Dark Crimes (2016)

Cracovia, Polonia, tempi nostri. Tadek (Jim Carrey), uomo mesto e taciturno, è un poliziotto prossimo alla pensione, relegato ad un ruolo d’ufficio dal capo della Polizia, Greger (Robert Wieckiewicz), col quale si è scontrato in passato, probabilmente un diverbio relativo alla troppa solerzia profusa dal nostro nello svolgere indagini su qualche caso scottante. La sua vita si trascina quindi fra un lavoro ormai avvilente, la famiglia, moglie ed una figlia, cui sembra del tutto estraneo, l’anziana madre, oggetto invece di premurose attenzioni. Un tarlo rode continuamente la mente di Tadek, senza dargli pace, l’efferato omicidio di tale Daniel Sadosky, rinvenuto sulla sponda di un fiume, legato in una strana posizione, probabilmente richiamante certe pratiche erotiche estreme proprie di uno squallido club BDSM, The Cage, con sede in un vecchio palazzo e che l’ucciso era solito frequentare, così come vi bazzicava il noto scrittore Kristov Kozlov (Marton Csokas). Proprio su quest’ultimo vanno a concentrarsi i principali sospetti di Tadek, soprattutto considerando che in un suo romanzo, uscito qualche anno dopo l’evento delittuoso,  l’accusato ne ha narrato con precisione ogni particolare della sua esecuzione; la sua compagna Kasia (Charlotte Gainsbourg), poi, ha un passato di tossicodipendenza ed è stata fra le ragazze di The Cage. Spinto tanto dal desiderio di rivalsa, quanto dalla volontà di far venire fuori la verità, almeno quella di cui lui è convinto, Tadek riuscirà a far riaprire il caso, procedendo a testa bassa fino all’ultima illusione, che gli sarà fatale, scoprendosi  troppo tardi pedina necessaria a mantenere in vita un potere che si alimenta delle sue stesse contraddizioni nel perpetrare la tracotanza nell’agire che gli è propria, tra marciume morale, corruzione ed altre bassezze. D’altronde, a quanto esternato da un suo superiore, “La gente non vuole giustizia, vuole il bene e il male, storie accecanti e pompose raccontate con convinzione…

Jim Carrey e Charlotte Gainsbourg

Dark Crimes, presentato nel 2016 al Festival di Varsavia ed uscito in sala due anni più tardi, è disponibile dall’8 marzo su Prime Video e vede alla regia il greco Alexandros Avranas, di cui si ricorda con piacere il deflagrante Miss Violence del 2013 ( Leone d’Argento per la regia e Coppa Volpi per la Miglior Interpretazione Maschile, Themis Panou, alla 70ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia).  La sceneggiatura è invece opera di Jeremy Brock, ispirata ad un articolo di David Grann apparso sul The New Yorker nel 2008, True Crimes – A Postmodern Mysder Mystery, in cui si narrava la vicenda dello scrittore polacco Krystian Bala, incriminato e poi condannato a 25 anni di reclusione per l’omicidio dell’imprenditore Dariosz Janiszewski, i cui indizi potevano rinvenirsi nel suo romanzo Amok, pubblicato tre anni dopo il citato crimine. Da appassionato di noir scrivo subito, via il dente via il dolore, che Dark Crimes non mi ha del tutto convinto, motivo precipuo un iter narrativo piatto, del tutto simile ad un qualsiasi procedural drama televisivo, pur se, ad onore del vero, ritengo sia da rimarcare una certa cura, per quanto sostanzialmente formale e fin troppo esibita, nell’imbastire gli stilemi propri del citato genere, mischiandoli poi, senza però alcuna caratterizzazione distintiva, con quelli propri del thriller e del dramma in senso stretto. Probabile che, riporto la mia primaria sensazione, Avranas abbia inteso, nel conferire concretezza visiva alla sceneggiatura, delineare una visualizzazione, piuttosto essenzializzata, dei miasmi propri di una decadenza morale, che andranno presto ad avvolgere anche le persone più integerrime, costrette a pagare a caro prezzo la loro abnegazione, trovandosi alla fine della tenzone se non propriamente dall’altra parte della barricata certo in equilibrio instabile sulla fune tesa tra i due confini.

Marton Csokas e Carrey (Movieplayer)

Il degrado descritto, morale e materiale, nella  resa cinematografica appare quale insito nella Polonia post regime comunista, ma potrebbe interessare qualsiasi altra nazione, andando a considerare come la fotografia di Michel Englert, insistendo su toni spenti volti al grigio, appare tesa ad offrire corpo metaforico allo squallido “deserto delle anime”, rendendo la città di Cracovia anonima, astratta, una sorta di microcosmo rappresentativo, che dal particolare volge all’universale. Dove, ad avviso dello scrivente, il regista manca il bersaglio è nel non riuscire, o riuscirvi in parte, a creare quella stretta correlazione fra ambiente e personaggi propria del noir, sprecando quasi sempre l’interessante cast a sua disposizione, a partire da un Jim Carrey dal volto irsuto e dall’espressione perennemente corrucciata, volta al tetro, il cui guizzo a volte presente nello sguardo lascia però intendere la volontà, repressa, di offrire al personaggio una più definita complessità psicologica, meno rarefatta e non incastonata nella cornice del “depresso con un motivo”, da catalogo ragionato dei casi psichiatrici, che Avranas avalla spesso e volentieri, affidandosi ad una sceneggiatura piuttosto confusa nell’offrire una plausibilità convincente al succedersi dei vari accadimenti. Scritto dello spreco relativo a Carrey, egualmente ci si può ripetere, purtroppo, per la  femme fatale Kasia resa dalla Gainsbourg, relegata in un ruolo meramente corporale ai limiti della misoginia; complessivamente la sua interpretazione può convincere, ma l’ambiguità caratteriale propria del personaggio appare fin troppo sottesa, per poi esplodere in tutte le sue contraddizioni nel finale. Poco felice anche la resa recitativa offerta da Marton Csokas nei panni dello scrittore, fin troppo classico “artista maledetto”, la cui doppiezza ed aberrazione sono affidate essenzialmente ad un calcolato gioco di sguardi da Big Bad Wolf  “e più non dimandare”. Nel complesso Dark Crimes si lascia vedere, come si suole dire, mettendo in conto una forse eccessiva ponderatezza e l’accumulo di formalismi (la predilezione per inquadrature fisse e i frequenti primi piani), pedanti e fini a se stessi, che mutuano l’empatia in una resistenza ad oltranza al tedio. (Già pubblicato su Lumière e i suoi fratelli- Cultura cinematografica e crossmedialità)


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