Diabolik, il genio del male, ha festeggiato da qualche giorno il sessantesimo genetliaco, almeno dal punto di vista editoriale: correva infatti l’anno 1962, l’1 novembre, quando apparve nelle edicole l’albo Il re del terrore, Casa Editrice Astorina, soggetto delle sorelle Angela e Luciana Giussani, sceneggiatura ad opera della prima, disegni di tale Zarcone, che riprendeva la migliore tradizione del giallo-noir, con echi da feuilleton, ispirandosi precipuamente al Fantomas di Marcel Allain e Pierre Souvestre (1911, personaggio a sua volta debitore, nella impostazione generale, del Zigomar creato due anni prima da Léon Sazie), attualizzata in un insolito (anche per il formato) fumetto nero, inedito e innovativo nell’ambito dei comics nostrani. Un logo di quelli che non si dimenticano, rimasto immutato fino ad oggi, ideato da Remo Berselli, la scritta il fumetto del brivido, gli occhi grigio acciaio dell’inafferrabile criminale in primo piano, unica parte visibile del volto, ricoperto per il resto da un cappuccio nero, così come una tuta dello stesso colore andava ad avvolgere l’intero corpo. Leggenda vuole che l’idea sia venuta ad Angela vedendo i pendolari della stazione di Cadorna leggere romanzi gialli tascabili. Le sorelle si lasciarono dunque ammaliare dalla possibilità di creare storie a fumetti con protagonista un imprendibile ladro, affascinante e misterioso, divenuto ormai una vera e propria icona pop della cultura moderna, capace dall’alto del suo “altro mondo” cartaceo di solleticare l’immaginazione di lettori appartenenti a diverse generazioni. Il n. 3 del 1° marzo 1963, L’arresto di Diabolik (nel 2012 vi fu un remake, collana Il grande Diabolik, disegni Giuseppe Palumbo e Pierluigi Cerveglieri, sceneggiatura Tito Faraci), segna poi una ulteriore data da ricordare, andando a contrassegnare il debutto del primo incontro (e del primo bacio) tra Diabolik e la bellissima, sensuale, affascinante Eva Kant: fisico statuario, occhi verdi, lunghi capelli biondi, spesso raccolti in un elegante chignon. I disegni del citato albo erano opera di Gino Marchesi, mentre la sceneggiatura portava la firma di Angela Giussani.
Grazie all’ammaliante milady il “maledetto criminale”, per usare un’espressione cara all’ispettore Ginko, non solo si salverà dalla ghigliottina, ma nel corso degli anni dovrà lottare contro se stesso e rivedere molti dei suoi atteggiamenti da maschio ultra sicuro di sé, in più di un’occasione, per consolidare nel tempo un rapporto dove amore, passione, complicità, fiducia reciproca e rispetto l’uno per l’altra sono da sempre fusi e sublimati in un fascinoso ensemble. Da ricordare il ruolo del disegnatore Enzo Facciolo (1931-2021) nel rendere la grafica del “Diabolik definitivo”, conferendovi infatti quegli stilemi che non solo contribuirono ad una sempre maggiore affermazione del “giallo a fumetti”, ma vennero anche adottati quale esempio da seguire dagli altri disegnatori che si susseguirono negli anni a dar vita su carta alle tante avventure. Egualmente Facciolo contribuì a ristilizzare il dannato ispettore Ginko, così come Eva Kant, più compiutamente orientata verso le fattezze di Grace Kelly, e alla caratterizzazione della duchessa Altea di Vallenberg, al suo esordio nell’albo n. 22, 10 ottobre 1964, Il grande ricatto, cui diede ispirazione la splendida modella ed attrice Capucine, lavorando quindi ad oltre duecento episodi, fra i quali da citare il mitico Diabolik, chi sei?, albo n.5, anno VII, 1968, con la collaborazione di Glauco Coretti. Il cinema si interessò all’uomo dai mille volti per la prima volta nel 1967, Danger Diabolik di Mario Bava, mentre recente è il progetto delineato dai Manetti Bros., che ha avuto inizio l’anno scorso con Diabolik e proseguirà con Diabolik-Ginko all’attacco! (Giacomo Gianniotti sostituirà Luca Marinelli nel ruolo principale), in uscita il 17 novembre, per concludersi probabilmente nel 2023. Nel 2012 venne diffuso un teaser trailer di Diabolik-La Serie, con la notizia che gli studi di Cinecittà ne avrebbero ospitato le riprese, una co-produzione delle tre piattaforme pay europee di 21st Century Fox (Sky Italia, BSKYB, SkyDE), della quale al momento non se ne sa più nulla, dopo la comunicazione che le scenografie sarebbero state affidate all’estro creativo di Dante Ferretti.
Non sarebbe stato il primo esempio di una serie televisiva dedicata a Diabolik, considerato che nel 2000 ne venne realizzata una animata, Diabolik-Track of the Panther, per un totale di 24 episodi (entrarono in gioco Saban International, l’emittente francese M6 e Fox Television), non propriamente coerente con l’opera originaria. Ed ora iniziamo a scrivere del Diabolik di Mario Bava, partendo dalla trama: l’ispettore Ginko (Michel Piccoli) intende beffare l’inafferrabile criminale Diabolik (John Phillip Law) organizzando il trasporto di dieci milioni di dollari su una Rolls – Royce con a bordo una squadra di agenti travestiti da diplomatici, in luogo del consueto furgone portavalori. Ma ancora una volta il colpo andrà a segno: il “genio della rapina” si darà alla fuga dapprima in motoscafo e poi alla guida di una Jaguar E- Type nera, scampando all’inseguimento ad opera di un elicottero grazie anche al piano orchestrato insieme all’affascinante compagna Eva Kant (Marisa Mell). Dopo aver goduto del frutto della rapina in modo alquanto originale, un infuocato amplesso tra le banconote fruscianti sparse sul letto, i due, travestiti da giornalisti, interverranno alla conferenza stampa indetta dal Ministro della Giustizia (Terry-Thomas) per annunziare il ripristino della pena di morte, in modo da dare un forte segnale alla crescente ondata di criminalità: grazie ad alcune fialette di gas esilarante Diabolik ed Eva metteranno in ridicolo tale estrema decisione. La reazione dello Stato non tarderà: il capo della polizia (Claudio Gora) conferirà pieni poteri a Ginko, che se ne servirà in primo luogo per mettere in ginocchio il boss Ralph Valmont (Adolfo Celi), gestore di tutta una serie di traffici, quali droga e prostituzione. Il gangster non esiterà ad accordarsi proprio con Ginko, promettendogli la consegna di Diabolik, vivo: il piano prevede il rapimento di Eva e conseguente riscatto, dieci milioni di dollari ed una collana di smeraldi che, nonostante le solite accortezze del “dannato ispettore”, è stata appena rubata dal “genio del male”, il quale però l’avrà vinta ancora una volta. Il nuovo Ministro della Giustizia (Renzo Palmer) pone infine una taglia di un miliardo di dollari su Diabolik e questi farà saltare in aria il palazzo del Dipartimento delle Entrate, tanto che lo Stato sarà costretto ad attingere alla riserva aurea, fusa però in un enorme lingotto, che ovviamente fa gola al gelido criminale …
Diabolik nacque sotto l’egida produttiva di Dino De Laurentiis, che acquistò i diritti dalle autrici ed affidò la regia a Tonino Cervi, licenziato dopo una settimana e sostituito da Mario Bava, che si trovò a disposizione un budget di 200 milioni di lire, cifra relativamente alta, in particolare considerando le sue precedenti realizzazioni. Anche la composizione del cast fu oggetto di ripensamenti, almeno riguardo i due protagonisti principali: secondo alcune fonti per il ruolo di Diabolik si pensò inizialmente ad Alain Delon, poi a Jean Sorel (scelto da Cervi, insieme ad Elsa Martinelli per il ruolo di Eva) ed infine a John Phillip Law, impegnato sul set di un altro film targato De Laurentiis (Barbarella), le cui riprese erano però in ritardo rispetto alla tabella di marcia, quindi l’attore dopo un breve provino ebbe la parte. Riguardo invece Lady Kant, dopo che la prescelta Catherine Deneuve si dimostrò poco propensa a girare scene di nudo, il ruolo venne affidato all’attrice austriaca Marisa Mell. Le riprese iniziarono e proseguirono all’insegna dei contrasti tra produzione e regia, in quanto se la prima intendeva discostarsi dalla violenza propria del personaggio originario, così da non incappare nelle maglie della censura, Bava invece voleva rimarcarne proprio gli aspetti più efferati e sinistri. Il risultato fu un’opera su commissione, a tratti grezza e grossolana, in particolare relativamente alla psicologia dei personaggi, ma che merita una rivalutazione, se non altro per la geniale inventiva di un regista che con semplici trucchi (dei vetrini dipinti posti direttamente sull’obiettivo della macchina da presa) offre opportuno risalto alle altrimenti essenziali scenografie (Flavio Mogherini), dando congrua profondità ai vari ambienti (la grotta-rifugio di Diabolik ed Eva, ad esempio), nonché un’aura pop e futuristica, esaltata dagli accessi colori pastello della fotografia (Antonio Rinaldi, anche se non è difficile riconoscere l’apporto dello stesso Bava), richiamando tanto i film su Fantômas diretti da André Hunebelle (Fantômas, 1964; Fantômas se déchaîne, 1965; Fantômas contre Scotland Yard, 1967), quanto le pellicole dedicate a James Bond (i titoli di testa, sulle note di Deep Down, testi di Northa, musiche di Ennio Morricone, eseguita da Christy, ovvero Maria Cristina Brancucci).
Vi è tutto il gusto dell’immagine proprio di Bava, quindi, il quale mantiene ed esalta i suoi “marchi di fabbrica” (frenetica mobilità della macchina da presa, ampie carrellate, incisivi primi piani, impiego adrenalinico dello zoom), avallando il precipuo intento di conferire ad ogni inquadratura l’equivalenza formale delle vignette dell’albo a fumetti ed arrivando così a creare una sorta d’atmosfera sospesa, quando non addirittura densamente lisergica e psichedelica, vedi la sequenza della discoteca, con i giovani sballati, persi nel loro mondo alternativo, rimarcato dalla suggestiva musica di Morricone. Quest’ultimo allestì il consueto, raffinato, amalgama di rumori, suoni strumentali (il sitar) e vocali, aduso a connotare l’azione ora con toni ironici, ora volti ad accentuarne la drammaticità. Del personaggio creato dalle sorelle Giussani, emulo dichiarato del citato Fantômas (1911, Marcel Allain e Pierre Souvestre), rimane però ben poco: a parte la vaga somiglianza fisica, Law coltiva due espressioni, con le sopracciglia inarcate o meno, anche se Bava sembra voler assecondare quello spirito anarcoide, al di sopra di ogni regola, etica, civile ed istituzionale, che era tipico del Diabolik degli esordi, accostandolo all’atmosfera di ribellione ed insofferenza verso l’ordine costituito propria dei movimenti giovanili degli anni ’60. Il sarcasmo del regista è evidente in alcune sequenze volte ad irridere il potere (il Ministro della Difesa che diviene Ministro delle Finanze ed invita i cittadini a pagare spontaneamente le tasse, dopo che Diabolik ha fatto saltare in aria la sede del Dipartimento delle Entrate). Anche l’Eva interpretata da Marisa Mell appare distante dalla sua omologa cartacea, l’eleganza e la raffinata sensualità lasciano il posto ad una sessualità esibita, ancora una volta in linea con l’aria “libertina” del periodo. Curiosamente, come notarono le Giussani, il personaggio più fedele all’originale è certo il Ginko di Piccoli, lontano fisicamente ma vicino alle sue caratteristiche psicologiche, quel misto di rassegnazione e pervicacia, ma anche ammirazione e compassione, nutrite nei confronti dell’ “uomo dai mille volti”.
Andando a concludere, se il Diabolik di Bava può apparire risibile per una sceneggiatura piatta (autori Dino Maiuri e Bava), che si limita a sfruttare e cercare di concatenare tra loro, con esiti incerti, le situazioni proprie di tre diversi albi (Lotta disperata, 1964; L’ombra della notte, 1965; Sepolto vivo!, 1963), riguardo invece l’aspetto visivo è pura goduria: colorato, ipercinetico, volutamente pacchiano, libero da schemi e sovrastrutture in ogni inquadratura (viene usato il grandangolo anche quando potrebbe apparire superfluo), manifesto di un’epoca come già scritto da molti, ma anche, se non soprattutto, di un cinema basato sullo sfruttamento dei generi, certamente semplice ed “artigianale”, frutto di geniali e spesso felici intuizioni, per una connotazione ed una fascinazione forse ingenua, ma contornate da una sana creatività. D’altronde le trovate visive di Bava per Diabolik furono d’ispirazione, dichiarata, per Roman Coppola ed il suo CQ (2001), mentre il regista Takao Nakano ha utilizzato la citata Deep Down in Sexual Parasite: Killer Pussy (2004), oggetto poi nel 2011 di una cover nell’album Mondo cane di Mike Patton (2010); una parodia del film si può rinvenire nel video di Body Movin dei Beastie Boys (1998), che ne riprende varie sequenze. Ed ora spazio al tanto discusso Diabolik diretto dai Manetti Bros., anche autori della sceneggiatura insieme a Michelangelo La Neve, prendendo spunto, fra adattamenti e modifiche, principalmente dal già citato albo n.3, L’arresto di Diabolik e dal suo remake. Premetto che la sua visione mi ha piuttosto divertito, praticamente non ho staccato gli occhi dallo schermo dall’inizio alla fine, coltivando la ferma idea che i Manetti abbiano al contempo dato adito tanto ad un atto d’amore che ad un atto di coraggio. Il primo si sostanzia nella ricostruzione fedele delle atmosfere proprie degli anni ’60 così come risultanti dalle tavole disegnate ma anche dalle patinate riviste d’epoca (vedi le tonalità pastello dei vestiti e la fotografia di Francesca Amitrano), riprendendo nelle inquadrature le vignette d’origine (ad esempio il lancio del pugnale, con tanto di sonoro swiiiss), ricalcando poi gli stilemi dei dialoghi e lo schema narrativo di illustrare la dinamica dei colpi o l’incedere di determinati accadimenti prima o dopo la loro esecuzione o il loro verificarsi, ricorrendo anche anche allo split screen per riproporre la scomposizione illustrativa dell’albo d’origine.
Riguardo il secondo aspetto, credo sia la logica conseguenza di quanto finora scritto, ovvero un ritmo narrativo che si rifà a quello proprio dei gialli o noir d’epoca, traendo ispirazione per le scene d’azione dal buon “vecchio” poliziottesco nostrano (la bella sequenza dell’inseguimento iniziale, le auto della polizia di Clerville a tallonare la Jaguar E–Type nera di Diabolik), con un uso della CGI nullo o limitato allo stretto indispensabile, ricorrendo anche a musiche del tutto consone al narrato (Pivio e Aldo de Scalzi, canzoni di Manuel Agnelli, fra le quali la splendida La profondità degli abissi) e ad una cura certosina delle scenografie, nella geniale intuizione di sfruttare diverse città italiane a rappresentare località immaginarie quali Clerville (Milano e Bologna) o Ghenf (Trieste). Tutto molto distante quindi (fortunatamente, almeno per lo scrivente) dai muscolari e obnubilanti giri di giostra dei cinecomic americani, anche a costo di un’apparente ponderatezza nell’incedere dell’iter narrativo, funzionale alle descritte modalità rappresentative. Eva Kant, interpretata da una magnifica e del tutto in parte Miriam Leone, affascinante e grintosa (“mogliettina un corno!”), va a costituire il motore principale dei vari avvenimenti, a partire dall’intervento salvifico verso “il genio del male” una volta che sarà arrestato, processato e condannato alla ghigliottina. La sua figura inoltre rappresenta un ben preciso percorso di emancipazione ed autodeterminazione nel lasciarsi alle spalle un passato burrascoso (la morte del marito in uno strano incidente di caccia, il lavoro in un locale gestito da un noto gangster, l’attività di spionaggio industriale in Sudafrica), seguendo emozione ed istinto nell’affidarsi ad un uomo del quale conosce poco o nulla, nascosto sotto le vesti di Walter Dorian (Luca Marinelli, forse fin troppo algido e compassato, per quanto possa ricordare in questo le primissime raffigurazioni dell’ “uomo dai mille volti”), ma che, come lei, appare noncurante di regole o convenzioni sociali.
Ambedue infatti si dimostrano inclini ad adattare qualsiasi circostanza alla propria condotta di vita, così da trarvi congruo vantaggio, rispondendo ad una del tutto personale legge morale, comportante in primo luogo il rispetto della propria individualità e la strenua difesa delle proprie scelte esistenziali. Due persone sole, nel precipuo significato di avulse dall’ordinario contesto sociale, che una volta insieme diverranno un unicum di romanticismo, rispetto reciproco, fiducia, così come di astuzia e ferocia criminale. Se Eva è del tutto dissimile dalla precedente compagna di Diabolik, Elisabetta Gay (Serena Rossi), timorata e succube a quella sottomissione psicologica nota come gaslighting, altrettanto può scriversi per il pretendente della ammaliante milady, il viceministro della Giustizia Giorgio Caron (Alessandro Roja), individuo mellifluo, falso e meschino, simbolo di quei tanti uomini di potere che forti della sicumera offerta dalla loro posizione non esitano a commettere qualsiasi genere di illecito per arricchirsi indebitamente. Su tutto e tutti si erge poi la figura del granitico ispettore Ginko, l’ottimo Valerio Mastandrea nel rendere quel misto di pervicacia e rassegnazione, ammirazione e compassione, proprio di un uomo che ha fatto della caccia al “maledetto criminale” una ragione di vita, del tutto in corrispondenza con quell’ideale di legge e giustizia cui aderisce con convinzione: esplicativa al riguardo la sequenza che lo vede viso a viso con Diabolik sul molo del porto della città di Ghenf, quando i due esterneranno l’uno contro l’altro le rispettive modalità esistenziali. In conclusione, come hanno avuto modo di puntualizzare gli stessi Manetti, questo non è un film su Diabolik, bensì il film di Diabolik, nato, come già scritto, da un atto d’amore per il fumetto e la cui trasposizione si sostanzia di “quella materia di cui sono fatti i sogni” (Shakespeare, La tempesta), andando a rappresentare una personalissima via italiana al cinefumetto, fra citazioni e rimandi: per gli annunciati due seguiti ci si aspetta una maggiore coesione narrativa ed una ancora più incisiva concretezza delle proprie capacità autoriali.
Elaborazione ed approfondimento di articoli precedentemente pubblicati, la recensione del Diabolik di Bava aveva trovato ospitalità su Diari di Cineclub N. 88- Novembre 2020, mentre quella del film dei Manetti Bros era stata oggetto della XX Puntata di Magnifica Ossessione (17/02/2022) su Diari di Cineclub Radio.