Diabolik (Danger: Diabolik, 1968)

In attesa di poter visionare il film Diabolik dei Manetti Bros., ripropongo l’articolo scritto nel novembre 2020, già pubblicato su Diari di Cineclub, dedicato alla prima trasposizione cinematografica dell’ “uomo dai mille volti”, a firma di Mario Bava.

(IMDb)

L’ispettore Ginko (Michel Piccoli) intende beffare l’inafferrabile criminale Diabolik (John Phillip Law) organizzando il trasporto di dieci milioni di dollari su una Rolls – Royce con a bordo una squadra di agenti travestiti da diplomatici, in luogo del consueto furgone portavalori. Ma ancora una volta il colpo andrà a segno: il “genio della rapina” si darà alla fuga dapprima in motoscafo e poi alla guida di una Jaguar E- Type nera, scampando all’inseguimento ad opera  di un elicottero grazie anche al piano orchestrato insieme all’affascinante compagna Eva Kant (Marisa Mell). Dopo aver goduto del frutto della rapina in modo alquanto originale, un infuocato amplesso tra le banconote fruscianti sparse sul letto, i due, travestiti da giornalisti, interverranno alla conferenza stampa indetta dal Ministro della Giustizia (Terry-Thomas) per annunziare il ripristino della pena di morte, in modo da dare un forte segnale alla crescente ondata di criminalità: grazie ad alcune fialette di gas esilarante Diabolik ed Eva metteranno in ridicolo tale estrema decisione. La reazione dello Stato non tarderà: il capo della polizia (Claudio Gora) conferirà pieni poteri a Ginko, che se ne servirà in primo luogo per mettere in ginocchio il boss Ralph Valmont (Adolfo Celi), gestore di tutta una serie di traffici, quali droga e prostituzione. Il gangster non esiterà ad accordarsi proprio con Ginko, promettendogli la consegna di Diabolik, vivo: il  piano prevede il rapimento di Eva e conseguente riscatto, dieci milioni di dollari ed una collana di smeraldi che, nonostante le solite accortezze del “dannato ispettore”, è stata appena rubata dal “genio del male”, il quale però l’avrà vinta ancora una volta.

John Phillip Law (FilmGrab)

Il nuovo Ministro della Giustizia (Renzo Palmer) pone infine una taglia di un miliardo di dollari su Diabolik e questi farà saltare in aria il palazzo del Dipartimento delle Entrate, tanto che lo Stato sarà costretto ad attingere alla riserva aurea, fusa però in un enorme lingotto, che ovviamente fa gola al gelido criminale … Prima trasposizione sul grande schermo del Re del terrore (in attesa del film dei Manetti Bros., che dovrebbe essere in sala a fine anno), titolo del primo albo uscito l’1 novembre 1962 per i tipi dell’Astorina su soggetto di Angela e Luciana Giussani, Diabolik nacque sotto l’egida produttiva di Dino De Laurentiis, che acquistò i diritti dalle autrici ed affidò la regia a Tonino Cervi, licenziato dopo una settimana e sostituito da Mario Bava, che si trovò a disposizione un budget di 200 milioni di lire, cifra relativamente alta, in particolare considerando le sue precedenti realizzazioni. Anche la composizione del cast fu oggetto di ripensamenti, almeno riguardo i due protagonisti principali: secondo alcune fonti per il ruolo di Diabolik si pensò inizialmente ad Alain Delon, poi a Jean Sorel (scelto da Cervi, insieme ad Elsa Martinelli per il ruolo di Eva) ed infine a John Phillip Law, impegnato sul set di un altro film targato De Laurentiis (Barbarella), le cui riprese erano però in ritardo rispetto alla tabella di marcia, quindi l’attore dopo un breve provino ebbe la parte. Riguardo invece Lady Kant, dopo che la prescelta Catherine Deneuve si dimostrò poco propensa a girare scene di nudo, il ruolo venne affidato all’attrice austriaca Marisa Mell.

John Phillip Law e Marisa Mell (Vero Cinema)

Le riprese iniziarono e proseguirono all’insegna dei contrasti tra produzione e regia, in quanto se la prima intendeva discostarsi dalla violenza propria del personaggio originario, così da non incappare nelle maglie della censura, Bava invece voleva rimarcarne proprio gli aspetti più efferati e sinistri: il risultato fu un’opera su commissione, a tratti grezza e grossolana, in particolare relativamente alla psicologia dei personaggi, ma che merita una rivalutazione, se non altro per la geniale inventiva di un regista che con semplici trucchi (dei vetrini dipinti posti direttamente sull’obiettivo della macchina da presa) offre opportuno risalto alle altrimenti essenziali scenografie (Flavio Mogherini), dando congrua profondità ai vari ambienti (la grotta-rifugio di Diabolik ed Eva, ad esempio), nonché un’aura pop e futuristica, esaltata dagli accessi colori pastello della fotografia (Antonio Rinaldi, anche se non è difficile riconoscere l’apporto dello stesso Bava),  richiamando tanto i film su Fantômas diretti da André Hunebelle (Fantômas, 1964; Fantômas se déchaîne, 1965; Fantômas contre Scotland Yard, 1967), quanto le pellicole dedicate a James Bond (i titoli di testa, sulle note di Deep Down, testi di Northa, musiche di Ennio Morricone, eseguita da  Christy, ovvero Maria Cristina Brancucci). Vi è tutto il gusto dell’immagine proprio di Bava, quindi, il quale mantiene ed esalta i suoi “marchi di fabbrica” (frenetica mobilità della macchina da presa, ampie carrellate, incisivi primi piani, impiego adrenalinico dello zoom), avallando il precipuo intento di conferire ad ogni inquadratura l’equivalenza formale delle vignette dell’albo a fumetti ed arrivando così a creare una sorta d’atmosfera sospesa, quando non addirittura densamente lisergica e psichedelica, vedi la sequenza della discoteca, con i giovani sballati, persi nel loro mondo alternativo, rimarcato dalla suggestiva musica di Morricone.

Michel Piccoli

Quest’ultimo allestì  il consueto, raffinato, amalgama di rumori, suoni strumentali (il sitar) e vocali, aduso a connotare l’azione ora con toni ironici, ora volti ad accentuarne la drammaticità. Del personaggio creato dalle sorelle Giussani, emulo dichiarato del citato Fantômas (1911, Marcel Allain e Pierre Souvestre), rimane però ben poco: a parte la vaga somiglianza fisica, Law coltiva due espressioni, con le sopracciglia inarcate o meno, anche se Bava sembra voler assecondare quello spirito anarcoide, al di sopra di ogni regola, etica, civile ed istituzionale, che era tipico del Diabolik degli esordi, accostandolo all’atmosfera di ribellione ed insofferenza verso l’ordine costituito  propria dei movimenti giovanili degli anni ’60. Il sarcasmo del regista è evidente in alcune sequenze volte ad irridere il potere (il Ministro della Difesa che diviene Ministro delle Finanze ed invita i cittadini a pagare spontaneamente le tasse, dopo che Diabolik ha fatto saltare in aria la sede del Dipartimento delle Entrate). Anche l’Eva interpretata da Marisa Mell appare distante dalla sua omologa cartacea, l’eleganza e la raffinata sensualità lasciano il posto ad una sessualità esibita, ancora una volta in linea con l’aria “libertina” del periodo. Curiosamente, come notarono le Giussani, il personaggio più fedele all’originale è certo il Ginko di Piccoli, lontano fisicamente ma vicino alle sue caratteristiche psicologiche, quel misto di rassegnazione e pervicacia, ma anche ammirazione e compassione, nutrite nei confronti dell’ “uomo dai mille volti”.

Adolfo Celi (Aveleyman)

Andando a concludere, se il Diabolik di Bava può apparire risibile per una sceneggiatura piatta (autori Dino Maiuri e Bava), che si limita a sfruttare e cercare di concatenare tra loro, con esiti incerti, le situazioni proprie di tre diversi albi (Lotta disperata, 1964; L’ombra della notte, 1965;  Sepolto vivo!, 1963), riguardo invece l’aspetto visivo è pura goduria: colorato, ipercinetico, volutamente pacchiano, libero da schemi e sovrastrutture in ogni inquadratura (viene usato il grandangolo anche quando potrebbe apparire superfluo), manifesto di un’epoca come già scritto da molti, ma anche, se non soprattutto, di un cinema basato sullo sfruttamento dei generi, certamente semplice ed “artigianale”,  frutto di geniali e spesso felici intuizioni, per una connotazione ed una fascinazione forse ingenua, ma contornate da una sana creatività. D’altronde le trovate visive di Bava per Diabolik furono d’ispirazione, dichiarata, per Roman Coppola ed il suo  CQ (2001), mentre il regista Takao Nakano ha utilizzato la citata Deep Down in Sexual Parasite: Killer Pussy (2004), oggetto poi nel 2011 di una cover nell’album Mondo cane di  Mike Patton (2010); una parodia del film si può rinvenire nel video di Body Movin dei Beastie Boys (1998), che ne riprende varie sequenze.

Già pubblicato su Diari di Cineclub N. 88- Novembre 2020


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