Produzione internazionale che ha visto coinvolte Italia, Russia ed Austria, Selfiemania ha come punto di partenza un’idea di Elisabetta Pellini e riprende la tradizione italica della commedia ad episodi (probabile punto di riferimento I mostri, 1963, Dino Risi e I nuovi mostri, 1977, Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola), nel nobile tentativo di riproporne, aggiornati ai tempi attuali che vedono trionfare il culto dell’immagine all’insegna del mantra “digito ergo sum”, gli stilemi satirici ed amari propri di un efficace castigat ridendo mores che hanno caratterizzato le migliori realizzazioni di un passato neanche poi tanto lontano, in particolare considerando i toni lungimiranti espressi in più di una sceneggiatura da autori quali, fra gli altri, il duo Age e Scarpelli o Suso Cecchi D’Amico. Purtroppo, via il dente via il dolore, nel corso della visione Selfiemania si è andato a sostanziare come un film asfittico, senza una vera e propria anima, se non quella resa dallo sviluppo di un’intuizione cui non si è saputo conferire un concreto nerbo già in fase di scrittura, concretizzandosi infine in una caricatura bonaria di quelle odierne tendenze che, mescolando gioia e dolore, sono volte a considerare ogni evento della quotidiana esistenza qualcosa da riportare immediatamente nel “mondo a parte” del web, visualizzando il fluire dell’esistenza a filo di smartphone, spesso cercando di emulare le gesta degli influncer più famosi, risolvendo la necessarietà di conferire un significato al proprio incedere terreno e alla propria inclusione sociale in un pugno di like indistinti o nel raggiungimento di un alto numero di seguaci. Salverei l’ultimo episodio, L’amore nonostante tutto, diretto da Pellini (anche autrice della sceneggiatura insieme a Giancarlo Scarchilli), in particolare per una regia più incisiva e per le interpretazioni rese da Milena Vukotic e Andrea Roncato, ma andiamo con ordine, descrivendo nelle linee essenziali le trame dei singoli episodi.
Temper tantrum, diretto e sceneggiato da Francesco Colangelo, ha come protagonista la giovane Iana Ivanova (Ieva Andrejevaité), autrice e curatrice di un seguitissimo blog dedicato ai viaggi, che in quel di Mosca sta organizzando una diretta per una nuova puntata. Nel corso di una serata in discoteca si invaghisce di tale Giorgi (Alex Sparrow), compagno dell’imprenditrice italiana Caterina Mentana (Caterina Murino), giunta nella capitale russa per presenziare ad un importante convegno: non si fermerà dinnanzi a nulla pur di conquistarlo, scatenando una vera e propria guerra fra due eserciti l’un contro l’altro armati, in rappresentanza di chi genera produttività col duro lavoro e di chi invece con un ben calcolato cazzeggio, pardon, via web, che andrà a concludersi col trionfo della morale dei tempi nuovi, ovvero chi di video colpisce, di video perisce… Peak of Emotion, regia di Elly Senger-Weiss, anche autrice della sceneggiatura insieme a Max Gruber, si svolge nell’innevata cittadina di Lech, fra le Alpi austriache, dove si sono recati i giovani fidanzati Luca (Philipp Karner) e Sarah (Katharina Holoubek). Il primo ha organizzato una sorpresa per la compagna, la proposta di matrimonio con subitanea cerimonia, in caso d’esternazione del fatidico sì, da celebrarsi in cima ad una pittoresca montagna, che però si rivela difficile da raggiungere causa mancanza di segnale sul telefono, rendendo impossibile l’uso del navigatore. Così mentre Luca sbraita ed impreca, col rischio d’incrinare il rapporto, Sarah stempera il tutto a suon di selfie e video…The American Stream, regia e sceneggiatura di Willem Zaeyen: il giovane Lorenzo Fenzo (Lorenzo Marinozzi) si trasferisce dall’Italia a Los Angeles, perseguendo il sogno di emulare le gesta del suo idolo, il rapper ed influencer Donny Bravo (David Fears Jr.), fino a quando coronerà il sogno d’incontrarlo, che però trasmuterà presto in un tragico incubo…
L’amore nonostante tutto, come su scritto diretto da Elisabetta Pellini, anche autrice dello script insieme a Giancarlo Scarchilli, ha come location Stefano di Camastra, paese in provincia di Messina, dove vive l’anziana coppia, marito e moglie, Letizia (Milena Vukotic) ed Alfonso (Andrea Roncato). I due sembrano condurre un rapporto ormai adagiato su una consueta routine, che se appaga Alfonso, uomo pragmatico ed attento al denaro, ottenebra invece l’indole piuttosto espansiva della consorte, che vorrebbe elevarsi dalla staticità del quotidiano e coltivare, approfondendoli, i propri interessi, ad esempio la cucina giapponese, rinvenendo al riguardo opportuno ausilio dal web, tanto da organizzarsi subitamente quale novella influencer, Madame Letizia, esperta di bon ton e in culinaria asiatica, arrivando anche a comprare un cospicuo numero di like utilizzando la carta di credito di Alfonso, ormai disperato per la mancata condivisione di qualsivoglia interesse, paventando l’impossibilità di ritrovare l’originaria sintonia… Pur se quest’ultimo episodio, riprendendo quanto scritto ad inizio articolo, appare nell’insieme riuscito, vuoi perché le interpretazioni di Vukotic e Roncato riescono a conferire una dimensionalità meno macchiettistica ai personaggi, vuoi perché la regia, senza gridare al miracolo, cerca di offrire una caratterizzazione in qualche modo più incisiva al narrato, Selfiemania delude per una portata cinematografica complessivamente scadente, evidenziando tanto un lavoro di scrittura insufficiente nel voler visualizzare una concreta satira di costume, quanto una regia scricchiolante nel conferirvi al riguardo congrua sostanza nella messa in scena, anche perché spesso e volentieri i vari interpreti (eccezion fatta, oltre ai citati, per Caterina Murino) sembrano intenti ad offrire corporeità a delle sghembe caricature, sorta di rapidi tableau vivant ad essere magnanimi, di quelle gesta perpetrate dai tanti personaggi web che affollano la quotidianità social, affermati o “morti di fama” (Aldo Grasso) alla ricerca di un qualsiasi mezzo volto a far sì che il famoso quarto d’ora di celebrità enfatizzato da Andy Warhol si estenda verso l’infinito e oltre.
Il tutto senza mai andare la consueta pacca consolatoria sulla spalla, strappando qua e là un vago sorriso, naufragando nelle profondità del didascalico (vedi il pippone del rapper in The American Stream) ed allontanandosi quindi dalla satira propriamente detta. Andando a concludere, non sempre sono sufficienti i tasti di un pc ed un foglio word a conferire opportuna rilevanza ad una valida idea, fino a trasmutarla in una buona, se non ottima, sceneggiatura, corredandola poi di una regia incline a conferirle tanto concretezza quanto sapida leggerezza, quest’ultima diversa dall’inconsistenza, come insegna Calvino: Selfiemania parte da un buon soggetto, ancorato alla realtà, visualizzato però, maldestramente e senza colpo ferire, in un rapido succedersi di gag e situazioni che evidenzia sia la difficoltà ad apportare una concreta e mordace sagacia, sia, soprattutto, quella volta a sostenere una drammaturgia propriamente attenta alla compostezza contenutistica e visuale, difetto purtroppo evidente in molte recenti commedie nostrane, protese nel tentativo di emergere dalle secche dell’intrattenimento generalizzato senza colpo ferire, mantenendo un afflato popolare nel volgere un occhio attento ad una congrua mescolanza, “agitata, non mescolata”, fra ironia e disamina sociale.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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