La 35ma edizione del festival Il Cinema Ritrovato, promosso dalla Cineteca di Bologna, si svolgerà in presenza, nel capoluogo emiliano, dal 20 al 27 luglio: 426 film in 8 giorni di proiezioni da mattina a sera, in 7 sale coinvolte in città (Sala Scorsese e Sala Mastroianni al Cinema Lumière; Auditorium – DAMSLAB; Sala A al Cinema Odeon; Cinema Jolly; Cinema Arlecchino, Teatro Arena del Sole), e il gran finale, tutte le sere, in Piazza Maggiore e alla LunettArena e 2 serate speciali, sempre all’aperto, in Piazzetta Pasolini. E alla Biblioteca Renzo Renzi si rinnoverà l’appuntamento con la Book Fair, la fiera dell’editoria dedicata alle pubblicazioni cinematografiche. Una selezione dal programma sarà inoltre online (disponibile in tutto il mondo) su Mymovies. L’inaugurazione, martedì 20 luglio, vedrà protagoniste Isabella Rossellini ed Alice Rohrwacher: la prima presenterà il restauro di Francesco Giullare di Dio (ore 16.30, Arena del Sole), diretto da Roberto Rossellini nel 1950, ed incontrerà la seconda alle ore 18.45 all’Auditorium DAMSLAB per parlare di Cinema in campagna: la sera stessa, infatti, alle ore 21.45 in Piazza Maggiore, entrambe saliranno sul palco per una celebrazione del mondo contadino con il restauro de Il Mulino del Po di Alberto Lattuada, 1949, ispirato al terzo volume dell’omonimo romanzo di Riccardo Bacchelli, e i cortometraggi Green Porn di Isabella Rossellini ed Omelia contadina di Alice Rohrwacher e JR. Parallelamente, alla LunettArena, lo scrittore Jonathan Coe presenterà il film di Billy Wilder Fedora, 1978, al quale è ispirato il suo ultimo libro. Altro grande ospite internazionale in chiusura del festival, martedì 27 luglio: lo sceneggiatore Paul Haggis incontrerà il pubblico alle ore 18.45 all’Auditorium DAMSLAB, mentre il giorno successivo, mercoledì 28 giugno, presenterà in Piazza Maggiore Million Dollar Baby di Clint Eastwood, 2004.
A partire da venerdì 16 luglio inizierà il cammino Verso Il Cinema Ritrovato, con le proiezioni dei classici restaurati in Piazza Maggiore e un primo assaggio dei documentari al Cinema Lumière, in un percorso che arriverà fino al 30 luglio, quando Gianni Amelio sarà in Piazza Maggiore per il restauro del suo Lamerica, 1994. Piazza Maggiore sarà poi la location di alcune serate evento, come quella con Nanni Moretti che presenterà il nuovo restauro del suo film La cosa (venerdì 23 luglio), realizzato nel 1990 nel pieno della crisi della sinistra italiana dopo la caduta del Muro di Berlino e la svolta della Bolognina. L’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna sarà protagonista di due serate: sabato 24 luglio, quando verrà proiettato il capolavoro horror di Carl Theodore Dreyer, Vampyr, 1932, restaurato, con la partitura originale di Wolfgang Zeller eseguita dal vivo ed intrecciata alle rare parti parlate. La serata finale del festival, martedì 27 luglio, vedrà il Coro e l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna accompagnare le straordinarie immagini (fresche di restauro) della prima spedizione al mondo, italiana, che raggiunse la vetta del K2 nel 1954. Molti i nuovi restauri, fra i quali I 400 colpi (Les Quatre Cents Coups François Truffaut, 1959), Un Chien andalou (Luis Buñuel,1929) Anatomia di un omicidio (Anatomy of a Murder, Otto Preminger, 1959), con la mitica colonna sonora di Duke Ellington, Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) di Ettore Scola con Monica Vitti, Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini, Giochi di notte (Nattlek) della regista svedese Mai Zetterling che sconvolse la Mostra del Cinema di Venezia nel 1966, al punto da venire proiettato esclusivamente per la giuria e la stampa.
A 100 anni dalla scomparsa di Enrico Caruso, avvenuta il 2 agosto 1921, il restauro del film My Cousin, unico film sopravvissuto dei due interpretati dal grande tenore. Le sezioni del Festival, possono suddividersi in tre grandi gruppi: 1) La macchina del tempo, che vedrà protagonista in primo luogo Il secolo del cinema: 1901, così da ammirare ciò che gli spettatori bolognesi di centoventi anni fa videro al Reale Cinematografo Lumière di via Rizzoli, 13 o il fascino inesauribile della realtà fissata su pellicola dalle vedute dei fratelli Lumière o della Mutoscope & Biograph, che allora fecero il giro del mondo, o nei film della Mitchell & Kenyon legati al più circoscritto contesto inglese. Ancora, la dirompente irrealtà di trucchi mirabolanti che aprono nuove prospettive all’arte della magia, mentre alcuni pionieri britannici come R.W. Paul e James Williamson muovono i primi passi verso film sofisticati ed il francese Ferdinand Zecca, appena entrato nella scuderia Pathé, inaugura un nuovo genere destinato a spazzare via il cinema fatto fino a quel momento, il dramma. Inoltre nel 1901 il cinema mostra una grande spinta verso il superamento dell’intrattenimento, come dimostrano i singolari documentari sulla vita nella Cina meridionale realizzati dal diplomatico francese Auguste François, con una macchina da presa fornitagli da Léon Gaumont. Ecco poi Cento anni fa: 1921, un programma di trentasette titoli, tra lungo e cortometraggi, opera di registi quali Ernst Lubitsch, Victor Sjöström e Mauritz Stiller, che lavorano ancora in Europa ma presto saranno tutti a Hollywood. Il cinema di Weimar e le avanguardie hanno già lasciato il segno, la produzione sovietica invece non è ancora decollata.
Non mancheranno certo le comiche, rappresentate da sette grandi: Arbuckle, Biscot, Chaplin, Hardy, Keaton, Laurel e Larry Semon. Sempre nella sezione La macchina del tempo, In un labirinto di immagini. La Tomijiro Komiya Collection: Tomijiro Komiya (1897-1975) nacque ad Asakusa, dove suo padre possedeva un ristorante, il quartiere dei divertimenti di Tokyo, e più tardi Komiya avrebbe ricordato di come già a nove-dieci anni fosse solito andare al cinema, che si trovava a pochi minuti da casa. Probabilmente si mise a collezionare film sin da ragazzo, forse chiedendo spezzoni di pellicola ai proiezionisti del quartiere. La sua collezione doveva essere già molto vasta quando nel 1917, ventenne, prese in gestione il ristorante dopo la morte del padre: la maggioranza dei titoli della collezione era stata prodotta prima di quella data. Nell’incendio che distrusse la sua casa durante il grande terremoto del Kanto, nel 1923, andò probabilmente perduto un numero (forse consistente) di film, ma la collezione sopravvisse alla Guerra nel Pacifico grazie al trasferimento in un luogo sicuro, mentre la casa e il ristorante di Asakusa furono devastati da un bombardamento nel 1944. Con l’eccezione di tre titoli statunitensi (possedeva una copia di Shoes di Lois Weber) Tomijiro Komiya collezionava esclusivamente film europei. Nel 1988, quando il figlio di Komiya donò la collezione al National Film Center – National Museum of Modern Art di Tokyo, si scoprì che gran parte delle pellicole aveva subito dei danni fatali. Si fece il possibile per salvare il salvabile. Il lavoro di conservazione fu eseguito dal laboratorio Ikueisha, usando negativi Fujicolor 8510F-64.
Infine, Documenti e documentari, una sezione di film di viaggio, accompagnati dagli sguardi dei grandi direttori della fotografia italiani, Massimo Terzano e Mario Craveri, e da un outsider, Mario Fantin. Tra i tanti ritratti di cineasti, due dedicati a Charlie Chaplin e Michael Cimino. 2) La macchina dello spazio. In primo piano Poeti ribelli e spiriti rivoluzionari: il Parallel Cinema indiano, per cercare di dare una definizione ad un fenomeno estremamente ricco ed esteso, complesso da definire, tanto che dopo cinquant’anni, rimane ancora una questione aperta. Spesso utilizzato in modo improprio come sinonimo di cinema sperimentale, non convenzionale o semplicemente in antitesi al cinema mainstream o populista, la sua genesi affonda le radici nel Manifesto del movimento per il nuovo cinema pubblicato nel 1968 dai registi Arun Kaul e Mrinal Sen. L’anno successivo, l’uscita di un trittico di opere innovatrici come Bhuvan Shome di Mrinal Sen, Uski Roti di Mani Kaul e Sara Akash di Basu Chatterjee segna l’inizio di una delle congiunture più creative e radicali del cinema indiano. Questi tre film furono prodotti dalla nascente Film Finance Corporation, ente istituito dallo stato per concedere prestiti a bassi interessi alle produzioni, che avrà un ruolo chiave nella definizione e nelle future declinazioni del Parallel Cinema. Il programma guarda ai suoi anni fondativi (1968-1976), caratterizzati da diversi flussi creativi che scorrono in molteplici direzioni, assorbendo l’influenza delle nouvelle vague europee così come l’ideologia di stampo comunista e l’estetica del cinema bengalese.
Contro ogni bandiera: Wolfgang Staudte, dedicata ad una figura di spicco come poche dell’industria cinematografica della neonata Repubblica Federale, che attaccò omissioni e menzogne dell’establishment conservatore, affrontò questioni sulle quali altri tacquero e fece luce su storie oscure del presente e del passato recente, comportandosi più o meno come aveva fatto tra il 1945 e il 1956 per la DEFA, la principale società di produzione di quella che nel 1949 divenne la Repubblica Democratica Tedesca. Con una differenza sostanziale. In Die Mörder sind unter uns (1946), Rotation (1948) e Der Untertan (1951) fu in sintonia con il pensiero dominante comunista, diventando l’emblema della settima arte nella (nascente) nazione, mentre con Rosen für den Staatsanwalt (1959), Kirmes (1960) e Herrenpartie / Muški izlet (1964) si vide affibbiare il soprannome di Nestbeschmutzer (letteralmente “colui che sporca il nido”, ovvero che sputa nel piatto in cui mangia) dagli ambienti di destra della Germania Ovest con i loro aggressivi reazionari. Cinemalibero: Femminile, Plurale, 10 debutti per 10 registe donne da tutto il mondo, alla scoperta dei loro lavori d’esordio, tra gli anni ’40 e gli anni ’70: è del 1948 il primo film realizzato sull’Olocausto, L’ultima tappa, firmato dalla polacca Wanda Jakubowska, anch’essa deportata ad Auschwitz-Birkenau. Bárbara Virgínia nel 1946, all’eta di 22 anni, è la prima cineasta a dirigere un film in Portogallo e l’unica donna a girare un film di finzione durante la dittatura di Salazar. Aldeia dos Rapazes – Orfanato Sta. Isabel de Albarraque, ambientato in un orfanotrofio, è il documentario che gira nello stesso momento del suo unico altro film, Três Dias Sem Deus, presentato al Festival di Cannes.
Altra donna unica dietro alla macchina da presa, questa volta nell’alveo della rivoluzione castrista a Cuba, è Sara Gómez, della quale sarà proiettato De cierta manera, sorta di film-inchiesta girato a L’Avana alla metà degli anni ’70. Su tutte, si staglia la figura dell’ungherese Márta Mészáros, autrice pluripremiata negli anni ’70 e ’80 a Berlino e a Cannes, della quale si potrà vedere l’esordio nel 1968, The Girl. Il vero Giappone: i documentari della Iwanami, incentrata sulla casa di produzione indipendente Iwanami Productions, creata nel 1950 come ramo della nota casa editrice Iwanami Shoten, per realizzare film educativi e promozionali, e che finì per trasformare le convenzioni del cinema documentario giapponese, aprendo la strada ad uno stile caratterizzato da un’osservazione pacata e senza pretese moralizzanti e dalla ferma volontà di fissare su pellicola la vita in tutta la sua disordinata spontaneità, riconoscendo al contempo la soggettività dei registi e delle persone raffigurate. L’impostazione era innovativa per gli standard non solo giapponesi ma anche internazionali. 3) Paradiso dei cinefili: Ritrovati e restaurati, una selezione di oltre 70 film, tale da coprire un arco temporale di 97 anni, fra molti capolavori di maestri riconosciuti (Preminger, Ford, Wilder, Lynch, Kawashima, Stiller, Buñuel, Truffaut), ed opere di autori molto meno noti, come Kwan, Humblestone, Frank, Badger, Maurice Ravel, Mai Zetterlig. Romy. Vita e romanzo, la retrospettiva dedicata a Romy Schneider curata da Volker Schlöndorff. Qualcosa per cui vivere: il cinema di George Stevens, autore che ha lasciato una produzione profondamente ricca: aveva iniziato come cameraman agli Hal Roach Studios girando delle comiche di Stanlio e Ollio per poi diventare un fuoriclasse della regia e uno specialista della commedia negli anni Trenta (Swing Time).
Regista, sceneggiatore e produttore, sul set regnava sovrano. La guerra, combattuta e filmata, cambiò la sua visione del mondo (Something to Live For). Questa nuova maturità intellettuale, unita alla scioltezza e al brio che gli erano peculiari, offrì a Stevens terreno fertile per una serie di capolavori che, insieme a una panoramica delle sue opere dei tardi anni Trenta e dei primi anni Quaranta, costituiscono il fulcro di questa retrospettiva. Aldo Fabrizi: Tolto al mondo troppo al dente: noto al pubblico italiano come espressione di una Roma bonaria, popolare o piccolo-borghese, e a quello internazionale per la sua interpretazione di Don Pietro in Roma città aperta, Aldo Fabrizi è stato, nel secondo dopoguerra, uno degli attori comici più popolari d’Italia. Figlio di fruttivendoli, abbandonò presto gli studi per svolgere i mestieri più vari, scrivendo poesie dialettali e monologhi che lo resero noto nei teatri di varietà. I suoi personaggi, nati dall’osservazione della vita quotidiana, approdarono al cinema negli ultimi anni del fascismo, con titoli (Avanti c’è posto…, 1942; Campo de’ Fiori, 1943 di Mario Bonnard) che oggi vengono visti come diretti precursori del neorealismo. Dopo Roma città aperta nei suoi ruoli comici è sempre presente una vena patetica e malinconica, dai primi successi Mio figlio professore (1946) di Renato Castellani e Vivere in pace (1947) di Luigi Zampa a Guardie e ladri (1951) di Steno e Monicelli, primo film interpretato insieme a Totò, col quale recitò in coppia in altre tre occasioni. Solo di recente, invece, è stata rivalutata la sua attività di regista, che conta nove titoli tra il 1948 e il 1958. Alcuni si intrecciano tipicamente al melodramma dell’epoca (Emigrantes, 1948, o Una di quelle, 1953, interpretato da Totò e Peppino De Filippo), mentre i tre film della serie La famiglia Passaguai riprendono il suo umorismo da teatro di varietà con una torsione più surreale.
All’epoca le sue regie non furono molto apprezzate dalla critica, perplessa dalla commistione di comico e patetico e dal gusto del bozzetto; ma oggi vi si può riscontrare una vena profonda del mondo dell’attore, che preannuncia doppiamente la commedia del boom: nell’emergere della vocazione malinconica, e nell’osservazione minuta e in fondo perfida di una borghesia nascente. Herman Mankiewicz: Un talento disperso, omaggio che privilegia film minori rispetto a quelli per cui l’autore tende ad essere ricordato. Super8 & 16mm – Piccolo grande passo, che intende ampliare la panoramica sui film a passo ridotto: se negli ultimi due anni ci si è limitati a presentare cortometraggi, i lungometraggi, rappresenteranno una parte fondamentale del programma di quest’anno. Inoltre le proiezioni per la prima volta saranno in Super8mm, un formato che raramente riesce ad approdare nelle sale cinematografiche. Le tre filmmaker di quest’anno, Helga Fanderl, Annik Leroy e Trinh T. Minh-ha, appartengono tutte alla stessa generazione (nata tra il 1947 e il 1952), ma le loro rispettive produzioni sono caratterizzate da un’impronta personale molto forte, così da evidenziare la versatilità con cui l’espressione cinematografica può manifestarsi, ricordando che l’indipendenza è ancora possibile in un mondo dominato da una produzione cinematografica ampiamente standardizzata. Il Cinema Ritrovato Kids e Young: Schermi e Lavagne, il dipartimento educativo della Cineteca di Bologna propone come di consueto una sezione dedicata ai cinefili più giovani, che per sette giorni potranno scoprire film di tutte le epoche e viaggiare nel tempo e nello spazio in compagnia del cinema di tutto il mondo. Alle proiezioni al Cinema Lumière si affiancheranno laboratori, incontri con professionisti del settore e spettacoli dal vivo.
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Informazioni: www.cinetecadibologna.it
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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