
E’ morto lo scorso lunedì, 2 maggio, a Roma, Lino Capolicchio (Merano, 1943), attore, sceneggiatore e regista, la cui presenza scenica, elegante e discreta, congiunta ad un fascino a volte ammantato di una sottile ambiguità e ad uno stile recitativo sobrio ma sempre incisivo, ha contribuito ad offrire un’ulteriore caratterizzazione al cinema italiano degli anni Settanta, proteso, spaziando tra autorialità e ricorso al genere, ad individuare inedite modalità espressive, anche intese ad evidenziare un concreto attivismo nei riguardi dei fermenti sociali in atto. Cresciuto a Torino, Borgo San Donato, qui Capolicchio diede vita alle prime esperienze attoriali, recitando in teatro, diretto da Massimo Scaglione, per poi trasferirsi a Roma, così da frequentare l’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico. Dopo essersi diplomato, esordì nel 1964 con Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano ne Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni, prima di numerose rappresentazioni che andò ad interpretare, fino a quando non venne chiamato dalla Rai per il ruolo di Benedetto ed impersonare Andrea Cavalcanti nell’adattamento televisivo del romanzo di Alexandre Dumas (padre) Il conte di Montecristo, diretto nel 1966 da Edmo Fenoglio, otto puntate andate in onda sull’allora Canale Nazionale, mentre l’anno successivo fu presente nel cast internazionale del film La bisbetica domata di Franco Zeffirelli, tratto dall’omonima opera di William Shakespeare.
La notorietà giunse con la prima parte da protagonista nell’esordio alla regia di Roberto Faenza, Escalation, 1968, anche se ancora più rilevanti, almeno ad avviso dello scrivente, furono le interpretazioni profuse in Metti, una sera a cena, 1969, diretto da Giuseppe Patroni Griffi sulla base della sua omonima pièce teatrale, Il giovane normale (Dino Risi, stesso anno) e soprattutto ne Il giardino dei Finzi Contini, Vittorio De Sica, 1970, tratto dall’omonimo romanzo di Giorgio Bassani (1962), che valse a Capolicchio il David di Donatello Speciale, mentre il film conseguì l’Orso d’Oro al 21mo Festival di Berlino e l’Oscar come Miglior Film Straniero nel 1972. Nel ricordare poi, fra gli altri, titoli della sua filmografia quali Amore e ginnastica (Luigi Filippo D’Amico, 1973, tratto dall’omonimo romanzo di Edmondo de Amicis, 1892), Mussolini ultimo atto (Carlo Lizzani, 1974) o le incursioni nel genere (La legge violenta della squadra anticrimine, Stelvio Massi, 1976; Solamente nero, Antonio Bido, 1978), piuttosto proficuo fu il sodalizio artistico che andò ad instaurarsi fra Capolicchio e il regista Pupi Avati, a partire da La casa dalle finestre che ridono (1976), per proseguire con le miniserie televisive Jazz Band (1978) e Cinema!!! (1979) e nuovamente sul grande schermo con Le strelle nel fosso (1978), Noi tre (1984), Ultimo minuto (1987), Fratelli e sorelle (1992) Una sconfinata giovinezza (2010), Il signor Diavolo (2019).
D’altra parte la citata collaborazione con Avati, insieme alle ponderate scelte interpretative messe in atto da Capolicchio negli anni ’90 (Fiorile, Paolo e Vittorio Taviani, 1993; Compagna di viaggio, Peter Del Monte, 1996; Porzûs, Renzo Martinelli, 1997) andarono a costituire un’eccezione rispetto all’esternata volontà di allontanarsi dagli schermi e dedicarsi invece al teatro e all’insegnamento (la cattedra di recitazione dal 1984 al 1987 al Centro sperimentale di cinematografia di Roma), avvicinandosi comunque, con felici risultati, alla regia, teatrale (l’esordio nel 1987, al Festival barocco di Foligno, con Segni barocchi – Cronaca del ‘600 da Gesualdo da Venosa a Masaniello attraverso l’iconografia di Velasquez e Caravaggio) e cinematografica (Pugili, 1995, strutturato in quattro episodi, vincitore del premio FIPRESCI al 13mo Festival Internazionale Cinema Giovani, l’attuale Torino Film Festival, che accompagnò il debutto sul grande schermo di Pierfrancesco Favino, cui seguì Il diario di Matilde Manzoni, 2002). In chiusura, una curiosità: Capolicchio ha prestato per quattro stagioni la voce a John Schneider, il Bo Duke del telefilm The Dukes of Hazzard (1979-1985).
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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