Ci ha lasciato Angela Lansbury, morta ieri, martedì 11 ottobre, a Los Angeles (Angela Brigid Lansbury, Londra, 1925), attrice cinematografica e teatrale inglese, naturalizzata statunitense, la cui proverbiale poliedricità e l’indubbio talento, ma anche una forte determinazione, hanno donato al cinema, al mondo dello spettacolo in genere, vibranti interpretazioni nei ruoli che andava a rivestire, quasi sempre in qualità di non protagonista. Lo si può notare già da quella che fu la sua prima volta sul grande schermo, quando esordì, appena diciassettenne (compì diciotto anni nel corso delle riprese), dopo aver siglato un contratto con la Metro Goldwin Mayer, nei panni della cameriera Nancy in Gaslight (Angoscia, 1944, George Cukor), i cui modi sfrontati ed impudichi lasciavano intuire, senza mai renderla evidente, una probabile tresca col padrone di casa, il mellifluo Gregory Anton (Charles Boyer), ai danni della consorte Alice (Ingrid Bergman), del tutto in linea con gli stilemi propri di un dramma d’atmosfera, soffuso di influenze gotiche di matrice europea, a metà strada fra noir e thriller. Un’interpretazione quella descritta che le valse la prima delle tre candidature all’Oscar, per l’ appunto come attrice non protagonista. Lansbury giunse negli Stati Uniti nel 1940, in fuga dall’Inghilterra nell’imminenza del Secondo Conflitto insieme alla madre, Moyna MacGill, anch’essa attrice, e ai fratelli, riprendendo e concludendo alla Feagin School of Dramatic Arts di New York la formazione artistica iniziata a Londra, alla Webber-Douglas School of Dramatic Arts.
Dopo il citato titolo d’esordio, recitò in National Velvet (Gran Premio, Clarence Brown, 1944), accanto ad Elizabeth Taylor e Mickey Rooney e poi, altra interpretazione memorabile (la cantante Sibyl Vane, seconda candidatura all’Oscar e il conseguimento del Golden Globe), in The Picture of Dorian Gray (Il ritratto di Dorian Gray, Albert Lewin, 1946, tratto dall’omonimo romanzo di Oscar Wilde, 1890). Sulle onde, come già scritto, di una talentuosa versatilità, andò in seguito ad interpretare i ruoli più diversi in film rientranti in vari generi, dalla commedia musicale in ambientazione western (The Harvey Girls, Le ragazze di Harvey, George Sidney, 1946), al cappa e spada avventuroso The Three Musketeers (I tre moschettieri, George Sidney, 1948, una delle migliori trasposizioni del noto romanzo di Dumas), dove rivestiva magnificamente il ruolo della regina Anna d’Austria, passando per lo scintillante dramma biblico Samson and Delilah (Sansone e Dalila, Cecil B. DeMille, 1949); all’inizio degli anni ’50 si dedicò invece precipuamente, e con successo, al teatro, solcando anche i palcoscenici di Broadway (il debutto nel 1957, Hotel Paradiso, di Georges Feydeau, regia di Peter Glenville), conseguendo quattro Tony Awards per le sue performance nei musical Mame (1966), Dear World (1969), Gypsy (1975) e Sweeney Todd (1979).
Continuò comunque ad apparire sul grande schermo e al riguardo tra le migliori interpretazioni si possono certo ricordare quelle profuse in The Long, Hot Summer (La lunga estate calda, Martin Ritt, 1958), dove impersonava Minnie Littlejohn, compagna del tirannico Will Varner (Orson Welles) o nella commedia The Reluctant Debutante (Come sposare una figlia, Vincente Minnelli, 1958), ma, soprattutto, terza candidatura all’Oscar e secondo Golden Globe, in The Manchurian Candidate (Va’ e uccidi, John Frankenheimer, 1962), nei panni della signora Iselin, oscura manipolatrice del figlio Raymond (Laurence Harvey), di ritorno dalla guerra di Corea con la Medaglia d’Onore, per favorire l’ascesa politica del marito senatore (James Gregory). Altre valide caratterizzazioni si ritrovano in Bedknobs and Broomsticks (Pomi d’ottone e manici di scopa, Robert Stevenson, 1971, tecnica mista, animazione/live action), nella parte di Miss Eglantine Price, apprendista strega (segue un corso per corrispondenza, è in attesa dell’ultima lezione…), che insieme a tre bambini impedirà nel corso della II Guerra Mondiale alle truppe tedesche di sbarcare in Inghilterra.
Rimanendo in casa Disney, difficile dimenticare (versione originale) la voce data alla teiera Mrs Potts in Beauty And The Beast (La bella e la bestia, Gary Trousdale e Kirk Wise, 1991), film d’animazione in cui Dame Lansbury (venne insignita dal governo britannico del titolo di Commander of the British Empire) si prodigò anche nel cantare il tema portante, oppure, ancora prima, il ruolo di Miss Marple in The Mirror Crack’d (Assassinio allo specchio, Guy Hamilton, 1980), che per certi versi andò ad anticipare quello di Jessica Fletcher, scrittrice ed investigatrice dilettante protagonista della arcinota serie televisiva Murder, She Wrote, ovvero, da noi, La signora in giallo, ideata da Peter S. Fischer, Richard Levinson, William Link, andata originariamente in onda sulla CBS dal 1984 al 1996 (dodici stagioni, proseguì con alcuni film per la televisione fino al 2003), che, ad avviso dello scrivente, è una vivida testimonianza della pervicacia propria della donna, ancor prima che dell’attrice, nel riuscire a coniugare l’afflato divistico con la grande popolarità, probabilmente il segreto di un imperituro successo cui sarà estraneo qualsivoglia oblio.
L’ha ripubblicato su Lumière e i suoi fratelli.
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