventura sconosciuta”, riprendendo le parole di Marco Tullio Giordana, che la diresse in Pasolini, un delitto italiano (1995), La meglio gioventù (2003), Quando non sei nato non puoi più nasconderti (2005), Nome di donna (2018), Donna Fabia (2018).
Il tutto all’interno di una società, quella propria dell’Italia degli anni ’50, nel cui ambito, come spiega Corrado Augias nel corso della narrazione, “non vi erano risorse per sfogare l’eccentricità, il ribellismo, la voglia di fuggire alle convenzioni proprie di una famiglia borghese”. Morta a Roma lo scorso 31 luglio, milanese di nascita (Adelaide Aste all’anagrafe, 1933), Adriana Asti esordì in teatro nel 1951, una piccola parte nel Miles gloriosus di Plauto, per poi affermarsi ne Il crogiuolo di Arthur Miller, con la regia di Luchino Visconti, dopo essersi fatta notare da Giorgio Strehler, che la chiamò per recitare in Elisabetta d’Inghilterra al Piccolo Teatro di Milano.
Dal racconto per bocca dell’attrice delle tante esperienze, di vita e professionali, così come per quanto risulta dalle testimonianze di coloro che la conobbero o ebbero modo di lavorare con lei, ne emerge la suadente sensibilità, espressa con naturale incisività, anche per il tramite di uno sguardo idoneo a conferire ai personaggi interpretati ora una disarmante ingenuità, ora un sentore ambiguo, molesto, rivelando quindi una certa duttilità nell’assecondare differenti caratteristiche comportamentali a seconda dei ruoli interpretati.
Il debutto cinematografico avvenne nel 1958, in Città di notte, esordio alla regia di Leopoldo Trieste, per poi ottenere piccole parti, ma sempre ben definite riguardo le particolari psicologie dei personaggi, in opere quali, ad esempio, Rocco e i suoi fratelli (1960, Visconti), Accattone (1961, Pier Paolo Pasolini), Prima della rivoluzione (1964, Bernardo Bertolucci) o, andando avanti negli anni, Ludwig (1972, Visconti), Le fantôme de la liberté (1974, Luis Buñuel), Gran bollito (1977, Mauro Bolognini, col quale girò anche L’eredità Ferramonti, 1976 e Per le antiche scale, 1975).
Nel fluido giustapporsi delle dichiarazioni dell’artista e dei personaggi intervistati, emergono anche particolari interessanti, quali l’incontro con lo psicologo Cesare Musatti. Il rapporto medico-paziente andò presto a confluire nell’arte: il luminare scrisse per la Asti la pièce teatrale Tre uomini per Amalia e l’attrice ricambiò con Caro professore. Il suo essere naturalmente anticonvenzionale, lontana da pose o studiati atteggiamenti, ispirata da quell’innato senso di libertà di cui si è scritto ad inizio articolo, la portò poi ad accettare di recitare nuda in palcoscenico, correva l’anno 1973, nell’allestimento curato da Visconti della pièce Old Times di Harold Pinter (Tanto tempo fa il titolo dell’edizione italiana), il quale però vietò i diritti di rappresentazione, in quanto riteneva che la traduzione della messa in scena si allontanasse da quanto avesse indicato.
Egualmente non si tirò indietro nel recitare in Caligola (1979) e Action, per la regia di Tinto Brass, così come non ha mai rinnegato la partecipazione a film non propriamente d’essai, punteggiando il tutto con una sottile ma pungente ironia, vedi il sostenere che un pregio essenziale nel recitare in deshabillé di fronte a tante persone fosse che il pubblico andasse ad interessarsi a tutt’altro fuorché la recitazione…Per quanto il teatro fosse la sua precipua declinazione artistica, Adriana Asti recitò anche in televisione già dagli anni ’50 e infatti nel documentario si alternano in successione sequenze di alcuni sceneggiati televisivi che la videro protagonista (Un mese in campagna di Ivan Sergeevič Turgenev, regia di Mario Landi, ad esempio).
Spazio poi a qualche chicca, in particolare nel rammentare la conduzione del talk Sotto il divano, conversazioni con personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura, della politica e dell’arte a metà strada tra il lettino dello psicanalista e la conversazione da “buon salotto borghese”, riprendendo le definizioni date dalla stampa dell’epoca, ma sulla cui messa in onda si abbatté presto la scure della censura, dopo la declamazione di una filastrocca non propriamente da giardino d’infanzia (almeno ai tempi…) da parte del citato Brass.
Da incorniciare, tra le tante interpretazioni teatrali, quelle profuse in Ti ho sposato per allegria, commedia in tre atti del 1965 scritta da Natalia Ginzburg proprio per la Asti e in Tosca e le altre due, opera scritta ed interpretata da Franca Valeri, con la quale diede vita ad un impagabile duetto sia sul palcoscenico che sul grande schermo, nella trasposizione di Giorgio Ferrara, 2003. Per quanto riguarda invece le interpretazioni cinematografiche, personalmente conservo nel cuore il ruolo di Adriana Carati nel citato La meglio gioventù, madre di quattro figli, Nicola (Luigi Lo Cascio), Matteo (Alessio Boni), Giovanna (Lidia Vitale) e Francesca (Valentina Carnelutti), rimembrando quell’alternanza magistralmente resa tra dolcezza e muto dolore nel far fronte a determinati accadimenti.
Una donna e un’attrice il cui ricordo si staglia indelebile nel visualizzare un percorso, artistico e umano, aperto ad ogni novità che il mondo potesse di volta in volta offrire, cui rivolgere uno sguardo altrettanto inedito, tra curiosità, ironia ed innata eleganza, senza dimenticare la compostezza istintiva nel circoscrivere il tutto con la voglia indomita di non prendersi mai troppo sul serio.
Immagine di copertina: Adriana Asti, Sconosciuto/Unknown author, Public domain, da Wikimedia Commons






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