
Personalità del tutto particolare, capace di coniugare il saper vivere napoletano, punto d’incontro fra bonaria ironia e saggezza popolare dal sapore antico, con l’inappuntabile precisione storiografica rivolta alla ricostruzione del pensiero filosofico greco (Storia della filosofia greca, due volumi, usciti rispettivamente nel 1983 e nel 1986), Luciano De Crescenzo, un passato di ingegnere all’IBM, dove lavorò per 20 anni, ci ha lasciato oggi, giovedì 18 luglio, a Roma, lontano dalla città natale (Napoli, 1928).
La sua esistenza si è svolta all’insegna di una vivida poliedricità: scrittore piuttosto prolifico e piacevolmente arguto, attore (il ruolo, fra l’altro, del Padreterno ne Il pap’occhio, diretto dall’amico Renzo Arbore nel 1980) sceneggiatore e regista cinematografico, ricordando a tale ultimo riguardo i film tratti dai suoi libri (Così parlò Bellavista, 1984; Il mistero di Bellavista, 1985; 32 dicembre, 1987; Croce e delizia, 1995). Ne affido il ricordo ad una sequenza tratta dal primo film diretto, il citato Così parlò Bellavista, soffermandomi in particolare sul seguente dialogo:
(…) (…) “No, no … Se mi danno il tè alla mattina è come se mi dessero una sberla! E’ mia moglie che ama il tè, ma, sa, lei è tedesca e i tedeschi, caro professore, non sono come noi …”
“Si è sempre meridionali di qualcuno”.

A parlare sono il Dr. Cazzaniga (Renato Scarpa), milanese in trasferta napoletana dopo essere stato nominato direttore del personale dell’Alfasud, e in risposta il Prof. Bellavista (Luciano De Crescenzo), rispettivamente lo stoico “uomo di libertà” e l’epicureo “uomo d’amore”, finalmente a confronto causa incontro fortuito in ascensore, per di più bloccato causa guasto, dopo essersi odiati a distanza sulla base di ottuse supposizioni e preconcetti. La piacevole sorpresa di scoprire similitudini nel condividere le quotidiane ambasce e l’attrazione empatica scaturita da un’eguaglianza che trova il suo fondamento su una conclamata diversità.
L’ha ribloggato su Lumière e i suoi fratelli.
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