Puglia, oggi. Il giovane Luca (Fabio Massa) ha lasciato Napoli per allontanarsi dalla sua famiglia, la madre Silvana (Cristina Donadio) e il patrigno Saverio (Gianni Parisi), carismatico avvocato dalla condotta morale non propriamente adamantina. Apre un’autofficina insieme all’amico Antonio, detto sei meno meno (Emiliano De Martino), non chiedendo altro alla vita che lavorare onestamente, condividendo il cammino con la dolce Maria (Yuliya Mayarchuk), ragazza ucraina che lavora in nero come badante, rischiando così di perdere il diritto al permesso di soggiorno, prossimo alla scadenza. I due desiderano avere un bambino, ma la felicità, per quanto intensa, a volte non dura che un battito di ciglia e amare sorprese si palesano dietro l’angolo: la comparsa dell’ex compagno di Maria, il camionista Livio (Massimiliano Rossi), un passato segnato dalla tossicodipendenza, che non accetta la nuova condizione sentimentale della donna, riservandole morbosità e violenze, o i trascorsi relativi alla morte del padre di Luca, uomo aggressivo nei confronti della consorte, circostanze che il ragazzo al momento ignora. E così, se Antonio approfondisce la relazione con Sara (Benedetta Valanzano), infermiera, conosciuta una sera in discoteca, Luca subisce le angherie di Livio, meditando vendetta, mentre Maria dovrà far ritorno in patria e Silvana appare decisa a svelare la verità taciuta da anni, facendo sì che la vita presenti presto il suo conto, rivelando come le relazioni umane, anche quelle, almeno in apparenza, più sincere e profonde, nascondano dietro tale parvenza il putridume di una strisciante ambiguità…
Diretto da Fabio Massa, anche attore protagonista ed autore della sceneggiatura insieme a Demetrio Salvi e Diego Olivares, Mai per sempre, uscito in sala nel 2020 e disponibile da qualche settimana su Amazon Prime, si palesa alla visione come un film, credo sia stato notato da molti, non ascrivibile del tutto ad un genere ben preciso, considerando che nell’ambito dell’iter narrativo si succedono vari stilemi, dalla commedia al melodramma fino al noir, andando a toccare complesse tematiche legate all’attualità, quali l’immigrazione o la criminalità, anche quella messa in atto da persone apparentemente insospettabili, con metodo e costanza, andando a colludersi con la politica, mantenendo sempre e comunque la parvenza della rispettabilità sociale. Va riconosciuto al lavoro di scrittura il merito di evitare di conferire al narrato una connotazione marcatamente regionale, anzi, grazie anche all’accorta regia e alla fotografia “neutra” di Rocco Marra, pur nella correlazione ambiente-personaggi, si rende alla storia una valenza universale, con toni a metà strada fra la tragedia greca e il dramma shakespeariano, evidenziando quindi come sia ormai smaccatamente incerta la linea di demarcazione fra bene e male, arrivando alla loro elusiva mescolanza, facendo sì che siano destinati a soccombere quanti abbiano cercato, forse illudendosi, di avviare un percorso di ordinaria quotidianità, all’insegna del noto detto “male non fare, paura non avere”.
L’intersecarsi delle storie relative ai protagonisti appare fortemente sostenuto, più che dalla regia, da un valido e serrato montaggio (Davide Franco), potendo poi contare su delle buone prove attoriali (Cristina Donadio su tutti), forse penalizzate da dialoghi fin troppo semplicistici nel loro voler esplicitare determinate sensazioni che nel ricorso al sotteso avrebbero forse avuto maggiore valenza. Credo comunque che, nei limiti di una sceneggiatura a volte confusa in alcuni passaggi a Mai per sempre debba essere riconosciuto il coraggio di smarcarsi dalle consuete produzioni “seriali” del nostro cinema, attingendo, riprendendo quanto scritto nel corso dell’articolo, a diversi generi, con una messa in scena concretamente cinematografica, mai banale, anzi ricercata nella sua compiuta circolarità, considerando come prenda il via dall’atto finale per poi ricostruire quanto ha condotto ad esso. Il tutto non lesinando una certa crudezza, evitando compiacimenti o un forzato lieto fine, preferendo porre in evidenza l’impossibilità di raggiungere una pur minima serenità esistenziale quando si saranno fatti i conti con il proprio e l’altrui lato oscuro, destinato a venir fuori una volta provata sulla propria pelle la disgregazione morale di una società dove l’umanità appare soppiantata da una ferale logica istintiva di sopraffazione. “Dal peccato divise le due parti dell’essere, l’una e l’altra troveranno debita morte” (Holy Sonnets, John Donne).
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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