Lo scorso giovedì, 25 marzo, ci ha lasciati Bertrand Tavernier (Lione, 1941), regista, sceneggiatore nonché critico cinematografico, veste quest’ultima con cui contribuì ad una rivalutazione del cinema americano, un’attenzione che in seguito come autore gli consentì di conciliare spettacolarità ed incisività figurativa, senza dimenticare il suo saper spaziare, fra ampiezza di vedute e vivida curiosità, all’interno di attente riflessioni politico-sociali distribuite in più periodi storici, così da analizzare vari mutamenti generazionali, spesso al centro di scontri familiari delineati privilegiando toni più soffusi ed intimistici. Una volta abbandonata la facoltà di Giurisprudenza per dedicarsi al cinema Tavernier intraprese a partire dal 1961 l’attività di addetto stampa e critico cinematografico, debuttando come regista due anni più tardi, l’episodio Baiser de Judas nel film collettivo Les baisers, proseguendo, ancora all’interno di una pellicola che vedeva coinvolti più autori, La chance et l’amour, 1964, con la regia dell’episodio Une chance esplosive, anche se poi riprese la sua attività di critico e sceneggiatore (in particolare per registi quali Riccardo Freda e Jean Leduc). Occorrerà attendere dieci anni perché desse vita al suo primo lungometraggio, L’horloger de Saint-Paul, avvio di una lunga e proficua collaborazione con Philippe Noiret e con gli sceneggiatori Jean Aurenche e Pierre Bost, che contribuirono insieme a Tavernier all’adattamento del romanzo di Georges Simenon L’horloger d’Everton, 1954, trasferendo l’azione dagli Stati Uniti a Lione. Nelle realizzazioni successive, riprendendo quanto scritto ad inizio articolo, Tavernier diede vita ad acute riflessioni politico-sociali distribuite in più periodi storici, delineando un suggestivo legame tra cinema e Storia, suggerendone la loro portata intergenerazionale.
Al riguardo si possono ricordare, fra gli altri, Que la fête commence, 1975, la Francia sotto la reggenza di Philippe d’Orléans; Le juge et l’assassin, 1976, ispirato ad un caso di cronaca criminale realmente accaduto nella Francia di fine Ottocento, quello dell’assassino Joseph Vacher; Coup de torchon, 1981, il cui soggetto fu tratto da un romanzo del 1964 di Jim Thompson, Pop 1284, mutandone però l’ambientazione dal Texas del 1917 ad un villaggio coloniale nell’ Africa Occidentale Francese del 1938; La passion Béatrice, 1987, dove l’andamento narrativo si dipana nella Francia del XIV secolo, durante la Guerra dei Cent’anni; La vie et rien d’autre, 1987, incentrato sugli strascichi della I Guerra Mondiale; Laissez-passer, 2001, la cui narrazione intreccia le vicende di rilevanti figure del cinema francese con gli accadimenti propri dell’occupazione tedesca del 1942, sullo sfondo della città di Parigi. Alle descritte riflessioni politico-sociali nella produzione di Tavernier si alternarono anche narrazioni dai toni più soffusi ed intimistici, il cui sviluppo andava a delinearsi all’interno di ambiti maggiormente delimitati e definiti, quali quelli familiari o comunque “domestici” (Des enfants gâtés, 1977; La mort en direct, 1980, il cui soggetto, a tema fantascientifico, fu tratto dal romanzo The Unsleeping Eye di David G. Compton; Une semaine de vacances, 1980; Daddy nostalgie, 1990). Una personalità per molti versi unica quella di Tavernier, che ha offerto al cinema “lo sguardo raffinato e non convenzionale di un cinefilo che rifugge ogni tentazione dogmatica, facendo prova di un’apertura di spirito, di una curiosità e di una larghezza di vedute inconsuete”, riportando in chiusura un estratto del commento di Alberto Barbera nell’annunciarne il conferimento del Leone d’Oro alla Carriera alla 72ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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